Il primo studio rappresenta un assaggio di quello che potrebbe essere una ricognizione degli acquisti espressivi di un testo classico di sapore burlesco, come Il Ciclope euripideo, quando venga trascritto in una lingua piú densamente “comica” quale è il dialetto siciliano maneggiato da un rifacitore (ancorché nel senso, qui non necessariamente peggiorativo, di traduttore di traduttori) del calibro di Luigi Pirandello. Il secondo studio tenta di dimostrare come l’esercizio umanistico della traduzione in latino di opere moderne possa contribuire – purché sia guidato non già dal desiderio di un’esibizione virtuosistica ma dal gusto e dalla sicura competenza della gamma espressiva del latino classico – all’interpretazione dei percorsi compositivi e, dunque, dei valori poetici del dettato originale (nel nostro caso: L’Infinito di Giacomo Leopardi). Un capitolo della fortuna italiana di Mallarmé è brevemente ricostruito nel terzo studio, dedicato alla traduzione dell’Après-midi d’un Faune procurata, sul finire degli anni Quaranta, dal poeta ragusano Giovanni Antonio Di Giacomo, meglio noto come Vann’Antò: esso documenta come l’orizzonte provinciale di un traduttore che, nonostante i suoi esordî avanguardistici, s’era poi raffrenato in uno stanco calligrafismo di scuola, intervenga a condizionare una versione mallarmeana condotta con il gusto di una troppo corriva cantabilità arcadica. Il quarto e il quinto e studio hanno entrambi per oggetto Paul Valéry e sono correlati alle due prove di traduzione offerte in appendice. In particolare: il quarto studio mostra la stretta connessione tra le idee di Valéry sulla traduzione (espresse soprattutto nelle Variations sur les “Bucoliques”) e il quadro generale della sua estetica e, attraverso l’analisi (limitata a due campioni tratti dalla prima egloga) dei procedimenti formali da lui adibiti nella sua traduzione vergiliana, indica come per il poeta francese non si desse alcuna differenza tra la poetica del tradurre e la poetica del produrre un testo. Questo assunto teorico viene applicato, nel quinto studio, a una poesia dello stesso Valéry, di cui si tenta una versione isometrica condotta, per quel che è stato possibile, nel rispetto dell’ideale di traduzione poetica vagheggiato nelle Variations.

La traduzione della poesia. Studî e prove.

LOMBARDO, Giovanni
2009-01-01

Abstract

Il primo studio rappresenta un assaggio di quello che potrebbe essere una ricognizione degli acquisti espressivi di un testo classico di sapore burlesco, come Il Ciclope euripideo, quando venga trascritto in una lingua piú densamente “comica” quale è il dialetto siciliano maneggiato da un rifacitore (ancorché nel senso, qui non necessariamente peggiorativo, di traduttore di traduttori) del calibro di Luigi Pirandello. Il secondo studio tenta di dimostrare come l’esercizio umanistico della traduzione in latino di opere moderne possa contribuire – purché sia guidato non già dal desiderio di un’esibizione virtuosistica ma dal gusto e dalla sicura competenza della gamma espressiva del latino classico – all’interpretazione dei percorsi compositivi e, dunque, dei valori poetici del dettato originale (nel nostro caso: L’Infinito di Giacomo Leopardi). Un capitolo della fortuna italiana di Mallarmé è brevemente ricostruito nel terzo studio, dedicato alla traduzione dell’Après-midi d’un Faune procurata, sul finire degli anni Quaranta, dal poeta ragusano Giovanni Antonio Di Giacomo, meglio noto come Vann’Antò: esso documenta come l’orizzonte provinciale di un traduttore che, nonostante i suoi esordî avanguardistici, s’era poi raffrenato in uno stanco calligrafismo di scuola, intervenga a condizionare una versione mallarmeana condotta con il gusto di una troppo corriva cantabilità arcadica. Il quarto e il quinto e studio hanno entrambi per oggetto Paul Valéry e sono correlati alle due prove di traduzione offerte in appendice. In particolare: il quarto studio mostra la stretta connessione tra le idee di Valéry sulla traduzione (espresse soprattutto nelle Variations sur les “Bucoliques”) e il quadro generale della sua estetica e, attraverso l’analisi (limitata a due campioni tratti dalla prima egloga) dei procedimenti formali da lui adibiti nella sua traduzione vergiliana, indica come per il poeta francese non si desse alcuna differenza tra la poetica del tradurre e la poetica del produrre un testo. Questo assunto teorico viene applicato, nel quinto studio, a una poesia dello stesso Valéry, di cui si tenta una versione isometrica condotta, per quel che è stato possibile, nel rispetto dell’ideale di traduzione poetica vagheggiato nelle Variations.
2009
Cognitio
9788864730011
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