La vocazione internazionale dei diritti dell’uomo contribuisce ad arricchire il patrimonio assiologico proprio di ciascuno Stato e, al tempo stesso, richiede la conformazione di strumenti di garanzia che trascendano i confini nazionali e prescindano dal vincolo della cittadinanza, di modo da risultare serventi rispetto ai bisogni di tutela dell’individuo a fronte di aggressioni perpetrate all’interno di sistemi di governo autoritari che impediscono il libero dispiegarsi (dei diritti fondamentali e) della personalità di ciascuno. In tal contesto, la razionale gestione dei flussi migratori non può essere rimessa in via esclusiva alle scelte decisionali, autonome ed autoreferenziali, di ciascun Paese, bensì, in specie all’interno dell’Unione Europea, si dimostra non più differibile giungere ad una posizione comune che sappia coniugare e rafforzare i valori di solidarietà che dovrebbero presiedere all’affermazione di un’idem sentire europeo avvertito alla stregua di patrimonio assiologico proprio dei cittadini prima ancora che, a livello istituzionale, dei singoli Stati membri. Si staglia, sotto diversa prospettiva, lo statuto costituzionale del “non cittadino” che rappresenta un tema attuale e ricco di sfumature in ordine al quale preminente si dimostra l’esigenza di pervenire al giusto contemperamento dei valori della solidarietà e dell’accoglienza, nel quadro del rafforzamento del principio di uguaglianza, declinato in una prospettiva universale, rispetto alla razionale gestione dei flussi migratori. Il contesto valoriale entro il quale matura una società (che ama e suole definirsi) civile assolve, in questa direzione, la funzione di orientare il sistema giuridico positivo, così come storicamente determinato, verso un processo di costante tensione, proiettato nella direzione di conformare i diritti (fondamentali) dei singoli in ossequio alla promozione della dignità dell’individuo, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Il percorso che conduce al raggiungimento di siffatte finalità ideali, però, lungi dal risultare immune da insidie, si dimostra accidentato e foriero di battute d’arresto dovute a fattori non sempre strettamente legati alla difesa del principio di unità dell’ordinamento giuridico a fronte di “contaminazioni” provenienti da modelli teorici affatto diversi rispetto a quello vigente all’interno di un determinato Paese. Le obiezioni all’apertura di un sistema normativo a tradizioni giuridiche, sociali e culturali connotate da tratti caratteristici del tutto peculiari e disomogenei costituiscono, infatti, le risultanze di un approccio che, pur essendo animato da genuina volontà di contemperare modelli assiologici non riducibili, in toto, a sintesi e/o unità, appare condizionato da principi e convincimenti di diversa natura e consistenza che contribuiscono, in definitiva, a rendere incerto il cammino. Il presupposto metodologico di fondo risiede nell’idea in base alla quale, all’interno di società multiculturali, le leggi non assurgono necessariamente ad espressione dello spirito del popolo, dei suoi costumi e delle sue tradizioni, talché, “sebbene alcuni istituti o norme riflettano effettivamente un certo contesto sociale, altri ne prescindono, col risultato che l’assimilazione di un istituto o di una norma di un altro sistema sarà tanto più problematica quanto maggiore sarà il legame del¬l’istituto o della norma nazionale rigettata con il contesto sociale” (Pinelli, 2011). In questa direzione, è stato osservato che “l’identità culturale assume una valenza diversa a seconda che si tratti di cittadini piuttosto che di stranieri. Se per i primi può giustificare l’adozione di regole riguardanti non già il singolo bensì il gruppo di appartenenza (regole a protezione di una minoranza linguistica, ad esempio), per i secondi si traduce nell’aspettativa di vedere applicate le norme dell’ordina¬men¬to straniero di appartenenza” (Campiglio, 2011). È pur vero, però, che ben possono essere introdotte modalità di godimento differenziato dei diritti inviolabili dell’individuo, legate al possesso (o alla mancanza) dello status di cittadino, ancorché solo in base ad una regolamentazione di dettaglio capace di resistere ad uno stretto scrutinio di costituzionalità. Si innesta, entro un siffatto quadro assiologico, un processo di “frantumazione” del principio di unità dell’ordinamento giuridico nell’otti¬ca di una sempre più massiccia rivendicazione, promossa da parte di gruppi sociali eterogenei, di riconoscimento delle diverse identità culturali, etniche, linguistiche e religiose, che si manifestano con sempre maggior enfasi all’interno di ogni singola comunità statale. Nell’ambito di un siffatto quadro ricostruttivo, obiettivo precipuo del modulo formativo denominato “Aggiornamento normativa e diritti”, incardinato all’interno del Progetto SPID – “Sostegno alla promozione dell’inclusione e dei diritti”, è stato quello di comprendere quali siano, in ossequio ad una esegesi del dettato normativo allo stato attuale in vigore, i valori di fondo chiamati ad orientare l’azione quotidiana degli operatori del terzo settore in tema di inclusione sociale dei migranti
Lo statuto costituzionale del “non cittadino” e la promozione dei processi di accoglienza ed inclusione dei migranti nei per-corsi di formazione ARES e SPID: il contributo dell’Università degli Studi di Messina
