La celebrazione dei morti nelle comunità arbëreshe dell’Italia meridionale si svolge con una collocazione calendariale e delle modalità rituali interessanti. Essa precede di una settimana il carnevale e ha come protagonista il cibo, elementi entrambi che rinviano alla concezione della morte come premessa della resurrezione. Infatti, siamo in una fase dell’anno che preannuncia la primavera e l’alimentazione indica una complessa e ambivalente relazione dei vivi con i morti. Il caso analizzato in questa monografia è quello di San Demetrio Corone, provincia di Cosenza. La sequenza cerimoniale inizia al mattino, quando dalla chiesa madre parte un corteo che cantando dei salmi si recherà al cimitero. Qui le famiglie raggiungono le tombe dei loro congiunti, che vengono imbandite con pane, salumi, vino e altri cibi e bevande. Al termine del rito tutti raggiungono nuovamente la chiesa dove secondo il rito greco si svolge una santa messa durante la quale il sacerdote distribuisce i collivi, tocchi di pane con grano bollito e condito. Nel corso della giornata le abitazioni vengono coinvolte nella celebrazione dei defunti con il pranzo molto ricco, con un menu standard, che viene consumato dalle famiglie riunite. In ogni tavola le famiglie lasciano un posto vuoto per accogliere così simbolicamente l’anima di un defunto. Nel corso della mattinata nelle abitazioni dove si è verificato un lutto nel corso dell’ultimo anno il sacerdote si reca per elevare la panaghia, una benedizione in onore dei morti durante la quale si spegne una candela dentro un piatto contenente grano bollito e si distribuiscono ai presenti dei collivi. Il rito arbëresh è inserito nel contesto delle diverse concezioni della morte come inizio di una nuova vita o prosecuzione della vita. Soprattutto, vengono esaminati i significati attribuiti ai diversi alimenti utilizzati nei diversi momenti della sequenza cerimoniale, in particolare il pane, che indica fecondità, il grano bollito, che rinvia al chicco che deve morire ed essere seppellito per poter rinascere, al vino, considerato nel Mediterraneo generatore di sangue e sangue esso stesso. Una comparazione viene prospettata tra la festa dei morti, che gli Arbëreshë chiamano Psycosabbaton, e altre analoghe celebrazioni che si incentrano sulla relazione cibo/morte, come coppia di elementi in opposizione e come coppia di elementi intrecciati tra loro, come, per esempio, il cunsulu che in molte parti dell’Italia viene organizzato per fornire consolazione ai parenti del defunto. Il testo è corredato da fotografie che sono state scattate alla metà degli anni Ottanta del Novecento, in bianco e nero, e che ormai costituiscono una documentazione preziosa della festa così come veniva celebrata prima delle più recenti innovazioni introdotte per effetto di due elementi: la modernizzazione e la riscoperta della tradizione, entrambe intervenute nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso.

Il banchetto degli invisibili. La festa dei morti nei rituali di una comunità del Sud

BOLOGNARI, Mario
2010-01-01

Abstract

La celebrazione dei morti nelle comunità arbëreshe dell’Italia meridionale si svolge con una collocazione calendariale e delle modalità rituali interessanti. Essa precede di una settimana il carnevale e ha come protagonista il cibo, elementi entrambi che rinviano alla concezione della morte come premessa della resurrezione. Infatti, siamo in una fase dell’anno che preannuncia la primavera e l’alimentazione indica una complessa e ambivalente relazione dei vivi con i morti. Il caso analizzato in questa monografia è quello di San Demetrio Corone, provincia di Cosenza. La sequenza cerimoniale inizia al mattino, quando dalla chiesa madre parte un corteo che cantando dei salmi si recherà al cimitero. Qui le famiglie raggiungono le tombe dei loro congiunti, che vengono imbandite con pane, salumi, vino e altri cibi e bevande. Al termine del rito tutti raggiungono nuovamente la chiesa dove secondo il rito greco si svolge una santa messa durante la quale il sacerdote distribuisce i collivi, tocchi di pane con grano bollito e condito. Nel corso della giornata le abitazioni vengono coinvolte nella celebrazione dei defunti con il pranzo molto ricco, con un menu standard, che viene consumato dalle famiglie riunite. In ogni tavola le famiglie lasciano un posto vuoto per accogliere così simbolicamente l’anima di un defunto. Nel corso della mattinata nelle abitazioni dove si è verificato un lutto nel corso dell’ultimo anno il sacerdote si reca per elevare la panaghia, una benedizione in onore dei morti durante la quale si spegne una candela dentro un piatto contenente grano bollito e si distribuiscono ai presenti dei collivi. Il rito arbëresh è inserito nel contesto delle diverse concezioni della morte come inizio di una nuova vita o prosecuzione della vita. Soprattutto, vengono esaminati i significati attribuiti ai diversi alimenti utilizzati nei diversi momenti della sequenza cerimoniale, in particolare il pane, che indica fecondità, il grano bollito, che rinvia al chicco che deve morire ed essere seppellito per poter rinascere, al vino, considerato nel Mediterraneo generatore di sangue e sangue esso stesso. Una comparazione viene prospettata tra la festa dei morti, che gli Arbëreshë chiamano Psycosabbaton, e altre analoghe celebrazioni che si incentrano sulla relazione cibo/morte, come coppia di elementi in opposizione e come coppia di elementi intrecciati tra loro, come, per esempio, il cunsulu che in molte parti dell’Italia viene organizzato per fornire consolazione ai parenti del defunto. Il testo è corredato da fotografie che sono state scattate alla metà degli anni Ottanta del Novecento, in bianco e nero, e che ormai costituiscono una documentazione preziosa della festa così come veniva celebrata prima delle più recenti innovazioni introdotte per effetto di due elementi: la modernizzazione e la riscoperta della tradizione, entrambe intervenute nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso.
2010
9788883241369
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