Il volume raccoglie sinteticamente cinque ricerche etnografiche svolte nel corso di circa vent’anni di attività. I cinque capitoli sono introdotti da una interpretazione della ricerca come viaggio, un viaggio effettivamente realizzato in quattro continenti, Africa, Europa, America e Asia, ma che riassume un itinerario formativo e intellettuale riassunto nei luoghi di destinazione. La prima ricerca riguarda gli Arbëreshë, popolazione di origine albanese che vive da quattro secoli nelle regioni meridionali d’Italia. Nel riassumere i tratti significativi della loro cultura, sviluppata al margine tra mondo delle origini e mondo di accoglienza, si evidenzia la caratteristica più importante, cioè la situazione linguistica di diglossia, secondo l’accezione usata da Ferguson. Le variabili che intervengono di volta in volta perché venga scelta uno o l’altro dei due idiomi a disposizione degli italo-albanesi sono descritte sulla base di una lunga osservazione effettuata sul campo. Frutto delle ricerche etnografiche sono anche le analisi della gjitonia, la struttura del vicinato, e del costume matrimoniale, delle feste religiose, dei flussi migratori, ecc. La seconda ricerca è legata a una missione realizzata in British Columbia negli anni 1988-90 presso la popolazione Haida. Nel contesto generale di una descrizione dell’ambiente geografico e delle origini storiche di questa cultura, il centro del saggio riguarda la celebrazione in epoca contemporanea di un potlatch, rito proibito dalla fine dell’Ottocento. La partecipazione al rito ha consentito di dare un’interpretazione aggiornata della questione dell’identità amerindiana. Il terzo e quarto capitolo riassumono i risultati di una ricerca sugli emigrati calabresi in Canada e degli immigrati stranieri in Italia. Viene criticamente affrontata la questione della permanenza nei registri discorsivi delle istituzioni politiche dello stereotipo che considera il territorio, la cultura e la lingua come parte di una omogenea identità, presuntivamente “naturale”. Proprio gli studi sulle migrazioni, in entrata e in uscita, dimostrano la limitatezza di concezioni omogeneizzanti e unilaterali del rapporto tra il territorio e le popolazioni che lo abitano. Il caso concreto della costruzione da parte degli emigrati di un nuovo tipo di comunità, fondata non sulla territorialità, ma sulla rete delle relazioni sociali, viene preso come caso di studio al riguardo. L’ultima ricerca, invece, prende le mosse da alcuni casi di cronaca nera che hanno interessato l’uccisione di medici da parte di pazienti o di loro familiari. Nella rigorosa connessione tra le cause e gli effetti della biomedicina si insinua, in determinati contesti e in determinate circostanze, una variabile che potremmo definire di tipo magico, cioè legata a interpretazioni diverse di quella connessione. In breve, il medico e l’apparato istituzionale della terapia vengono vissuti spesso come invincibili e capaci di sconfiggere la morte, purché lo si voglia (ecco la struttura magica di tale pensiero). Di fronte alla scoperta che la medicina non può tutto, come certe pratiche di accanimento terapeutico suggeriscono alla fantasia di persone disperate, la reazione può sconfinare nell’omicidio di colui che si ritiene responsabile di “non aver voluto” guarire o salvare dalla morte il paziente.

Appuntamento a Samarcanda. Taccuini e saggi di ricerca antropologica

BOLOGNARI, Mario
2008-01-01

Abstract

Il volume raccoglie sinteticamente cinque ricerche etnografiche svolte nel corso di circa vent’anni di attività. I cinque capitoli sono introdotti da una interpretazione della ricerca come viaggio, un viaggio effettivamente realizzato in quattro continenti, Africa, Europa, America e Asia, ma che riassume un itinerario formativo e intellettuale riassunto nei luoghi di destinazione. La prima ricerca riguarda gli Arbëreshë, popolazione di origine albanese che vive da quattro secoli nelle regioni meridionali d’Italia. Nel riassumere i tratti significativi della loro cultura, sviluppata al margine tra mondo delle origini e mondo di accoglienza, si evidenzia la caratteristica più importante, cioè la situazione linguistica di diglossia, secondo l’accezione usata da Ferguson. Le variabili che intervengono di volta in volta perché venga scelta uno o l’altro dei due idiomi a disposizione degli italo-albanesi sono descritte sulla base di una lunga osservazione effettuata sul campo. Frutto delle ricerche etnografiche sono anche le analisi della gjitonia, la struttura del vicinato, e del costume matrimoniale, delle feste religiose, dei flussi migratori, ecc. La seconda ricerca è legata a una missione realizzata in British Columbia negli anni 1988-90 presso la popolazione Haida. Nel contesto generale di una descrizione dell’ambiente geografico e delle origini storiche di questa cultura, il centro del saggio riguarda la celebrazione in epoca contemporanea di un potlatch, rito proibito dalla fine dell’Ottocento. La partecipazione al rito ha consentito di dare un’interpretazione aggiornata della questione dell’identità amerindiana. Il terzo e quarto capitolo riassumono i risultati di una ricerca sugli emigrati calabresi in Canada e degli immigrati stranieri in Italia. Viene criticamente affrontata la questione della permanenza nei registri discorsivi delle istituzioni politiche dello stereotipo che considera il territorio, la cultura e la lingua come parte di una omogenea identità, presuntivamente “naturale”. Proprio gli studi sulle migrazioni, in entrata e in uscita, dimostrano la limitatezza di concezioni omogeneizzanti e unilaterali del rapporto tra il territorio e le popolazioni che lo abitano. Il caso concreto della costruzione da parte degli emigrati di un nuovo tipo di comunità, fondata non sulla territorialità, ma sulla rete delle relazioni sociali, viene preso come caso di studio al riguardo. L’ultima ricerca, invece, prende le mosse da alcuni casi di cronaca nera che hanno interessato l’uccisione di medici da parte di pazienti o di loro familiari. Nella rigorosa connessione tra le cause e gli effetti della biomedicina si insinua, in determinati contesti e in determinate circostanze, una variabile che potremmo definire di tipo magico, cioè legata a interpretazioni diverse di quella connessione. In breve, il medico e l’apparato istituzionale della terapia vengono vissuti spesso come invincibili e capaci di sconfiggere la morte, purché lo si voglia (ecco la struttura magica di tale pensiero). Di fronte alla scoperta che la medicina non può tutto, come certe pratiche di accanimento terapeutico suggeriscono alla fantasia di persone disperate, la reazione può sconfinare nell’omicidio di colui che si ritiene responsabile di “non aver voluto” guarire o salvare dalla morte il paziente.
2008
9788883241246
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