Il presente lavoro si colloca in un’area idealmente definita dall’intersezione di filosofia del diritto, filosofia della mente e filosofia del linguaggio: la sua finalità complessiva è la rivisitazione e approfondimento della teoria istituzionalistica del diritto, il suo rapporto con le principali correnti giusfilosofiche e, segnatamente, il ruolo che in essa assumono le dimensioni della discorsività, dell’argomentazione e della giustificazione. Le tesi istituzionalistiche vengono fatte oggetto di rilettura all’interno di un quadro teorico per molti versi eclettico, che trae nutrimento, appunto, dalla filosofia del diritto, dalla filosofia del linguaggio e della mente, con diversi punti di contatto con le teorie di matrice sociologica sul proprium dell’organizzazione umana. Il fulcro, tuttavia, è nella esplorazione delle possibilità di una ricostruzione del fenomeno giuridico nei termini della teoria dell’interpretazione intenzionale, dell’azione intenzionale e dei sistemi intenzionali, nonché della teoria del linguaggio sviluppata da Robert Brandom, tenendo fermo, come postulato fondamentale imprescindibile, un quadro ontologico che, nel rifiuto di strategie riduzionistiche, conferisca piena dignità alla sfera del normativo, colto sia nella dimensione discorsiva della prassi linguistica sia nella realtà delle istituzioni – complesso intreccio di fatto, norma, azione e tempo, ossia storia. Ed è attraverso questo percorso, che ci si è sforzati di rendere il più possibile lineare e verificabile, che potrà proporsi una analisi dei rapporti tra diritto e morale che tenga conto dei modi in cui la razionalità, attraverso i meccanismi dell’intenzionalità, si esplica in rapporto agli enti sociali, la cui possibilità di esistenza dipende dal discorso e dalla responsabilità, in senso lato normativa, dei partecipanti al game of giving and asking for reasons, ed, ancora prima, dalla intenzionalità originaria localizzata nella comunità, che sembrerebbe rinviare ad una forma di hegelismo. Quanto alla struttura della tesi, essa è suddivisa in due macrosezioni, articolate in quattro e cinque capitoli rispettivamente, oltre ad un epilogo in cui saranno rassegnate le conclusioni. Nella prima parte, “Linguaggio, Intenzionalità E Diritto: Materiali Concettuali E Prospettive di Analisi”, vengono poste le premesse di metodo e teoriche per poter procedere alla rilettura della teoria istituzionalistica del diritto, oggetto della seconda parte, “Ripensare Il Neoistituzionalismo”. Il primo capitolo affronta questioni di portata generale concernenti i rapporti tra diritto e linguaggio, traendo spunto dai contributi più recenti sul tema ed esponendo sinteticamente i capisaldi dell’approccio analitico, ermeneutico e pragmatista, nonché, più diffusamente, della teoria del discorso, con lo scopo non solo di effettuare una utile ricognizione delle opzioni in campo, ma anche di acquisire strumenti, tesi e argomenti, da utilizzare nel corso del lavoro, affinché questo possa svolgersi con maggiore consapevolezza teorica. Il capitolo prosegue fornendo alcune indicazioni topografiche per orientarsi sul tema della normatività, con precipua attenzione al dominio della filosofia del diritto. Il discorso non sarebbe, tuttavia, completo senza congrui cenni al cruciale dibattito filosofico sulla natura, funzione e caratteri della teoria del diritto, il cui statuto oscilla tradizionalmente tra scienza e dottrina morale, descrizione di un fenomeno complesso così come esso è, e prescrizione, su come il diritto - e la sua stessa teoria - dovrebbero essere. La posizione che si sottoscrive è, si evidenzia, a favore di una teoria latamente prescrittiva che sia aperta a considerazioni di valore e che abbracci un robusto cognitivismo metaetico. Nel secondo capitolo si introduce il tema dell’intenzionalità quale nozione filosofica, attraverso la succinta esposizione