Il riso. Un tema sovente confinato negli studi di letteratura e di estetica, può prestarsi a un’insolita occasione di riflessione politica. Avviene quando gli apparati teoretici tradizionali hanno necessità di confrontarsi con il flusso mobile della vita fatto di emergenze, dissonanze, rotture; quando, a fronte dei complessi eventi globali, l’ordine della polis deve fare i conti con il disordine, provocando nuove domande di senso. Oggetto del volume è la pensabilità dell’incongruo che non si può “dire” ma solo “ridere”. Lo strumento assunto dall’Autrice in funzione ermeneutica è l’umorismo ebraico. Frutto di un popolo da sempre al margine degli spazi convenzionali, nutrito del mutevole e dello straordinario, tale umorismo mobilita l’ordine dei significati, affrancandoli dall’oppressione del senso unico. Come afferma Jankélévitch, l’umorismo «non nasconde spade tra le pieghe della sua tunica» ma esercita «il dubbio e la precarietà». Non degrada ma ricrea. Inscritto nel nome di Isacco, Colui che ride, e incarnato nella figura yiddish del “piccolo uomo”, il riso ebraico, che ha affascinato Freud, è un riso di stupore capace di svelare «il pathos dell’incompletezza» peculiare della filosofia dell’origine, dimenticato dalla nostra civiltà della pienezza. Platone aveva escluso il riso dalla città, preoccupato che cagionasse «rischiosi mutamenti»: riappropriarsene apre la via per una ricreazione dello spazio politico.
Colui che ride. Per una ricreazione dello spazio politico.
SCHEPIS, Maria Felicia
2011-01-01
Abstract
Il riso. Un tema sovente confinato negli studi di letteratura e di estetica, può prestarsi a un’insolita occasione di riflessione politica. Avviene quando gli apparati teoretici tradizionali hanno necessità di confrontarsi con il flusso mobile della vita fatto di emergenze, dissonanze, rotture; quando, a fronte dei complessi eventi globali, l’ordine della polis deve fare i conti con il disordine, provocando nuove domande di senso. Oggetto del volume è la pensabilità dell’incongruo che non si può “dire” ma solo “ridere”. Lo strumento assunto dall’Autrice in funzione ermeneutica è l’umorismo ebraico. Frutto di un popolo da sempre al margine degli spazi convenzionali, nutrito del mutevole e dello straordinario, tale umorismo mobilita l’ordine dei significati, affrancandoli dall’oppressione del senso unico. Come afferma Jankélévitch, l’umorismo «non nasconde spade tra le pieghe della sua tunica» ma esercita «il dubbio e la precarietà». Non degrada ma ricrea. Inscritto nel nome di Isacco, Colui che ride, e incarnato nella figura yiddish del “piccolo uomo”, il riso ebraico, che ha affascinato Freud, è un riso di stupore capace di svelare «il pathos dell’incompletezza» peculiare della filosofia dell’origine, dimenticato dalla nostra civiltà della pienezza. Platone aveva escluso il riso dalla città, preoccupato che cagionasse «rischiosi mutamenti»: riappropriarsene apre la via per una ricreazione dello spazio politico.Pubblicazioni consigliate
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