Il pensiero di Butler si pone al di là di ogni tipo di fondazionalismo, sia esso gnoseologico-epistemologico, etico-politico o metafisico-ontologico. Per Butler, la filosofia non è più il sapere del sapere, non è più identica a sé – ammettendo che mai lo sia stata –, è in una condizione di espropriazione, in termini hegeliani, è fuori di sé, persa nell’altro . La filosofia non è più il sapere dei fondamenti ultimi dell’agire, perché questi fondamenti sono costruzioni storiche, che si spacciano per universali e necessarie. Infine, la filosofia non è più il sapere della sostanza, intesa in senso metafisico come stabile e autarchica. Il pensiero di Butler si potrebbe inscrivere, allora, per un verso, nell’orizzonte post-fondazionalista, in particolare all’interno di quello che Esposito ha definito “paradigma istituente”, volto a riabilitare la funzione produttiva del negativo, per l’altro verso, in quello anti-fondazionalista, che rigetta l’istanza identitaria tanto individuale che collettiva, in particolare, esso mostra affinità con quella strategia di superamento del fondazionalismo che è il pensiero derridiano della différance. Nelle riflessioni di Butler vanno di pari passo la riabilitazione del negativo come principio creativo del subiectum e il rigetto delle categorie identitarie che classificano l’umano (sesso, genere, classe, abilità, razza, nazionalità), alle quali si accorda il credito della verità come se ci fosse una natura umana, piuttosto che una condizione umana . L’intento di Butler è mostrare che l’ontologia non è una fondazione, perché esistono tante ontologie quante sono le norme che governano l’assoggettamento, che non è un evento fondativo, ma un processo continuo di regolamentazione e produzione del soggetto, come insegna Foucault. Tali ontologie sono perlopiù implicite, il che ne facilita la salvaguardia e ne favorisce l’efficacia.
La traccia del negativo. Judith Butler e le ontologie implicite
SURACE V
2023-01-01
Abstract
Il pensiero di Butler si pone al di là di ogni tipo di fondazionalismo, sia esso gnoseologico-epistemologico, etico-politico o metafisico-ontologico. Per Butler, la filosofia non è più il sapere del sapere, non è più identica a sé – ammettendo che mai lo sia stata –, è in una condizione di espropriazione, in termini hegeliani, è fuori di sé, persa nell’altro . La filosofia non è più il sapere dei fondamenti ultimi dell’agire, perché questi fondamenti sono costruzioni storiche, che si spacciano per universali e necessarie. Infine, la filosofia non è più il sapere della sostanza, intesa in senso metafisico come stabile e autarchica. Il pensiero di Butler si potrebbe inscrivere, allora, per un verso, nell’orizzonte post-fondazionalista, in particolare all’interno di quello che Esposito ha definito “paradigma istituente”, volto a riabilitare la funzione produttiva del negativo, per l’altro verso, in quello anti-fondazionalista, che rigetta l’istanza identitaria tanto individuale che collettiva, in particolare, esso mostra affinità con quella strategia di superamento del fondazionalismo che è il pensiero derridiano della différance. Nelle riflessioni di Butler vanno di pari passo la riabilitazione del negativo come principio creativo del subiectum e il rigetto delle categorie identitarie che classificano l’umano (sesso, genere, classe, abilità, razza, nazionalità), alle quali si accorda il credito della verità come se ci fosse una natura umana, piuttosto che una condizione umana . L’intento di Butler è mostrare che l’ontologia non è una fondazione, perché esistono tante ontologie quante sono le norme che governano l’assoggettamento, che non è un evento fondativo, ma un processo continuo di regolamentazione e produzione del soggetto, come insegna Foucault. Tali ontologie sono perlopiù implicite, il che ne facilita la salvaguardia e ne favorisce l’efficacia.Pubblicazioni consigliate
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