Queste riflessioni sulla città di Gerusalemme scaturiscono dalle osservazioni ed emozioni che ho provato nel suo territorio durante un mio recente viaggio in Israele (febbraio 2004). Inizialmente avrei voluto inserire le impressioni della mia indagine “sul campo” in un itinerario di ricerca sul turismo religioso che abbracciasse i luoghi più significativi del Cristianesimo, ma l’impatto con una realtà sociale culturale e politica assai dura mi suggerisce ora di apportare un contributo personale, la mia esperienza in questo territorio, alla discussione sulla delicata questione mediorientale e palestinese attraverso l’esempio più rappresentativo di una città dove la vita quotidiana della popolazione si scontra con le logiche politiche dei governi. Certamente Gerusalemme rappresenta per le persone almeno di religione monoteista il simbolo materiale e fisico dove sacro e profano si congiungono, in essa si recepisce un’identità di luogo che affonda le radici nella spiritualità sia di colui che vive in quel territorio sia di chi ne è lontano; essa è per gran parte della popolazione del mondo un luogo sacro; di conseguenza vivere in un luogo simile, accende un senso di possesso della natura e della qualità di questa terra percepita profondamente diversa rispetto al mondo profano che si trova tutt’intorno. Ma quale può essere oggi il significato di tutto ciò in un contesto mondiale dove il divino sembra aver celato definitivamente il proprio volto e di cui rimangono solamente i monumenti e gli edifici che celebrano e ricordano i luoghi storici e le vicende passate? O meglio: è ancora possibile oggi imbattersi nel sacro? Questa domanda ha assunto per me particolare consistenza quando mi sono trovata a Gerusalemme. Sono giunta qui con aspettative diverse rispetto a quelle che normalmente mi hanno spinta a visitare altri luoghi storici e sacri; anche il più razionale degli esseri umani si reca lì con la speranza di trovarvi quei segni tangibili e intangibili che possano permettere alla sua razionalità di capire e penetrare in ciò che la sua mente respinge: quasi una forma di contatto con un livello altro dall’essere. E quale forma può quindi assumere questo contatto a Gerusalemme, una città dove il divino non vive più apertamente in mezzo agli uomini?
Gerusalemme tra identità e territorio
BRANCATO, Maria Adele
2007-01-01
Abstract
Queste riflessioni sulla città di Gerusalemme scaturiscono dalle osservazioni ed emozioni che ho provato nel suo territorio durante un mio recente viaggio in Israele (febbraio 2004). Inizialmente avrei voluto inserire le impressioni della mia indagine “sul campo” in un itinerario di ricerca sul turismo religioso che abbracciasse i luoghi più significativi del Cristianesimo, ma l’impatto con una realtà sociale culturale e politica assai dura mi suggerisce ora di apportare un contributo personale, la mia esperienza in questo territorio, alla discussione sulla delicata questione mediorientale e palestinese attraverso l’esempio più rappresentativo di una città dove la vita quotidiana della popolazione si scontra con le logiche politiche dei governi. Certamente Gerusalemme rappresenta per le persone almeno di religione monoteista il simbolo materiale e fisico dove sacro e profano si congiungono, in essa si recepisce un’identità di luogo che affonda le radici nella spiritualità sia di colui che vive in quel territorio sia di chi ne è lontano; essa è per gran parte della popolazione del mondo un luogo sacro; di conseguenza vivere in un luogo simile, accende un senso di possesso della natura e della qualità di questa terra percepita profondamente diversa rispetto al mondo profano che si trova tutt’intorno. Ma quale può essere oggi il significato di tutto ciò in un contesto mondiale dove il divino sembra aver celato definitivamente il proprio volto e di cui rimangono solamente i monumenti e gli edifici che celebrano e ricordano i luoghi storici e le vicende passate? O meglio: è ancora possibile oggi imbattersi nel sacro? Questa domanda ha assunto per me particolare consistenza quando mi sono trovata a Gerusalemme. Sono giunta qui con aspettative diverse rispetto a quelle che normalmente mi hanno spinta a visitare altri luoghi storici e sacri; anche il più razionale degli esseri umani si reca lì con la speranza di trovarvi quei segni tangibili e intangibili che possano permettere alla sua razionalità di capire e penetrare in ciò che la sua mente respinge: quasi una forma di contatto con un livello altro dall’essere. E quale forma può quindi assumere questo contatto a Gerusalemme, una città dove il divino non vive più apertamente in mezzo agli uomini?Pubblicazioni consigliate
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