delle teorie classiche di Brentano e Husserl, e, quindi, tra le proposte contemporanee, quella sviluppata da John Searle. Le sezioni successive sono dedicate all’opera di Daniel C. Dennett, ed in special modo alla teoria dei sistemi intenzionali e della interpretazione intenzionale, focalizzando l’attenzione sui meccanismi di ascrizione degli stati intenzionali e, soprattutto, sulle finalità dell’interpretazione intenzionale. Il terzo capitolo ruota intorno alla concezione pragmatica del linguaggio elaborata da Robert Brandom, basata in notevole misura sulle intuizioni di Wittgenstein, Austin e Searle, di cui si darà conto sinteticamente, ed imperniata sulla formulazione del deontic scorekeeping model of discorsive practice. Vengono puntualmente esaminate le tesi caratterizzanti la teoria di Brandom, secondo quanto esposto nel capolavoro Making It Explicit e nella produzione successiva, tenendo ben presente la letteratura critica: la nozione di status deontico, l’espressivismo, l’inferenzialismo come teoria del significato e dei concetti, la concezione della verità, della percezione e dell’azione. Il quarto capitolo, “Il Diritto Come Pratica Deliberativa, Espressiva Ed Agonistica, Tra Gioco Linguistico e Deontic Scorekeeping”, si prefigge lo scopo di illustrare alcuni degli esempi più rilevanti ai nostri fini di appropriazione del pensiero del “secondo” Wittgenstein e di Robert Brandom nell’ambito giusfilosofico. Si esamineranno le tesi di Thomas Morawetz sul diritto come pratica “aperta” e “deliberativa”, e, quindi, i contributi di Matthias Klatt, Damiano Canale e Giovanni Tuzet, i quali declinano con grande acume la pragmatica inferenzialista brandomiana nel contesto della teoria dell’argomentazione giuridica. Infine, si tratterà dell’interessante tentativo di ricostruzione dei meccanismi di legittimazione dell’ordine politico da parte di Thomas Fossen che si appoggia esplicitamente al modello del deontic scorekeeping. La seconda parte, “Ripensare il Neoistituzionalismo”, consta, come detto, di cinque capitoli, ed ha come obiettivo la revisione delle tesi più convincenti della tradizione istituzionalista, filtrate alla luce delle considerazioni e dei contributi considerati nella prima parte. Il capitolo cinque ha ad oggetto la ricognizione e ricostruzione in chiave critica dei postulati caratterizzanti l’istituzionalismo giusfilosofico e la sua agenda teorica, attribuendo particolare rilievo alla tesi centrale del diritto come istituzione, ed alle sue implicazioni sul piano ontologico e per ciò che concerne il problema della validità delle norme. La trattazione si snoda attraverso l’esposizione succinta del pensiero dei principali istituzionalisti classici, Santi Romano e Maurice Hauriou, e l’approfondimento dell’opera dei più importanti autori neoistituzionalisti, Ota Weinberger e Neil MacCormick. Nel sesto capitolo si dà conto delle soluzioni offerte al problema della costruzione della realtà sociale e della “datità” delle istituzioni, quasi un ossimoro, che necessita di ampia ed approfondita riflessione. Lo scopo principale del capitolo è la comprensione di questi oggetti singolarissimi, le istituzioni appunto, all’interno dell’agenda giusfilosofica. Il concetto di istituzione viene approcciato a partire dagli assunti del neoistituzionalismo, inclusa la posizione di M. La Torre, trascorrendo, quindi, alla disamina scrupolosa della articolata teoria di Searle sulla costruzione della realtà sociale. Il capitolo sette prosegue, per molti aspetti, il discorso sviluppato nel capitolo precedente, spostando l’attenzione, per così dire, sul rovescio della medaglia, occupandosi del rapporto tra la soggettività e lo strato istituzionale della realtà. Se infatti, come noi riteniamo, non può darsi realtà sociale senza istituzioni, queste non possono darsi senza soggettività, la quale, a sua volta, non può che