Nel prendere le mosse dalla critica di Sören Kierkegaard all’allora nascente società di massa, il volume affronta questioni tutt’oggi cruciali per il ripensamento filosofico di una politicità che ha esasperato la massa portandola all’ammasso. Al centro della riflessione su dinamiche globali, che coinvolgono tutti ma non responsabilizzano più nessuno, l’autrice colloca i temi più battuti dal filosofo danese: le derive della convivenza senza coesistenza, l’assolutizzazione dell’esteriorità a scapito dell’interiorità, il peso specifico della ‘singolarità’ rispetto alla ‘folla’. Ne deriva una lettura che invoca il pathos esistenziale quale presidio dinanzi all’indifferenza e all’insofferenza di un’epoca che assiste inerme al ripiegamento delle democrazie su se stesse. Non la passività dell’affezione patica, quanto l’appassionarsi del testimone che viene allo scoperto esponendo in corpore vivo quell’eccedenza da sempre inaccessibile alla pretesa totalizzante del potente di turno. La disposizione ideale a patire è sfida al potere, sfida religiosa, in accordo con la provocazione kierkegaardiana, secondo la quale “fare l’uomo di governo in modo religioso è essere sofferente, governare in modo religioso è sofferenza”.
Potere e patire. Una lettura kierkegaardiana
RECUPERO, MARIA GRAZIA
2015-01-01
Abstract
Nel prendere le mosse dalla critica di Sören Kierkegaard all’allora nascente società di massa, il volume affronta questioni tutt’oggi cruciali per il ripensamento filosofico di una politicità che ha esasperato la massa portandola all’ammasso. Al centro della riflessione su dinamiche globali, che coinvolgono tutti ma non responsabilizzano più nessuno, l’autrice colloca i temi più battuti dal filosofo danese: le derive della convivenza senza coesistenza, l’assolutizzazione dell’esteriorità a scapito dell’interiorità, il peso specifico della ‘singolarità’ rispetto alla ‘folla’. Ne deriva una lettura che invoca il pathos esistenziale quale presidio dinanzi all’indifferenza e all’insofferenza di un’epoca che assiste inerme al ripiegamento delle democrazie su se stesse. Non la passività dell’affezione patica, quanto l’appassionarsi del testimone che viene allo scoperto esponendo in corpore vivo quell’eccedenza da sempre inaccessibile alla pretesa totalizzante del potente di turno. La disposizione ideale a patire è sfida al potere, sfida religiosa, in accordo con la provocazione kierkegaardiana, secondo la quale “fare l’uomo di governo in modo religioso è essere sofferente, governare in modo religioso è sofferenza”.File | Dimensione | Formato | |
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