L'artrosi dell'anca si manifesta soprattutto dalla quinta decade di vita in poi con una sintomatologia che può anche diventare talmente dolorosa da essere invalidante. Quando la terapia conservativa risulta inefficace, l’unico intervento risolutivo è l’impianto di una protesi totale d’anca che permette il recupero di una elevata qualità di vita, con una sopravvivenza degli impianti che supera il 90% a 10 anni. Gli interventi di sostituzione protesica dell’anca possono essere classificati in tre tipologie: la sostituzione totale o artroprotesi, che prevede di intervenire su entrambe le componenti articolari, femorale e acetabolare; la sostituzione parziale, comunemente indicata con il termine “endoprotesi” e riservata al trattamento delle fratture intracapsulari del collo del femore, che permette di preservare l’acetabolo; la revisione, o riprotesizzazione, che prevede la sostituzione di un dispositivo precedentemente impiantato. I dati delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) indicano che in Italia sono stati eseguiti, nel 2002, 75.777 interventi di cui 5918 revisioni. Dal 2000 il numero di revisioni si è attestato intorno all’8% del totale degli interventi. La necessità della revisione deriva dalla mobilizzazione della protesi impiantata per una varietà di motivi che dipendono sia dalle caratteristiche del paziente sia da problemi connessi alla protesi stessa, alla sua composizione, al design, all’usura. Dalla fine degli anni settanta sono stati utilizzati diversi design di protesi d'anca con superfici articolanti costituite da leghe metalliche. Tuttavia, a seguito dell'elevato numero di fallimenti e di metallosi rilevabile nei tessuti periarticolari derivante dai fenomeni di usura, oltre le protesi metallo-metallo, si trovano in commercio accoppiamenti articolari diversi: ceramica-ceramica, ceramica-polietilene, metallo-polietilene. Il polietilene è presente in più del 70% degli interventi primari e in più dell’80% delle revisioni. Anche il polietilene tuttavia può usurarsi e rilasciare particelle che diventano la causa di fenomeni di estesa osteolisi, motivo principale del fallimento dell’impianto nel lungo periodo. In una nota dell’8 marzo 2005, il Ministero della Salute richiama l’attenzione degli Assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province autonome al problema della degradazione del polietilene ad altissimo peso molecolare (UHMWPE) sterilizzato a raggi gamma, in particolare in presenza di aria, in quanto tale procedimento porta alla rottura delle catene di polimero con produzione di radicali liberi [1]. In presenza di ossigeno si verifica una degradazione ossidativa progressiva del polietilene che dipende anche da altri fattori, oltre alla presenza di ossigeno dentro la confezione, soprattutto se questa vienemantenuta per più di cinque anni. La degradazione ossidativa del polietilene altera le proprietà meccaniche della protesi con conseguente maggiore suscettibilità all’usura e quindi anche alla rottura dell’impianto [2,3]. La nota del Ministero fornisce le indicazione della Commissione Unica dei dispositivi Medici in modo che non vengano utilizzate protesi che siano state sterilizzate a raggi gamma o non confezionate sottovuoto o che non riportino la data di confezionamento. Alcuni produttori stanno modificando le procedure di sterilizzazione, tuttavia in tal modo si elimina un importante fattore di usura ma non si risolve radicalmente il problema perché bisogna anche tenere presente la risposta infiammatoria dell’ospite [4]. L’adesione delle cellule mononucleate sulla superficie del polimero potrebbe giocare un ruolo importante legato alla liberazione di citochine e all’attivazione di metalloproteinasi che contribuiscono all’usura innescando una reazione a catena di produzione detriti ( micro e nano particelle) e richiamo di macrofagi [5]. Per questo motivo diviene interessante valutare quali trattamenti modificanti possono alterare la struttura chimica del polimero al fine di migliorarne le proprietà meccaniche. In particolare in questo lavoro è stato preso in considerazione il trattamento di impiantazione ionica (con ioni N+ e Ar+) che riesce aumentare la resistenza all’usura del materiale migliorando la resa dell’impianto ed evitando rischi alla salute del paziente[6]. Al fine di valutare se il materiale polimerico in oggetto mantiene le sue note caratteristiche di biocompatibilità anche dopo il trattamento modificante con ioni, è stata eseguita un’indagine biologica che prevede l’utilizzo di campioni di UHMWPE tal quale ed impiantato, con ioni a diverse dosi, per la realizzazione prove in vitro con colture di cellule cartilaginee umane.
