Il volume tende a ricostruire la responsabilità medica come uno dei modelli possibili, non potendosi più aderire all’idea di un sistema monolitico fondato su uno schema unico di responsabilità, pur se occorre comunque tentare di ricondurre ad unità la categoria. L’esigenza di delimitare l’ambito della responsabilità professionale del sanitario appare dettata dalla necessità di procedere ad un’armonizzazione dei meccanismi di tutela della persona umana sia in relazione alle circostanze che incidono sull’integrità psico-fisica, sia con riferimento alle mere transeunti alterazioni psicologiche che non si possono qualificare come danni alla salute e al fine di realizzare questo obiettivo si tende, per un verso, al superamento del confine tra il modello della responsabilità contrattuale e quella aquiliana e, per altro verso, ad ampliare le ipotesi di comportamenti lesivi ascrivibili al sanitario, ma tecnicamente non collegati alla sua qualifica professionale Tale fenomeno si è concretizzato attraverso continui adattamenti delle regole appartenenti originariamente al sistema del danno patrimoniale al fine di mantenere i vecchi equilibri. Invero, ogni tentativo ha comportato la necessità di mutamenti tali da rendere difficile la riconduzione ad un sistema armonico e l’urgenza di procedere alla ridefinizione delle regole esistenti e alla ricostruzione di un nuovo assetto di principi che presiedono alla tutela della persona umana. Pur se apprezzabile, la spinta verso l’omologazione delle regole e dei modelli finisce per non individuare le caratteristiche dei singoli rapporti giuridici e al contempo per non riuscire ad apprestare gli strumenti di tutela più idonei. Peraltro, se e` pur vero che vi sono norme contenute nelle leggi speciali relative a particolari aspetti dell’attività medica, in realtà non esiste una normativa di carattere generale, con la conseguenza che la giurisprudenza ha avvertito la necessità di ‘‘creare’’ regole idonee a disciplinare particolari e specifici aspetti, anche e soprattutto allorché sono coinvolti profili attinenti alla salute. L’esigenza di ricondurre ad unità la responsabilità medica impone di porre l’attenzione sulla diligenza, che deve pretendersi dal medico nell'esercizio della propria professione. In proposito, non può che richiamarsi la norma contenuta nel secondo comma dell'art. 1176 c.c., che esige, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale, una diligenza adeguata alla natura dell'attività esercitata. Ciò significa, in altri termini, che al professionista sarà richiesto di impiegare la perizia e i mezzi tecnici adeguati alla lex artis, ossia allo standard professionale della sua categoria, che deve informare, in ogni momento, il comportamento professionale del medico; standard, che, a sua volta, permetterà di individuare la prestazione concretamente dovuta e la misura dell'eventuale responsabilità in caso di non corretto adempimento. È necessario precisare, però, che la diligente esecuzione della prestazione può non essere sufficiente; infatti, qualora la prestazione sanitaria sia somministrata in mancanza di un valido consenso ciò comporterà il sorgere del diritto al risarcimento in capo al paziente, e ciò a prescindere dalla correttezza dell'attività medica. In altri termini, il mancato adempimento dell'obbligo di informare il paziente, ottenendone così il consenso, induce a qualificare la terapia, o l'intervento eseguito, un illecito, a prescindere dalla perizia tecnica con cui sia stato svolto. Sempre in rapporto all'attività sanitaria, infine, non può sottacersi il ruolo, certo rilevante, da attribuire alla norma contenuta nell'art. 2236 c.c., in virtù della quale, «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave». È bene precisare, però, che una responsabilità limitata alla colpa grave sarà attuale, non già in occasione di qualsiasi trattamento medico, ma solo ove la prestazione non sia di routine. La norma, contenuta nell'art. 2236 c.c., in altri termini, stabilisce un'eccezione alla comune misura di diligenza, del buon padre di famiglia. Qualora il sanitario sia chiamato a risolvere un problema di particolare delicatezza, quindi, dovrà rispettare requisiti di diligenza e perizia “su misura”, vale a dire adeguati alla circostanza. In questo modo, la responsabilità potrà essere riconosciuta solo all'avverarsi di trascuratezze ed errori di particolare gravità, restando in definitiva congruamente attenuata. Tutto quanto ricordato, deve sempre essere illuminato da una considerazione ovvia, eppure di sicura importanza: la richiesta di un trattamento sanitario fa sorgere, tra professionista e paziente, un contratto, da cui scaturisce un'obbligazione di mezzi, non già di risultato. Da un lato, ciò comporta che non si possa pretendere, dal