La libertà di aprire luoghi di culto, quale profilo fondamentale della tutela della dimensione collettiva della libertà religiosa, e la legittimità di limitazioni statalmente imposte all’esercizio di tale libertà, sono state di recente al centro di importanti interventi della giurisprudenza nazionale ma pure sovranazionale, costituendo una sfida con cui deve misurarsi il già fragile equilibrio fra sistemi di diritto ecclesiastico che prevedono “diversi livelli di uguaglianza” e il sistema di garanzie offerto a livello europeo. In particolare con la decisione Izzettin Doğan and Others v. Turkey la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha riscontrato una violazione dell’art. 14 letto congiuntamente con l’art. 9 CEDU nella legge statale turca, nella misura in cui non offre adeguata tutela alla libertà di manifestazione del proprio credo ad un gruppo confessionale minoritario (Alevi), ossia la possibilità di fruire di “servizi religiosi pubblici” (garantiti solo alla maggioranza islamica sunnita) e il riconoscimento dei suoi “cemevis” come luoghi di culto. La maggioranza dei giudici ha riscontrato nel non riconoscimento statale dell’autonoma esistenza di tale appartenenza religiosa minoritaria (da cui deriva un trattamento giuridico asimmetrico rispetto a quello riconosciuto alla fede maggioritaria) una condotta rilevante non solo sotto il profilo della proibizione di forme di discriminazione ma pure sotto quello della lesione del dovere di neutralità statale, in quanto le restrizioni imposte alla comunità Alevi vulnerano la possibilità di esercitare compiutamente i diritti garantiti dall’art. 9 CEDU. La pronunzia si colloca nel solco del filone giurisprudenziale della Corte poco incline ad accettare passivamente le scelte del legislatore nazionale volte a realizzare forme di cooperazione selettiva o comunque sia a riconoscere maggiori benefici a taluni gruppi confessionali. Il rapporto sinergico tra l’art. 9 e l’art. 14 induce pertanto la Corte ad un più rigoroso scrutinio dei regimi nazionali, indirizzato ad incidere sulle modalità nazionali di regolazione del pluralismo. E’ pur vero però che la compressione subita dal margine di apprezzamento nel caso di specie va intesa alla luce della specificità del caso turco e del trattamento ivi subito dai gruppi minoritari in termini di pregnante limitazione di un profilo di base della libertà religiosa in forma collettiva. Sulla stessa lunghezza d’onda del giudice europeo si colloca la pronunzia n. 63 del 23 febbraio 2016 della Corte Costituzionale italiana, intervenuta a valutare la coerenza con la Carta costituzionale di una normativa regionale concernente lapianificazione e realizzazione di luoghi di culto e di attrezzature per i servizi religiosi. La Corte, considerando la possibilità dell’apertura di luoghi di culto un aspetto essenziale dell’esercizio della libertà religiosa, ha escluso che possa rientrare nella competenza regionale la possibilità di introdurre forme differenziate di godimento di profili fondamentali della libertà religiosa (nella specie condizionando la possibilità di disporre di luoghi dedicati al culto al godimento di un’Intesa con lo Stato, al radicamento del gruppo confessionale sul territorio ed ai contenuti degli statuti); la Corte inoltre nel valutare i limiti opponibili alla libertà di religione si è avvalsa del parametro di proporzionalità per calibrare le istanze di libertà confessionale con gli interessi con le stesse in conflitto (ad es. sicurezza e ordine pubblico). Il confronto fra le due pronunzie evidenzia una convergenza di fondo sul piano trasversale della salvaguardia di quel nucleo di fondo costituito dalla tutela dei profili essenziali dell’esercizio della libertà religiosa che dovrebbe necessariamente implicare uno standard comune di protezione e offre l’occasione per riflettere sull’importanza del dialogo transnazionale che la Corte europea dei diritti dell’uomo sta sviluppando con le Corti e i legislatori nazionali: la pronunzia esaminata rafforza anziché indebolire l’orientamento europeo per cui nella sede nazionale va rintracciato il contesto più idoneo ad offrire una “regolazione democraticamente gestita” della libertà religiosa dei singoli e dei gruppi.

