Il provvedimento cautelare del Tribunale di Patti offre peculiari spunti ricostruttivi, in primo luogo per quel che attiene alla visione, oltremodo lata, del requisito di “forma” del licenziamento: il punto centrale dell’impianto argomentativo è rappresentato, infatti, dalla configurazione della procedura prevista dal contratto collettivo per l’irrogazione della sanzione disciplinare (ed estesa dal contratto stesso all’intimazione della sanzione espulsiva) quale forma convenzionale ex art. 1352 c.c., voluta cioè dalle parti per la validità stessa dell’atto. Invero, le prescrizioni e le garanzie procedimentali in materia di potere disciplinare, siccome estensivamente interpretate dalla ricca elaborazione giurisprudenziale in tema di licenziamento c.d. “ontologicamente disciplinare”, costituiscono l’emblema di un formalismo complesso e polivalente. Nel caso di specie, il decidente ha ritenuto che dalla violazione della norma pattizia derivi, senz’altro, la «nullità» del licenziamento, con conseguente «applicazione della c.d. tutela reale di cui all’art. 18 Stat. Lav., e ciò a prescindere dalla sussistenza del previsto requisito dimensionale». Siffatte conclusioni meritano un’attenta riflessione critica: si tratta di ricostruire, a fronte della lacuna normativa sul punto, il tipo di invalidità che inficia il licenziamento disciplinare irritualmente intimato, nonché il conseguente regime sanzionatorio; operazione, questa, implicante un inevitabile intreccio tra normativa civilistica e normativa giuslavoristica.
Forme convenzionali e nullità del licenziamento disciplinare
SORACI, SERGIO
2012-01-01
Abstract
Il provvedimento cautelare del Tribunale di Patti offre peculiari spunti ricostruttivi, in primo luogo per quel che attiene alla visione, oltremodo lata, del requisito di “forma” del licenziamento: il punto centrale dell’impianto argomentativo è rappresentato, infatti, dalla configurazione della procedura prevista dal contratto collettivo per l’irrogazione della sanzione disciplinare (ed estesa dal contratto stesso all’intimazione della sanzione espulsiva) quale forma convenzionale ex art. 1352 c.c., voluta cioè dalle parti per la validità stessa dell’atto. Invero, le prescrizioni e le garanzie procedimentali in materia di potere disciplinare, siccome estensivamente interpretate dalla ricca elaborazione giurisprudenziale in tema di licenziamento c.d. “ontologicamente disciplinare”, costituiscono l’emblema di un formalismo complesso e polivalente. Nel caso di specie, il decidente ha ritenuto che dalla violazione della norma pattizia derivi, senz’altro, la «nullità» del licenziamento, con conseguente «applicazione della c.d. tutela reale di cui all’art. 18 Stat. Lav., e ciò a prescindere dalla sussistenza del previsto requisito dimensionale». Siffatte conclusioni meritano un’attenta riflessione critica: si tratta di ricostruire, a fronte della lacuna normativa sul punto, il tipo di invalidità che inficia il licenziamento disciplinare irritualmente intimato, nonché il conseguente regime sanzionatorio; operazione, questa, implicante un inevitabile intreccio tra normativa civilistica e normativa giuslavoristica.Pubblicazioni consigliate
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