definirsi anche con riguardo alle sue proiezioni intenzionali nell’oggettività dell’azione e delle norme. Si affronterà, pertanto, il tema dell’agire intenzionale, innanzitutto operando una ricognizione delle coordinate essenziali della action theory, per poi passare in rassegna le proposte di John Searle e Ota Weinberger, concludendo con la rimarchevole ricostruzione operata da Lorini dei livelli dell’agire istituzionale, ossia delle diverse descrizioni che si possono fornire di una medesima condotta, intesa in senso materiale, rispetto ad uno sfondo ontologico istituzionale. Il capitolo ottavo si confronta con il tema della validità, una delle questioni più importanti della filosofia del diritto, a completamento del quadro sin qui tracciato. Dopo una indicazione sintetica degli interessi in gioco, si espongono in chiave critica le principali opzioni teoriche in merito, e, quindi, in maggiore profondità, le proposte dell’istituzionalismo, per poi passare alle ricadute dell’adozione di una posizione inferenzialista sulla questione della validità, attraverso l’esame del pregevole lavoro di Giovanni Sartor. L’ultimo capitolo si propone di accostare, in chiave comparativa, il concetto di diritto come istituzione alle più note teorie giusfilosofiche ancora ben presenti nel dibattito contemporaneo, ponendo mente, in special modo, alla vexata questio dei rapporti tra diritto e morale: il positivismo, il giusrealismo nelle due principali versioni, quella scandinava e quella americana, il giusnaturalismo. L’istituzionalismo, in particolare nella originale lettura di M. La Torre, emerge, infine, come forma moderata di giusnaturalismo inclusivo che trae dal giuspositivismo inclusivo l’idea che i principi morali giochino un ruolo nella norma di riconoscimento (quindi, nell’identificazione del diritto valido, in quanto tale vincolante), ponendo l’accento sulla dimensione argomentativa e procedurale del diritto, in ciò differenziandosi dal giusnaturalismo esclusivo, rispetto al quale evita l’appiattimento su proposizioni universali sostantive da cui derivare norme giuridiche concrete, per lo più per via di inferenza logica. L’epilogo, a chiusura del lavoro, traccia un bilancio dei nove capitoli, suggerendo alcune conclusioni a partire dalla ricognizione effettuata.

SISTEMI INTENZIONALI, ISTITUZIONI E CONCETTO DI DIRITTO. PER UNA RILETTURA CRITICA DELL'ISTITUZIONALISMO GIURIDICO

SMIROLDO, ETTORE
2017-09-28

Abstract

Il presente lavoro si colloca in un’area idealmente definita dall’intersezione di filosofia del diritto, filosofia della mente e filosofia del linguaggio: la sua finalità complessiva è la rivisitazione e approfondimento della teoria istituzionalistica del diritto, il suo rapporto con le principali correnti giusfilosofiche e, segnatamente, il ruolo che in essa assumono le dimensioni della discorsività, dell’argomentazione e della giustificazione. Le tesi istituzionalistiche vengono fatte oggetto di rilettura all’interno di un quadro teorico per molti versi eclettico, che trae nutrimento, appunto, dalla filosofia del diritto, dalla filosofia del linguaggio e della mente, con diversi punti di contatto con le teorie di matrice sociologica sul proprium dell’organizzazione umana. Il fulcro, tuttavia, è nella esplorazione delle possibilità di una ricostruzione del fenomeno giuridico nei termini della teoria dell’interpretazione intenzionale, dell’azione intenzionale e dei sistemi intenzionali, nonché della teoria del linguaggio sviluppata da Robert Brandom, tenendo fermo, come postulato fondamentale imprescindibile, un quadro ontologico che, nel rifiuto di strategie riduzionistiche, conferisca piena dignità alla sfera del normativo, colto sia nella dimensione discorsiva della prassi linguistica sia nella realtà delle istituzioni – complesso intreccio di fatto, norma, azione e tempo, ossia storia. Ed è attraverso questo