Il tema della procreazione medicalmente assistita a distanza di più di dieci anni dall’approvazione della legge n. 40 del 2004 offre ulteriori spunti di riflessione per stigmatizzare la carente sensibilità culturale emersa nelle soluzioni apprestate dal legislatore che per lungo tempo rimangono immutate. Le aspettative e non i semplici desideri di genitorialità per le coppie in difficoltà sono state tradite non solo dalla disciplina in sé ma anche dal clima da stadio che si è alimentato a seguito all’approvazione della legge n. 40 e per tale motivo ci si sofferma, tra l’altro, sull’applicazione differenziata della stessa da Regione a Regione, a seconda delle disponibilità economiche di ciascuna di queste, e dai contrasti interpretativi insorti tra i giudici comuni. Pertanto, l’evoluzione della scienza biomedica, rendendo possibile anche la procreazione “artificiale”, è stata mortificata da un legislatore alquanto avaro di attenzioni nei confronti delle esigenze legate alla procreazione, della ricerca scientifica e del diritto alla salute e in questa luce la legge 40 risulta ormai vetuste e ampiamente superate. Il lavoro si sofferma su un particolare aspetto che ha acuito le criticità apparse immediatamente dopo la pubblicazione della legge 40 e cioè sulle linee-guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di PMA stabilite dal Ministero della salute «vincolanti per tutte le strutture autorizzate» e contenenti divieti e prescrizioni, alcuni dei quali dichiarati a distanza di tempo illegittimi. Il risultato, come si dirà tra poco, è stato quello di cristallizzare il far west dello status quo ante, poiché l’attività delle Corti non si può sostituire interamente il legislatore, soprattutto in un particolare «il contesto sociale». Anche le linee guida non sono soddisfacenti poiché la scelta delle fonti di attuazione della legge avrebbe dovuto concretarsi in un supporto tecnico prevalente delle società scientifiche, quali organi richiamati costantemente dal giudice delle leggi per esternare «le evidenze scientifiche e il loro raggiunto grado di condivisione a livello sovranazionale» di solito migliorative, sino a prova contraria, per i destinatari della PMA . La disciplina «ispirata ai valori di dignità e vita» e soggetta ad evoluzioni tecnicoscientifiche avrebbe dovuto avere quelle caratteristiche, ripetutamente sottolineate dalla dottrina, di una legislazione aperta, flessibile e leggera, idonea a soddisfare le legittime istanze dei consociati per lo sviluppo della persona umana e la valorizzazione delle possibili differenziazioni dei potenziali destinatari includendo il numero maggiore di soggetti. Attraverso le linee-guida sulla PMA si è assistito, invece, ad una torsione del dato normativo poiché si vieta la diagnosi preimpianto lasciando in vita solo quella prenatale.

Forma e sostanza delle linee-guida in tema di procreazione medicalmente assistita (notazioni problematiche e ricostruttive)

QUATTROCCHI, Maria Letteria
2017-01-01

Abstract

Il tema della procreazione medicalmente assistita a distanza di più di dieci anni dall’approvazione della legge n. 40 del 2004 offre ulteriori spunti di riflessione per stigmatizzare la carente sensibilità culturale emersa nelle soluzioni apprestate dal legislatore che per lungo tempo rimangono immutate. Le aspettative e non i semplici desideri di genitorialità per le coppie in difficoltà sono state tradite non solo dalla disciplina in sé ma anche dal clima da stadio che si è alimentato a seguito all’approvazione della legge n. 40 e per tale motivo ci si sofferma, tra l’altro, sull’applicazione differenziata della stessa da Regione a Regione, a seconda delle disponibilità economiche di ciascuna di queste, e dai contrasti interpretativi insorti tra i giudici comuni. Pertanto, l’evoluzione della scienza biomedica, rendendo possibile anche la procreazione “artificiale”, è stata mortificata da un legislatore alquanto avaro di attenzioni nei confronti delle esigenze legate alla procreazione, della ricerca scientifica e del diritto alla salute e in questa luce la legge 40 risulta ormai vetuste e ampiamente superate. Il lavoro si sofferma su un particolare aspetto che ha acuito le criticità apparse immediatamente dopo la pubblicazione della legge 40 e cioè sulle linee-guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di PMA stabilite dal Ministero della salute «vincolanti per tutte le strutture autorizzate» e contenenti divieti e prescrizioni, alcuni dei quali dichiarati a distanza di tempo illegittimi. Il risultato, come si dirà tra poco, è stato quello di cristallizzare il far west dello status quo ante, poiché l’attività delle Corti non si può sostituire interamente il legislatore, soprattutto in un particolare «il contesto sociale». Anche le linee guida non sono soddisfacenti poiché la scelta delle fonti di attuazione della legge avrebbe dovuto concretarsi in un supporto tecnico prevalente delle società scientifiche, quali organi richiamati costantemente dal giudice delle leggi per esternare «le evidenze scientifiche e il loro raggiunto grado di condivisione a livello sovranazionale» di solito migliorative, sino a prova contraria, per i destinatari della PMA . La disciplina «ispirata ai valori di dignità e vita» e soggetta ad evoluzioni tecnicoscientifiche avrebbe dovuto avere quelle caratteristiche, ripetutamente sottolineate dalla dottrina, di una legislazione aperta, flessibile e leggera, idonea a soddisfare le legittime istanze dei consociati per lo sviluppo della persona umana e la valorizzazione delle possibili differenziazioni dei potenziali destinatari includendo il numero maggiore di soggetti. Attraverso le linee-guida sulla PMA si è assistito, invece, ad una torsione del dato normativo poiché si vieta la diagnosi preimpianto lasciando in vita solo quella prenatale.
2017
978-88-9391-145-0
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