Il presente studio mira a ricostruire i rapporti tra scienza e diritto prendendo come specifico punto di osservazione il giudizio di costituzionalità (lato sensu inteso, e quindi comprensivo sia dei giudizi di legittimità costituzionali sia degli altri giudizi che si svolgono dinanzi alla Corte costituzionale). In particolare, l’analisi è condotta esaminando l’incidenza dei “fatti” nei giudizi di costituzionalità, il che presuppone che si fornisca una definizione dei fatti rilevanti nei giudizi in parola. Dalla prospettiva di indagine seguita deriva la necessaria riflessione sulle peculiarità del tessuto linguistico della Costituzione e sulla capacità della realtà sociale di pervadere le trame normative. Il presente lavoro, al contempo, ritiene ineludibile esaminare la tematica in questione anche da una prospettiva più ampia; per questa ragione vengono esaminati i modelli di teoria della Costituzione che maggiormente fotografano la capacità dei contesti fattuali di caratterizzare le norme giuridiche. Una volta individuate le coordinate teoriche di riferimento, lo studio in esame affronta la giurisprudenza costituzionale e prova a ricostruire i modelli argomentativi utilizzati in presenza di questioni scientifiche controverse, con particolare riguardo all’uso retorico del contesto scientifico di riferimento. Dall’analisi giurisprudenziale vengono tratte anche alcune importanti indicazioni circa i canali di accesso della Corte costituzionale ai c.d. fatti scientifici: in presenza di uno sporadico ricorso ai poteri istruttori assume, infatti, particolare rilevanza l’acquisizione informale delle informazioni tecniche necessarie per risolvere i casi sottoposti al’esame del Giudice delle leggi. In definitiva, la disamina delle principali linee argomentative delle decisioni costituzionali in materia sembra delineare l’immagine di un tribunale costituzionale tendenzialmente pronto a recepire le istanze poste dalla continua evoluzione della scienza e della tecnica. Una Corte, cioè, apparentemente disponibile ad adeguarsi alle problematiche che quotidianamente emergono in una società tecnologicamente avanzata. Per questo verso, la Consulta, oltre ad essere organo di chiusura del sistema, secondo una formula ormai invalsa nella dottrina costituzionalistica, è anche, in un’accezione diversa, “organo di apertura” del sistema giuridico verso le nuove questioni poste da una realtà in continuo mutamento. Al contempo, però, non mancano le decisioni dalle quali sembra trasparire una certa ritrosia nell’affrontare i problemi relativi al fondamento scientifico di una data norma. Non di rado, infatti, la Consulta ha preferito rinviare la questione al giudice rimettente o fare leva sulle valutazioni acquisite nel corso del giudizio a quo o aderire semplicemente ai giudizi di fatto effettuati dalle parti nel contraddittorio. Ciò è, peraltro, avvenuto anche nei casi in cui il fondamento scientifico di una data norma era oggetto di valutazioni discordanti. In generale, quando la Corte ha ritenuto opportuno accertare le basi scientifiche della norma impugnata, lo ha fatto “con discrezione” ricorrendo, molto spesso, a fatti notori (o apparentemente tali), a regole della comune esperienza, all’id quod plerumque accidit ecc. In altre parole, la Corte vuole evitare di apparire come il giudice del “fatto”, pur dipendendo, in molti casi, dall’analisi di questo, l’esito del giudizio costituzionale. Al contempo, nei casi in cui è costretta a prendere in esame il fondamento scientifico delle norme censurate, l’idea di “scienza” che viene fuori dalle sue decisioni è quella di un complesso monolitico di conoscenze, di cui può disporre il solo legislatore statale. In questo quadro, il giudice delle leggi svolge un compito quasi marginale, essendo chiamato a dichiarare l’incostituzionalità delle sole norme che si pongano in palese ed indiscusso contrasto con determinati presupposti scientifici. Questa configurazione del proprio ruolo evita alla Corte di lasciarsi travolgere dalle controversie scientifiche, limitandosi ad intervenire solo in caso di assoluta carenza o di aperto contrasto della normativa censurata con gli assunti scientifici di fondo. Probabilmente, la ragione di questo atteggiamento va individuata in quel bisogno di dare certezze di diritto costituzionale, che spinge la Consulta ad evitare, quando possibile, di prendere posizione sugli elementi fattuali. L’eventuale divergente valutazione di essi, infatti, potrebbe far perdere questo carattere alle decisioni del giudice delle leggi. Per tali motivi la Corte, quando utilizza i fatti in genere e quello scientifico e tecnico in particolare, molto spesso non motiva sufficientemente il ricorso ad essi, volendo appunto evitare che venga sindacata la sua capacità di leggere la realtà e di utilizzare questa “lettura” per riempire di significato il testo costituzionale. Al riguardo, è evidente che se la Corte ricorresse in maniera più consistente all’esercizio dei poteri istruttori, probabilmente in determinati casi sarebbe costretta ad uniformarsi alla consulenza ottenuta, perdendo, di fatto, il potere sovrano di dichiarare il “diritto vivente costituzionale”.