sanitario, una soluzione predeterminata e certa; dall'altro, non di meno, va sottolineato come sia impensabile e paradossale che la discrezionalità del medico, pur qualificata, possa annichilire la volontà del malato, orientando ogni azione esclusivamente in vista del raggiungimento di quel risultato, che, com'è ovvio, non può essere garantito. Appare evidente al giurista la rivoluzione che ha ridefinito il diritto alla salute, e il connesso rapporto medico-paziente; se, in passato, la salute dell'individuo costituiva un'area riservata all'esclusiva competenza dello specialista, vero e proprio dominus – prima ancora che garante – delle terapie e dei provvedimenti da adottare nell'interesse della persona sottoposta alle sue cure, oggi, alla luce del dettato costituzionale, la prospettiva è radicalmente mutata: dagli anni sessanta del secolo scorso in poi, infatti, si è affermata l'idea che i diritti costituzionali e i principî fondamentali di libertà debbano trovare diretta e immediata applicazione a tutela dei consociati, e con efficacia erga omnes. All'individuo, in quanto tale, si riconosce progressivamente un fascio di diritti assoluti e di prerogative, afferenti al concetto stesso di persona e di sviluppo della personalità, in cui è possibile enucleare, come condizione necessaria, ma non sufficiente, il diritto alla salute. Il valore giuridico rappresentato dal lemma “salute” ha subìto un autentico sdoppiamento. Secondo una prima accezione, per salute si dovrà intendere il «bene» del paziente, inteso in senso oggettivo e in base a criterî scientifici, aventi come riferimento uno standard di «buona salute». Al contempo, la parola salute si riferisce a un bene differente, scolpito, fin dal 1948, nella definizione legale della OMS, che assorbe le componenti del benessere fisico, psichico e sociale: in sostanza, una salute personale. In questo senso, la salute, non più intesa quale criterio generale, è declinata in accezioni individuali: ciascuno ha una propria salute, che ha diritto di perseguire e reclamare nel rapporto terapeutico. Il fulcro, su cui deve essere improntato il rapporto medico-paziente, è dunque rappresentato dal necessario consenso del soggetto, che dovrà ricevere (e non sottoporsi al) la terapia, permettendo, in tal modo, al medico, di intervenire nella di lui sfera soggettiva, personale e, indirettamente, giuridica. Ciò si dimostra ancor più vero, qualora, si consideri che, ad ogni individuo, è collegato il così detto diritto all'autodeterminazione, che, in ambito medico, deve essere scrupolosamente rispettato, anche in ossequio a un preciso, e ben definito, dovere di astensione. processo di contrattualizzazione, che ha investito il regime della responsabilità medica, si è realizzato, più che un sostanziale riequilibrio delle posizioni tra la figura del medico e quella del paziente, un vero contrappasso. La trasposizione, nella prassi, dei principî costituzionali di tutela della persona è avvenuta, nel contesto medico, principalmente attraverso l'espediente dell'inversione dell'onere della prova, rafforzato dal minore rigore con cui si pretende che sia provato il nesso di causalità sussistente tra condotta e lesione e l'elemento soggettivo in capo al medico. La centralità che l’essere umano riveste nell’ordinamento ha imposto l’evoluzione del sistema della responsabilità civile e l’espansione dell’area dei danni risarcibili, sì da porre l’accento più che sul comportamento lesivo, sull’aspetto dell’ingiustizia del danno al fine di garantire almeno in via potenziale il risarcimento di qualunque danno che incide sulla sfera, patrimoniale e non, della persona. Sicché quando gli errori incidono sui valori fondamentali e imprescindibili della persona minandone l’esistenza, la stessa vita o la salute, assumono una rilevanza più ampia e devono essere valutati con particolare severità, e si impongono criteri di valutazione del comportamento del medico particolarmente rigidi tenuto conto che l’attività posta in essere dal professionista può presentare un carattere plurioffensivo sia in ordine ai beni e ai valori coinvolti, sia relativamente ai soggetti danneggiati. Emblematica in tal senso appare la scelta degli operatori pratici di procedere ad un ampliamento della tutela apprestata alla persona umana in sé considerata in relazione al danno non patrimoniale, ed in questa prospettiva si segnala la ricostruzione del danno biologico, del danno da procreazione, nonché le problematiche connesse al danno cagionato da inesatte informazioni, le conseguenze della perdita di chance, profili che coinvolgono in modo sempre più incisivo la responsabilità del medico, degli operatori sanitari in genere, dei presidi sanitari pubblici e delle case di cura private, nonché dello Stato.

