La talassemia rientra tra quelle malattie che il sapere biomedico annovera come croniche. La cronicità ci costringe a confrontarci sul piano del rapporto tra la malattia e la vita, tra la sofferenza come stato d’eccezione e come stato di normalità; a trovare una soluzione al conflitto tra il mondo della vita così come viene strutturato dagli apparati del biopotere e il mondo individuale della persona interessata dalla malattia, superando lo stereotipo e lo stigma della diversità. Il corpo sociale, con il suo ordine imposto, tende a leggere l’esperienza della malattia cronica attraverso la categoria della diversità, attribuendole un’accezione negativa, come se definisse uno stato di mancanza o di lontananza da un modello ideale. Questo processo di stigmatizzazione ha delle conseguenze sulla persona e la sua identità (Goffman) e legittima politiche e strategie che, pur congegnate per alleviare le sofferenze, finiscono per costruire muri di esclusione e di silenzi. Intorno al dolore cronico esiste un mondo politico e sociale strutturato per fornire assistenza e far fronte alla sofferenza (Good). Se da una parte, però, le istituzioni della medicina moderna tendono a costruire il mondo della vita, dall’altra esse spesso distruggono il mondo quotidiano della persona che soffre. L’identità è il risultato di un processo continuo di reinterpretazione del sé frutto della nostra biografia e dell’interazione con il gruppo culturale di riferimento (Mead). Nel caso della malattia cronica spesso la persona si percepisce e si narra debole, insicura, diversa o non sana, in conseguenza al modo in cui viene etichettata dal gruppo sociale di riferimento. I valori culturali e i rapporti sociali, cioè, influiscono sull’esperienza del corpo e della malattia, essendo la dimensione del corpo in re-lazione e socialmente costruita (Butler). Se da una parte il corpo che vive un’esperienza di malattia cronica diviene luogo di dominio della pratica medica, dall’altra è un agente d’esperienza attraverso cui la persona conosce il mondo e gli attribuisce significati. La malattia grave provoca un «mutamento nell’esperienza incarnata del mondo della vita» e dà luogo a ciò che Good definisce la “distruzione del mondo” della persona. La narrazione si presenta come un efficace strumento attraverso cui il mondo del soggetto viene ricostruito. Essa serve a fare ordine, ad attribuire significati all’esperienza e senso alla propria storia; permette alla persona di rivisitare il proprio passato reinterpretandolo attraverso l’esperienza dell’oggi. L’articolo prenderà in analisi i racconti autobiografici di venti persone tra i 26 e i 55 anni in cura presso il centro di microcitemia del Policlinico di Messina nei quali viene narrata la propria esperienza di illness. Attraverso di essi si ragionerà sulla maniera in cui le rappresentazioni sociali della talassemia incidono sulla costruzione dello stigma e sull’identità delle persone che vivono la malattia, ma anche sulle strategie messe in atto per decostruire e superare la categoria della diversità.

Narrare la malattia cronica: talassemia, stigma e rappresentazioni sociali

RAFFA, VALENTINA
2016-01-01

Abstract

La talassemia rientra tra quelle malattie che il sapere biomedico annovera come croniche. La cronicità ci costringe a confrontarci sul piano del rapporto tra la malattia e la vita, tra la sofferenza come stato d’eccezione e come stato di normalità; a trovare una soluzione al conflitto tra il mondo della vita così come viene strutturato dagli apparati del biopotere e il mondo individuale della persona interessata dalla malattia, superando lo stereotipo e lo stigma della diversità. Il corpo sociale, con il suo ordine imposto, tende a leggere l’esperienza della malattia cronica attraverso la categoria della diversità, attribuendole un’accezione negativa, come se definisse uno stato di mancanza o di lontananza da un modello ideale. Questo processo di stigmatizzazione ha delle conseguenze sulla persona e la sua identità (Goffman) e legittima politiche e strategie che, pur congegnate per alleviare le sofferenze, finiscono per costruire muri di esclusione e di silenzi. Intorno al dolore cronico esiste un mondo politico e sociale strutturato per fornire assistenza e far fronte alla sofferenza (Good). Se da una parte, però, le istituzioni della medicina moderna tendono a costruire il mondo della vita, dall’altra esse spesso distruggono il mondo quotidiano della persona che soffre. L’identità è il risultato di un processo continuo di reinterpretazione del sé frutto della nostra biografia e dell’interazione con il gruppo culturale di riferimento (Mead). Nel caso della malattia cronica spesso la persona si percepisce e si narra debole, insicura, diversa o non sana, in conseguenza al modo in cui viene etichettata dal gruppo sociale di riferimento. I valori culturali e i rapporti sociali, cioè, influiscono sull’esperienza del corpo e della malattia, essendo la dimensione del corpo in re-lazione e socialmente costruita (Butler). Se da una parte il corpo che vive un’esperienza di malattia cronica diviene luogo di dominio della pratica medica, dall’altra è un agente d’esperienza attraverso cui la persona conosce il mondo e gli attribuisce significati. La malattia grave provoca un «mutamento nell’esperienza incarnata del mondo della vita» e dà luogo a ciò che Good definisce la “distruzione del mondo” della persona. La narrazione si presenta come un efficace strumento attraverso cui il mondo del soggetto viene ricostruito. Essa serve a fare ordine, ad attribuire significati all’esperienza e senso alla propria storia; permette alla persona di rivisitare il proprio passato reinterpretandolo attraverso l’esperienza dell’oggi. L’articolo prenderà in analisi i racconti autobiografici di venti persone tra i 26 e i 55 anni in cura presso il centro di microcitemia del Policlinico di Messina nei quali viene narrata la propria esperienza di illness. Attraverso di essi si ragionerà sulla maniera in cui le rappresentazioni sociali della talassemia incidono sulla costruzione dello stigma e sull’identità delle persone che vivono la malattia, ma anche sulle strategie messe in atto per decostruire e superare la categoria della diversità.
2016
978-88-95992-36-5
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