La monografia è incentrata su una tematica di confine fra obbligazioni e diritti reali, atto e negozio giuridico, qual è quella del c.d. abbandono liberatorio, che trova il suo riferimento normativo privilegiato nell’abbandono liberatorio del fondo servente (artt. 1070 c.c.). Attraverso l'analisi delle fonti viene individuata la natura dei due istituti, per giungere alla conclusione che abbandono e rinunzia sono concetti diversi e non assimilabili: sia per area semantica, sia per struttura e funzione, sia per disciplina giuridica. L’abbandono è atto che ricade lato sensu nel potere di disposizione patrimoniale del soggetto che ne è autore e il suo significato, pur abbracciando una molteplicità di accezioni, è riconducibile, anche per antica tradizione, alla derelictio, atto con il quale il proprietario di una cosa mobile se ne disfa volontariamente e definitivamente. Il solco che divide la derelictio dalla renuntiatio è profondo e radicale, consistendo la prima in una azione materiale, fattispecie causale idonea a produrre, con la perdita cosciente e volontaria del possesso, l’effetto estintivo della proprietà, non richiedendo né presupponendo alcuna dichiarazione. Diversa la rinunzia, negozio abdicativo (fattispecie causale) che comporta la perdita del diritto reale (effetto) quando ha per oggetto beni immobili. A sostegno della tesi proposta la necessità di una formale dichiarazione per la rinunzia (forma scritta sotto pena di nullità: art. 1350 n. 5 c.c.), soggetta a trascrizione (art. 2646 n. 5 c.c.); mentre l’intenzione dell’abbandono è direttamente ricavabile dalla derelictio. Dalla rinunzia puramente abdicativa si distingue la rinunzia “liberatoria”, figura del tutto peculiare che riguarda la complessa vicenda caratterizzata dall’intreccio di due posizioni, una attiva (titolarità di un diritto reale), ed una passiva (soggezione a un obbligo): entrambe legate da un nesso di reciproca interferenza che le rende indissociabili. Sono le ipotesi dell’abbandono liberatorio del fondo servente (art. 1070 c.c.), denominazione di cui è spiegata la genesi storica dell’equivoco terminologico – trattandosi di negozio e non di mero atto, qual è l’abbandono - e cui è dedicata un’ampia disamina quale prototipo della categoria di rinunzia liberatoria. Trattasi di una dichiarazione negoziale di rinunzia alla proprietà di un fondo fatta a favore di altro proprietario per ottenere la liberazione da un obbligo collegato alla titolarità del bene. Lo schema tipico della rinunzia è qui contrassegnato dallo scopo ulteriore, eccedente rispetto al mezzo impiegato dal soggetto (debitore) per conseguire la liberazione da un obbligo propter rem. Le altre fattispecie di rinunzia liberatoria ripetono l’identico meccanismo: liberazione dall’obbligo mediante rinunzia a un diritto reale. Sono i casi di rinunzia al diritto sulla cosa comune da parte del partecipante al fine di liberarsi dal debito delle spese (art. 1104 c.c.) o prestazioni (artt. 882 e 888 c.c.) o perdite (art. 285 c. navigazione) a suo carico. Ai limiti concettuali della rinunzia liberatoria è dedicato infine l’ultimo capitolo del libro ove, premesso lo schema della rinunzia liberatoria in senso tecnico, si analizzano le ipotesi in esso non inquadrabili, come il caso della rinunzia per scopo diverso dalla liberazione (art. 540 ss. cod. nav.);della liberazione mediante atto diverso dalla rinunzia (art. 1128 co. 4 c.c.); della rinunzia a diritti reali parziari; della messa a disposizione di beni a scopo liquidatorio (art. 1977 c.c.; art. 507 c.c.; art. 2858 c.c.).