Scienza e diritto nella prospettiva del giudice delle leggi

D'AMICO, Giacomo
2008-01-01

Abstract

Il presente studio mira a ricostruire i rapporti tra scienza e diritto prendendo come specifico punto di osservazione il giudizio di costituzionalità (lato sensu inteso, e quindi comprensivo sia dei giudizi di legittimità costituzionali sia degli altri giudizi che si svolgono dinanzi alla Corte costituzionale). In particolare, l’analisi è condotta esaminando l’incidenza dei “fatti” nei giudizi di costituzionalità, il che presuppone che si fornisca una definizione dei fatti rilevanti nei giudizi in parola. Dalla prospettiva di indagine seguita deriva la necessaria riflessione sulle peculiarità del tessuto linguistico della Costituzione e sulla capacità della realtà sociale di pervadere le trame normative. Il presente lavoro, al contempo, ritiene ineludibile esaminare la tematica in questione anche da una prospettiva più ampia; per questa ragione vengono esaminati i modelli di teoria della Costituzione che maggiormente fotografano la capacità dei contesti fattuali di caratterizzare le norme giuridiche. Una volta individuate le coordinate teoriche di riferimento, lo studio in esame affronta la giurisprudenza costituzionale e prova a ricostruire i modelli argomentativi utilizzati in presenza di questioni scientifiche controverse, con particolare riguardo all’uso retorico del contesto scientifico di riferimento. Dall’analisi giurisprudenziale vengono tratte anche alcune importanti indicazioni circa i canali di accesso della Corte costituzionale ai c.d. fatti scientifici: in presenza di uno sporadico ricorso ai poteri istruttori assume, infatti, particolare rilevanza l’acquisizione informale delle informazioni tecniche necessarie per risolvere i casi sottoposti al’esame del Giudice delle leggi. In definitiva, la disamina delle principali linee argomentative delle decisioni costituzionali in materia sembra delineare l’immagine di un tribunale costituzionale tendenzialmente pronto a recepire le istanze poste dalla continua evoluzione della scienza e della tecnica. Una Corte, cioè, apparentemente disponibile ad adeguarsi alle problematiche che quotidianamente emergono in una società tecnologicamente avanzata. Per questo verso, la Consulta, oltre ad essere organo di chiusura del sistema, secondo una formula ormai invalsa nella dottrina costituzionalistica, è anche, in un’accezione diversa, “organo di apertura” del sistema giuridico verso le nuove questioni poste da una realtà in continuo mutamento. Al contempo, però, non mancano le decisioni dalle quali sembra trasparire una certa ritrosia nell’affrontare i problemi relativi al fondamento scientifico di una data norma. Non di rado, infatti, la Consulta ha preferito rinviare la questione al giudice rimettente o fare leva sulle valutazioni acquisite nel corso del giudizio a quo o aderire semplicemente ai giudizi di fatto effettuati dalle parti nel contraddittorio. Ciò è, peraltro, avvenuto anche nei casi in cui il fondamento scientifico di una data norma era oggetto di valutazioni discordanti. In generale, quando la Corte ha ritenuto opportuno accertare le basi scientifiche della norma impugnata, lo ha fatto “con discrezione” ricorrendo, molto spesso, a fatti notori (o apparentemente tali), a regole della comune esperienza, all’id quod plerumque accidit ecc. In altre parole, la Corte vuole evitare di apparire come il giudice del “fatto”, pur dipendendo, in molti casi, dall’analisi di questo, l’esito del giudizio costituzionale. Al contempo, nei casi in cui è costretta a prendere in esame il fondamento scientifico delle norme censurate, l’idea di “scienza” che viene fuori dalle sue decisioni è quella di un complesso monolitico di conoscenze, di cui può disporre il solo legislatore statale. In questo quadro, il giudice delle leggi svolge un compito quasi marginale, essendo chiamato a dichiarare l’incostituzionalità delle sole norme che si pongano in palese ed indiscusso contrasto con determinati presupposti scientifici. Questa configurazione del proprio ruolo evita alla Corte di lasciarsi travolgere dalle controversie scientifiche, limitandosi ad intervenire solo in caso di assoluta carenza o di aperto contrasto della normativa censurata con gli assunti scientifici di fondo. Probabilmente, la ragione di questo atteggiamento va individuata in quel bisogno di dare certezze di diritto costituzionale, che spinge la Consulta ad evitare, quando possibile, di prendere posizione sugli elementi fattuali. L’eventuale divergente valutazione di essi, infatti, potrebbe far perdere questo carattere alle decisioni del giudice delle leggi. Per tali motivi la Corte, quando utilizza i fatti in genere e quello scientifico e tecnico in particolare, molto spesso non motiva sufficientemente il ricorso ad essi, volendo appunto evitare che venga sindacata la sua capacità di leggere la realtà e di utilizzare questa “lettura” per riempire di significato il testo costituzionale. Al riguardo, è evidente che se la Corte ricorresse in maniera più consistente all’esercizio dei poteri istruttori, probabilmente in determinati casi sarebbe costretta ad uniformarsi alla consulenza ottenuta, perdendo, di fatto, il potere sovrano di dichiarare il “diritto vivente costituzionale”.
2008
9788896116012
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