Luca Buscema
2025-01-01
Abstract
La vocazione internazionale dei diritti dell’uomo contribuisce ad arricchire il patrimonio assiologico proprio di ciascuno Stato e, al tempo stesso, richiede la conformazione di strumenti di garanzia che trascendano i confini nazionali e prescindano dal vincolo della cittadinanza, di modo da risultare serventi rispetto ai bisogni di tutela dell’individuo a fronte di aggressioni perpetrate all’interno di sistemi di governo autoritari che impediscono il libero dispiegarsi (dei diritti fondamentali e) della personalità di ciascuno. In tal contesto, la razionale gestione dei flussi migratori non può essere rimessa in via esclusiva alle scelte decisionali, autonome ed autoreferenziali, di ciascun Paese, bensì, in specie all’interno dell’Unione Europea, si dimostra non più differibile giungere ad una posizione comune che sappia coniugare e rafforzare i valori di solidarietà che dovrebbero presiedere all’affermazione di un’idem sentire europeo avvertito alla stregua di patrimonio assiologico proprio dei cittadini prima ancora che, a livello istituzionale, dei singoli Stati membri. Si staglia, sotto diversa prospettiva, lo statuto costituzionale del “non cittadino” che rappresenta un tema attuale e ricco di sfumature in ordine al quale preminente si dimostra l’esigenza di pervenire al giusto contemperamento dei valori della solidarietà e dell’accoglienza, nel quadro del rafforzamento del principio di uguaglianza, declinato in una prospettiva universale, rispetto alla razionale gestione dei flussi migratori. Il contesto valoriale entro il quale matura una società (che ama e suole definirsi) civile assolve, in questa direzione, la funzione di orientare il sistema giuridico positivo, così come storicamente determinato, verso un processo di costante tensione, proiettato nella direzione di conformare i diritti (fondamentali) dei singoli in ossequio alla promozione della dignità dell’individuo, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Il percorso che conduce al raggiungimento di siffatte finalità ideali, però, lungi dal risultare immune da insidie, si dimostra accidentato e foriero di battute d’arresto dovute a fattori non sempre strettamente legati alla difesa del principio di unità dell’ordinamento giuridico a fronte di “contaminazioni” provenienti da modelli teorici affatto diversi rispetto a quello vigente all’interno di un determinato Paese. Le obiezioni all’apertura di un sistema normativo a tradizioni giuridiche, sociali e culturali connotate da tratti caratteristici del tutto peculiari e disomogenei costituiscono, infatti, le risultanze di un approccio che, pur essendo animato da genuina volontà di contemperare modelli assiologici non riducibili, in toto, a sintesi e/o unità, appare condizionato da principi e convincimenti di diversa natura e consistenza che contribuiscono, in definitiva, a rendere incerto il cammino. Il presupposto metodologico di fondo risiede nell’idea in base alla quale, all’interno di società multiculturali, le leggi non assurgono necessariamente ad espressione dello spirito del popolo, dei suoi costumi e delle sue tradizioni, talché, “sebbene alcuni istituti o norme riflettano effettivamente un certo contesto sociale, altri ne prescindono, col risultato che l’assimilazione di un istituto o di una norma di un altro sistema sarà tanto più problematica quanto maggiore sarà il legame del¬l’istituto o della norma nazionale rigettata con il contesto sociale” (Pinelli, 2011). In questa direzione, è stato osservato che “l’identità culturale assume una valenza diversa a seconda che si tratti di cittadini piuttosto che di stranieri. Se per i primi può giustificare l’adozione di regole riguardanti non già il singolo bensì il gruppo di appartenenza (regole a protezione di una minoranza linguistica, ad esempio), per i secondi si traduce nell’aspettativa di vedere applicate le norme dell’ordina¬men¬to straniero di appartenenza” (Campiglio, 2011). È pur vero, però, che ben possono essere introdotte modalità di godimento differenziato dei diritti inviolabili dell’individuo, legate al possesso (o alla mancanza) dello status di cittadino, ancorché solo in base ad una regolamentazione di dettaglio capace di resistere ad uno stretto scrutinio di costituzionalità. Si innesta, entro un siffatto quadro assiologico, un processo di “frantumazione” del principio di unità dell’ordinamento giuridico nell’otti¬ca di una sempre più massiccia rivendicazione, promossa da parte di gruppi sociali eterogenei, di riconoscimento delle diverse identità culturali, etniche, linguistiche e religiose, che si manifestano con sempre maggior enfasi all’interno di ogni singola comunità statale. Nell’ambito di un siffatto quadro ricostruttivo, obiettivo precipuo del modulo formativo denominato “Aggiornamento normativa e diritti”, incardinato all’interno del Progetto SPID – “Sostegno alla promozione dell’inclusione e dei diritti”, è stato quello di comprendere quali siano, in ossequio ad una esegesi del dettato normativo allo stato attuale in vigore, i valori di fondo chiamati ad orientare l’azione quotidiana degli operatori del terzo settore in tema di inclusione sociale dei migrantiPubblicazioni consigliate
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