Usura dei biomateriali impiegati nella protesi d'anca
VISCO, Annamaria;TORRISI, Lorenzo
2005-01-01
Abstract
L'artrosi dell'anca si manifesta soprattutto dalla quinta decade di vita in poi con una sintomatologia che può anche diventare talmente dolorosa da essere invalidante. Quando la terapia conservativa risulta inefficace, l’unico intervento risolutivo è l’impianto di una protesi totale d’anca che permette il recupero di una elevata qualità di vita, con una sopravvivenza degli impianti che supera il 90% a 10 anni. Gli interventi di sostituzione protesica dell’anca possono essere classificati in tre tipologie: la sostituzione totale o artroprotesi, che prevede di intervenire su entrambe le componenti articolari, femorale e acetabolare; la sostituzione parziale, comunemente indicata con il termine “endoprotesi” e riservata al trattamento delle fratture intracapsulari del collo del femore, che permette di preservare l’acetabolo; la revisione, o riprotesizzazione, che prevede la sostituzione di un dispositivo precedentemente impiantato. I dati delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) indicano che in Italia sono stati eseguiti, nel 2002, 75.777 interventi di cui 5918 revisioni. Dal 2000 il numero di revisioni si è attestato intorno all’8% del totale degli interventi. La necessità della revisione deriva dalla mobilizzazione della protesi impiantata per una varietà di motivi che dipendono sia dalle caratteristiche del paziente sia da problemi connessi alla protesi stessa, alla sua composizione, al design, all’usura. Dalla fine degli anni settanta sono stati utilizzati diversi design di protesi d'anca con superfici articolanti costituite da leghe metalliche. Tuttavia, a seguito dell'elevato numero di fallimenti e di metallosi rilevabile nei tessuti periarticolari derivante dai fenomeni di usura, oltre le protesi metallo-metallo, si trovano in commercio accoppiamenti articolari diversi: ceramica-ceramica, ceramica-polietilene, metallo-polietilene. Il polietilene è presente in più del 70% degli interventi primari e in più dell’80% delle revisioni. Anche il polietilene tuttavia può usurarsi e rilasciare particelle che diventano la causa di fenomeni di estesa osteolisi, motivo principale del fallimento dell’impianto nel lungo periodo. In una nota dell’8 marzo 2005, il Ministero della Salute richiama l’attenzione degli Assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province autonome al problema della degradazione del polietilene ad altissimo peso molecolare (UHMWPE) sterilizzato a raggi gamma, in particolare in presenza di aria, in quanto tale procedimento porta alla rottura delle catene di polimero con produzione di radicali liberi [1]. In presenza di ossigeno si verifica una degradazione ossidativa progressiva del polietilene che dipende anche da altri fattori, oltre alla presenza di ossigeno dentro la confezione, soprattutto se questa vienemantenuta per più di cinque anni. La degradazione ossidativa del polietilene altera le proprietà meccaniche della protesi con conseguente maggiore suscettibilità all’usura e quindi anche alla rottura dell’impianto [2,3]. La nota del Ministero fornisce le indicazione della Commissione Unica dei dispositivi Medici in modo che non vengano utilizzate protesi che siano state sterilizzate a raggi gamma o non confezionate sottovuoto o che non riportino la data di confezionamento. Alcuni produttori stanno modificando le procedure di sterilizzazione, tuttavia in tal modo si elimina un importante fattore di usura ma non si risolve radicalmente il problema perché bisogna anche tenere presente la risposta infiammatoria dell’ospite [4]. L’adesione delle cellule mononucleate sulla superficie del polimero potrebbe giocare un ruolo importante legato alla liberazione di citochine e all’attivazione di metalloproteinasi che contribuiscono all’usura innescando una reazione a catena di produzione detriti ( micro e nano particelle) e richiamo di macrofagi [5]. Per questo motivo diviene interessante valutare quali trattamenti modificanti possono alterare la struttura chimica del polimero al fine di migliorarne le proprietà meccaniche. In particolare in questo lavoro è stato preso in considerazione il trattamento di impiantazione ionica (con ioni N+ e Ar+) che riesce aumentare la resistenza all’usura del materiale migliorando la resa dell’impianto ed evitando rischi alla salute del paziente[6]. Al fine di valutare se il materiale polimerico in oggetto mantiene le sue note caratteristiche di biocompatibilità anche dopo il trattamento modificante con ioni, è stata eseguita un’indagine biologica che prevede l’utilizzo di campioni di UHMWPE tal quale ed impiantato, con ioni a diverse dosi, per la realizzazione prove in vitro con colture di cellule cartilaginee umane.Pubblicazioni consigliate
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