ABBANDONO E RINUNZIA LIBERATORIA

LA TORRE, Maria Enza
1993-01-01

Abstract

La monografia è incentrata su una tematica di confine fra obbligazioni e diritti reali, atto e negozio giuridico, qual è quella del c.d. abbandono liberatorio, che trova il suo riferimento normativo privilegiato nell’abbandono liberatorio del fondo servente (artt. 1070 c.c.). Attraverso l'analisi delle fonti viene individuata la natura dei due istituti, per giungere alla conclusione che abbandono e rinunzia sono concetti diversi e non assimilabili: sia per area semantica, sia per struttura e funzione, sia per disciplina giuridica. L’abbandono è atto che ricade lato sensu nel potere di disposizione patrimoniale del soggetto che ne è autore e il suo significato, pur abbracciando una molteplicità di accezioni, è riconducibile, anche per antica tradizione, alla derelictio, atto con il quale il proprietario di una cosa mobile se ne disfa volontariamente e definitivamente. Il solco che divide la derelictio dalla renuntiatio è profondo e radicale, consistendo la prima in una azione materiale, fattispecie causale idonea a produrre, con la perdita cosciente e volontaria del possesso, l’effetto estintivo della proprietà, non richiedendo né presupponendo alcuna dichiarazione. Diversa la rinunzia, negozio abdicativo (fattispecie causale) che comporta la perdita del diritto reale (effetto) quando ha per oggetto beni immobili. A sostegno della tesi proposta la necessità di una formale dichiarazione per la rinunzia (forma scritta sotto pena di nullità: art. 1350 n. 5 c.c.), soggetta a trascrizione (art. 2646 n. 5 c.c.); mentre l’intenzione dell’abbandono è direttamente ricavabile dalla derelictio. Dalla rinunzia puramente abdicativa si distingue la rinunzia “liberatoria”, figura del tutto peculiare che riguarda la complessa vicenda caratterizzata dall’intreccio di due posizioni, una attiva (titolarità di un diritto reale), ed una passiva (soggezione a un obbligo): entrambe legate da un nesso di reciproca interferenza che le rende indissociabili. Sono le ipotesi dell’abbandono liberatorio del fondo servente (art. 1070 c.c.), denominazione di cui è spiegata la genesi storica dell’equivoco terminologico – trattandosi di negozio e non di mero atto, qual è l’abbandono - e cui è dedicata un’ampia disamina quale prototipo della categoria di rinunzia liberatoria. Trattasi di una dichiarazione negoziale di rinunzia alla proprietà di un fondo fatta a favore di altro proprietario per ottenere la liberazione da un obbligo collegato alla titolarità del bene. Lo schema tipico della rinunzia è qui contrassegnato dallo scopo ulteriore, eccedente rispetto al mezzo impiegato dal soggetto (debitore) per conseguire la liberazione da un obbligo propter rem. Le altre fattispecie di rinunzia liberatoria ripetono l’identico meccanismo: liberazione dall’obbligo mediante rinunzia a un diritto reale. Sono i casi di rinunzia al diritto sulla cosa comune da parte del partecipante al fine di liberarsi dal debito delle spese (art. 1104 c.c.) o prestazioni (artt. 882 e 888 c.c.) o perdite (art. 285 c. navigazione) a suo carico. Ai limiti concettuali della rinunzia liberatoria è dedicato infine l’ultimo capitolo del libro ove, premesso lo schema della rinunzia liberatoria in senso tecnico, si analizzano le ipotesi in esso non inquadrabili, come il caso della rinunzia per scopo diverso dalla liberazione (art. 540 ss. cod. nav.);della liberazione mediante atto diverso dalla rinunzia (art. 1128 co. 4 c.c.); della rinunzia a diritti reali parziari; della messa a disposizione di beni a scopo liquidatorio (art. 1977 c.c.; art. 507 c.c.; art. 2858 c.c.).
1993
Università di Messina Istituto di Diritto privato della FAcoltà di Economia e commercio
9788814039706
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