Come capita tra gli scrittori siciliani quando raccontano della Passione, grandi sono le tensioni esistenziali, le esitazioni che attraversano i loro scritti e qui ci sollecitano a essere inquadrate sul piano antropologico del resto attento, dagli inizi, nei confronti della festa e, forse eccessivamente, delle sue appariscenze spettacolari. Di sicuro meno attenta alle rappresentazioni letterarie che ne hanno fatto importanti intellettuali esterni alla disciplina, scrittori, prevalentemente di estrazione borghese, dall’Ottocento a oggi operanti ai margini della crescita accademica dell’antropologia. Disporre degli usi letterari della festa in Sicilia vuol dire, allora, ragionare sulla posizione assunta dagli scrittori rispetto a un ‘campo folklorico’ che appare più ampio rispetto a quello concettualizzato dalla tradizione demologica. Il dispositivo festivo non vi appare come prerogativa ristretta alla ‘subalternità’ folklorica, quale meccanismo rassicurante di autorappresentazione e autotutela mistica delle relazioni. Al contrario, nelle evocazioni letterarie siciliane, i giorni festivi appaiono soffocanti e contraddittori: tanto invasi e invasivi, coi loro fasti, le loro pretese di salvezza, quanto distanti da una vita sociale che continua a scorrere impassibile nei suoi conflitti quotidiani che, anzi, la festa serve a esaltare, per contrasto, sul piano delle narratologie. Invasività e, al tempo stesso, sordità dell’evento festivo che narratori come Giovanni Verga e Leonardo Sciascia sperimentano anche nelle loro biografie. Sarà soprattutto Francesco Lanza a inscenare, in alcuni racconti, la Passione, come segno premonitore di una distanza tra la Morte e la Festa che, scopriremo, lo scrittore avrà modo di provare sulla sua pelle nell’ultima settimana (non santa) della sua brevissima vita.

I giorni invasi. Francesco Lanza e la Passione nella Sicilia letteraria

GERACI, Mauro
2010-01-01

Abstract

Come capita tra gli scrittori siciliani quando raccontano della Passione, grandi sono le tensioni esistenziali, le esitazioni che attraversano i loro scritti e qui ci sollecitano a essere inquadrate sul piano antropologico del resto attento, dagli inizi, nei confronti della festa e, forse eccessivamente, delle sue appariscenze spettacolari. Di sicuro meno attenta alle rappresentazioni letterarie che ne hanno fatto importanti intellettuali esterni alla disciplina, scrittori, prevalentemente di estrazione borghese, dall’Ottocento a oggi operanti ai margini della crescita accademica dell’antropologia. Disporre degli usi letterari della festa in Sicilia vuol dire, allora, ragionare sulla posizione assunta dagli scrittori rispetto a un ‘campo folklorico’ che appare più ampio rispetto a quello concettualizzato dalla tradizione demologica. Il dispositivo festivo non vi appare come prerogativa ristretta alla ‘subalternità’ folklorica, quale meccanismo rassicurante di autorappresentazione e autotutela mistica delle relazioni. Al contrario, nelle evocazioni letterarie siciliane, i giorni festivi appaiono soffocanti e contraddittori: tanto invasi e invasivi, coi loro fasti, le loro pretese di salvezza, quanto distanti da una vita sociale che continua a scorrere impassibile nei suoi conflitti quotidiani che, anzi, la festa serve a esaltare, per contrasto, sul piano delle narratologie. Invasività e, al tempo stesso, sordità dell’evento festivo che narratori come Giovanni Verga e Leonardo Sciascia sperimentano anche nelle loro biografie. Sarà soprattutto Francesco Lanza a inscenare, in alcuni racconti, la Passione, come segno premonitore di una distanza tra la Morte e la Festa che, scopriremo, lo scrittore avrà modo di provare sulla sua pelle nell’ultima settimana (non santa) della sua brevissima vita.
2010
9788496864481
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