Medical malpractice e regole di responsabilità civile. Tradizione e innovazione

PARRINELLO, Concetta
2008-01-01

Abstract

Il volume tende a ricostruire la responsabilità medica come uno dei modelli possibili, non potendosi più aderire all’idea di un sistema monolitico fondato su uno schema unico di responsabilità, pur se occorre comunque tentare di ricondurre ad unità la categoria. L’esigenza di delimitare l’ambito della responsabilità professionale del sanitario appare dettata dalla necessità di procedere ad un’armonizzazione dei meccanismi di tutela della persona umana sia in relazione alle circostanze che incidono sull’integrità psico-fisica, sia con riferimento alle mere transeunti alterazioni psicologiche che non si possono qualificare come danni alla salute e al fine di realizzare questo obiettivo si tende, per un verso, al superamento del confine tra il modello della responsabilità contrattuale e quella aquiliana e, per altro verso, ad ampliare le ipotesi di comportamenti lesivi ascrivibili al sanitario, ma tecnicamente non collegati alla sua qualifica professionale Tale fenomeno si è concretizzato attraverso continui adattamenti delle regole appartenenti originariamente al sistema del danno patrimoniale al fine di mantenere i vecchi equilibri. Invero, ogni tentativo ha comportato la necessità di mutamenti tali da rendere difficile la riconduzione ad un sistema armonico e l’urgenza di procedere alla ridefinizione delle regole esistenti e alla ricostruzione di un nuovo assetto di principi che presiedono alla tutela della persona umana. Pur se apprezzabile, la spinta verso l’omologazione delle regole e dei modelli finisce per non individuare le caratteristiche dei singoli rapporti giuridici e al contempo per non riuscire ad apprestare gli strumenti di tutela più idonei. Peraltro, se e` pur vero che vi sono norme contenute nelle leggi speciali relative a particolari aspetti dell’attività medica, in realtà non esiste una normativa di carattere generale, con la conseguenza che la giurisprudenza ha avvertito la necessità di ‘‘creare’’ regole idonee a disciplinare particolari e specifici aspetti, anche e soprattutto allorché sono coinvolti profili attinenti alla salute. L’esigenza di ricondurre ad unità la responsabilità medica impone di porre l’attenzione sulla diligenza, che deve pretendersi dal medico nell'esercizio della propria professione. In proposito, non può che richiamarsi la norma contenuta nel secondo comma dell'art. 1176 c.c., che esige, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale, una diligenza adeguata alla natura dell'attività esercitata. Ciò significa, in altri termini, che al professionista sarà richiesto di impiegare la perizia e i mezzi tecnici adeguati alla lex artis, ossia allo standard professionale della sua categoria, che deve informare, in ogni momento, il comportamento professionale del medico; standard, che, a sua volta, permetterà di individuare la prestazione concretamente dovuta e la misura dell'eventuale responsabilità in caso di non corretto adempimento. È necessario precisare, però, che la diligente esecuzione della prestazione può non essere sufficiente; infatti, qualora la prestazione sanitaria sia somministrata in mancanza di un valido consenso ciò comporterà il sorgere del diritto al risarcimento in capo al paziente, e ciò a prescindere dalla correttezza dell'attività medica. In altri termini, il mancato adempimento dell'obbligo di informare il paziente, ottenendone così il consenso, induce a qualificare la terapia, o l'intervento eseguito, un illecito, a prescindere dalla perizia tecnica con cui sia stato svolto. Sempre in rapporto all'attività sanitaria, infine, non può sottacersi il ruolo, certo rilevante, da attribuire alla norma contenuta nell'art. 2236 c.c., in virtù della quale, «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave». È bene precisare, però, che una responsabilità limitata alla colpa grave sarà attuale, non già in occasione di qualsiasi trattamento medico, ma solo ove la prestazione non sia di routine. La norma, contenuta nell'art. 2236 c.c., in altri termini, stabilisce un'eccezione alla comune misura di diligenza, del buon padre di famiglia. Qualora il sanitario sia chiamato a risolvere un problema di particolare delicatezza, quindi, dovrà rispettare requisiti di diligenza e perizia “su misura”, vale a dire adeguati alla circostanza. In questo modo, la responsabilità potrà essere riconosciuta solo all'avverarsi di trascuratezze ed errori di particolare gravità, restando in definitiva congruamente attenuata. Tutto quanto ricordato, deve sempre essere illuminato da una considerazione ovvia, eppure di sicura importanza: la richiesta di un trattamento sanitario fa sorgere, tra professionista e paziente, un contratto, da cui scaturisce un'obbligazione di mezzi, non già di risultato. Da un lato, ciò comporta che non si possa pretendere, dal