LA LIBERTÀ DI APRIRE LUOGHI DI CULTO E I SUOI LIMITI NELLA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA NAZIONALE E SOVRANAZIONALE

MADERA, Adelaide
2017-01-01

Abstract

La libertà di aprire luoghi di culto, quale profilo fondamentale della tutela della dimensione collettiva della libertà religiosa, e la legittimità di limitazioni statalmente imposte all’esercizio di tale libertà, sono state di recente al centro di importanti interventi della giurisprudenza nazionale ma pure sovranazionale, costituendo una sfida con cui deve misurarsi il già fragile equilibrio fra sistemi di diritto ecclesiastico che prevedono “diversi livelli di uguaglianza” e il sistema di garanzie offerto a livello europeo. In particolare con la decisione Izzettin Doğan and Others v. Turkey la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha riscontrato una violazione dell’art. 14 letto congiuntamente con l’art. 9 CEDU nella legge statale turca, nella misura in cui non offre adeguata tutela alla libertà di manifestazione del proprio credo ad un gruppo confessionale minoritario (Alevi), ossia la possibilità di fruire di “servizi religiosi pubblici” (garantiti solo alla maggioranza islamica sunnita) e il riconoscimento dei suoi “cemevis” come luoghi di culto. La maggioranza dei giudici ha riscontrato nel non riconoscimento statale dell’autonoma esistenza di tale appartenenza religiosa minoritaria (da cui deriva un trattamento giuridico asimmetrico rispetto a quello riconosciuto alla fede maggioritaria) una condotta rilevante non solo sotto il profilo della proibizione di forme di discriminazione ma pure sotto quello della lesione del dovere di neutralità statale, in quanto le restrizioni imposte alla comunità Alevi vulnerano la possibilità di esercitare compiutamente i diritti garantiti dall’art. 9 CEDU. La pronunzia si colloca nel solco del filone giurisprudenziale della Corte poco incline ad accettare passivamente le scelte del legislatore nazionale volte a realizzare forme di cooperazione selettiva o comunque sia a riconoscere maggiori benefici a taluni gruppi confessionali. Il rapporto sinergico tra l’art. 9 e l’art. 14 induce pertanto la Corte ad un più rigoroso scrutinio dei regimi nazionali, indirizzato ad incidere sulle modalità nazionali di regolazione del pluralismo. E’ pur vero però che la compressione subita dal margine di apprezzamento nel caso di specie va intesa alla luce della specificità del caso turco e del trattamento ivi subito dai gruppi minoritari in termini di pregnante limitazione di un profilo di base della libertà religiosa in forma collettiva. Sulla stessa lunghezza d’onda del giudice europeo si colloca la pronunzia n. 63 del 23 febbraio 2016 della Corte Costituzionale italiana, intervenuta a valutare la coerenza con la Carta costituzionale di una normativa regionale concernente lapianificazione e realizzazione di luoghi di culto e di attrezzature per i servizi religiosi. La Corte, considerando la possibilità dell’apertura di luoghi di culto un aspetto essenziale dell’esercizio della libertà religiosa, ha escluso che possa rientrare nella competenza regionale la possibilità di introdurre forme differenziate di godimento di profili fondamentali della libertà religiosa (nella specie condizionando la possibilità di disporre di luoghi dedicati al culto al godimento di un’Intesa con lo Stato, al radicamento del gruppo confessionale sul territorio ed ai contenuti degli statuti); la Corte inoltre nel valutare i limiti opponibili alla libertà di religione si è avvalsa del parametro di proporzionalità per calibrare le istanze di libertà confessionale con gli interessi con le stesse in conflitto (ad es. sicurezza e ordine pubblico). Il confronto fra le due pronunzie evidenzia una convergenza di fondo sul piano trasversale della salvaguardia di quel nucleo di fondo costituito dalla tutela dei profili essenziali dell’esercizio della libertà religiosa che dovrebbe necessariamente implicare uno standard comune di protezione e offre l’occasione per riflettere sull’importanza del dialogo transnazionale che la Corte europea dei diritti dell’uomo sta sviluppando con le Corti e i legislatori nazionali: la pronunzia esaminata rafforza anziché indebolire l’orientamento europeo per cui nella sede nazionale va rintracciato il contesto più idoneo ad offrire una “regolazione democraticamente gestita” della libertà religiosa dei singoli e dei gruppi.
2017
978-88-9391-117-7
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