sanitario, una soluzione predeterminata e certa; dall'altro, non di meno, va sottolineato come sia impensabile e paradossale che la discrezionalità del medico, pur qualificata, possa annichilire la volontà del malato, orientando ogni azione esclusivamente in vista del raggiungimento di quel risultato, che, com'è ovvio, non può essere garantito. Appare evidente al giurista la rivoluzione che ha ridefinito il diritto alla salute, e il connesso rapporto medico-paziente; se, in passato, la salute dell'individuo costituiva un'area riservata all'esclusiva competenza dello specialista, vero e proprio dominus – prima ancora che garante – delle terapie e dei provvedimenti da adottare nell'interesse della persona sottoposta alle sue cure, oggi, alla luce del dettato costituzionale, la prospettiva è radicalmente mutata: dagli anni sessanta del secolo scorso in poi, infatti, si è affermata l'idea che i diritti costituzionali e i principî fondamentali di libertà debbano trovare diretta e immediata applicazione a tutela dei consociati, e con efficacia erga omnes. All'individuo, in quanto tale, si riconosce progressivamente un fascio di diritti assoluti e di prerogative, afferenti al concetto stesso di persona e di sviluppo della personalità, in cui è possibile enucleare, come condizione necessaria, ma non sufficiente, il diritto alla salute. Il valore giuridico rappresentato dal lemma “salute” ha subìto un autentico sdoppiamento. Secondo una prima accezione, per salute si dovrà intendere il «bene» del paziente, inteso in senso oggettivo e in base a criterî scientifici, aventi come riferimento uno standard di «buona salute». Al contempo, la parola salute si riferisce a un bene differente, scolpito, fin dal 1948, nella definizione legale della OMS, che assorbe le componenti del benessere fisico, psichico e sociale: in sostanza, una salute personale. In questo senso, la salute, non più intesa quale criterio generale, è declinata in accezioni individuali: ciascuno ha una propria salute, che ha diritto di perseguire e reclamare nel rapporto terapeutico. Il fulcro, su cui deve essere improntato il rapporto medico-paziente, è dunque rappresentato dal necessario consenso del soggetto, che dovrà ricevere (e non sottoporsi al) la terapia, permettendo, in tal modo, al medico, di intervenire nella di lui sfera soggettiva, personale e, indirettamente, giuridica. Ciò si dimostra ancor più vero, qualora, si consideri che, ad ogni individuo, è collegato il così detto diritto all'autodeterminazione, che, in ambito medico, deve essere scrupolosamente rispettato, anche in ossequio a un preciso, e ben definito, dovere di astensione. processo di contrattualizzazione, che ha investito il regime della responsabilità medica, si è realizzato, più che un sostanziale riequilibrio delle posizioni tra la figura del medico e quella del paziente, un vero contrappasso. La trasposizione, nella prassi, dei principî costituzionali di tutela della persona è avvenuta, nel contesto medico, principalmente attraverso l'espediente dell'inversione dell'onere della prova, rafforzato dal minore rigore con cui si pretende che sia provato il nesso di causalità sussistente tra condotta e lesione e l'elemento soggettivo in capo al medico. La centralità che l’essere umano riveste nell’ordinamento ha imposto l’evoluzione del sistema della responsabilità civile e l’espansione dell’area dei danni risarcibili, sì da porre l’accento più che sul comportamento lesivo, sull’aspetto dell’ingiustizia del danno al fine di garantire almeno in via potenziale il risarcimento di qualunque danno che incide sulla sfera, patrimoniale e non, della persona. Sicché quando gli errori incidono sui valori fondamentali e imprescindibili della persona minandone l’esistenza, la stessa vita o la salute, assumono una rilevanza più ampia e devono essere valutati con particolare severità, e si impongono criteri di valutazione del comportamento del medico particolarmente rigidi tenuto conto che l’attività posta in essere dal professionista può presentare un carattere plurioffensivo sia in ordine ai beni e ai valori coinvolti, sia relativamente ai soggetti danneggiati. Emblematica in tal senso appare la scelta degli operatori pratici di procedere ad un ampliamento della tutela apprestata alla persona umana in sé considerata in relazione al danno non patrimoniale, ed in questa prospettiva si segnala la ricostruzione del danno biologico, del danno da procreazione, nonché le problematiche connesse al danno cagionato da inesatte informazioni, le conseguenze della perdita di chance, profili che coinvolgono in modo sempre più incisivo la responsabilità del medico, degli operatori sanitari in genere, dei presidi sanitari pubblici e delle case di cura private, nonché dello Stato.
2008
Pubblicazioni della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Messina
8814141665
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