percorso, che ci si è sforzati di rendere il più possibile lineare e verificabile, che potrà proporsi una analisi dei rapporti tra diritto e morale che tenga conto dei modi in cui la razionalità, attraverso i meccanismi dell’intenzionalità, si esplica in rapporto agli enti sociali, la cui possibilità di esistenza dipende dal discorso e dalla responsabilità, in senso lato normativa, dei partecipanti al game of giving and asking for reasons, ed, ancora prima, dalla intenzionalità originaria localizzata nella comunità, che sembrerebbe rinviare ad una forma di hegelismo. Quanto alla struttura della tesi, essa è suddivisa in due macrosezioni, articolate in quattro e cinque capitoli rispettivamente, oltre ad un epilogo in cui saranno rassegnate le conclusioni. Nella prima parte, “Linguaggio, Intenzionalità E Diritto: Materiali Concettuali E Prospettive di Analisi”, vengono poste le premesse di metodo e teoriche per poter procedere alla rilettura della teoria istituzionalistica del diritto, oggetto della seconda parte, “Ripensare Il Neoistituzionalismo”. Il primo capitolo affronta questioni di portata generale concernenti i rapporti tra diritto e linguaggio, traendo spunto dai contributi più recenti sul tema ed esponendo sinteticamente i capisaldi dell’approccio analitico, ermeneutico e pragmatista, nonché, più diffusamente, della teoria del discorso, con lo scopo non solo di effettuare una utile ricognizione delle opzioni in campo, ma anche di acquisire strumenti, tesi e argomenti, da utilizzare nel corso del lavoro, affinché questo possa svolgersi con maggiore consapevolezza teorica. Il capitolo prosegue fornendo alcune indicazioni topografiche per orientarsi sul tema della normatività, con precipua attenzione al dominio della filosofia del diritto. Il discorso non sarebbe, tuttavia, completo senza congrui cenni al cruciale dibattito filosofico sulla natura, funzione e caratteri della teoria del diritto, il cui statuto oscilla tradizionalmente tra scienza e dottrina morale, descrizione di un fenomeno complesso così come esso è, e prescrizione, su come il diritto - e la sua stessa teoria - dovrebbero essere. La posizione che si sottoscrive è, si evidenzia, a favore di una teoria latamente prescrittiva che sia aperta a considerazioni di valore e che abbracci un robusto cognitivismo metaetico. Nel secondo capitolo si introduce il tema dell’intenzionalità quale nozione filosofica, attraverso la succinta esposizione delle teorie classiche di Brentano e Husserl, e, quindi, tra le proposte contemporanee, quella sviluppata da John Searle. Le sezioni successive sono dedicate all’opera di Daniel C. Dennett, ed in special modo alla teoria dei sistemi intenzionali e della interpretazione intenzionale, focalizzando l’attenzione sui meccanismi di ascrizione degli stati intenzionali e, soprattutto, sulle finalità dell’interpretazione intenzionale. Il terzo capitolo ruota intorno alla concezione pragmatica del linguaggio elaborata da Robert Brandom, basata in notevole misura sulle intuizioni di Wittgenstein, Austin e Searle, di cui si darà conto sinteticamente, ed imperniata sulla formulazione del deontic scorekeeping model of discorsive practice. Vengono puntualmente esaminate le tesi caratterizzanti la teoria di Brandom, secondo quanto esposto nel capolavoro Making It Explicit e nella produzione successiva, tenendo ben presente la letteratura critica: la nozione di status deontico, l’espressivismo, l’inferenzialismo come teoria del significato e dei concetti, la concezione della verità, della percezione e dell’azione. Il quarto capitolo, “Il Diritto Come Pratica Deliberativa, Espressiva Ed Agonistica, Tra Gioco Linguistico e Deontic Scorekeeping”, si prefigge lo scopo di illustrare alcuni degli esempi più rilevanti ai nostri fini di appropriazione del pensiero del “secondo” Wittgenstein e di Robert Brandom nell’ambito giusfilosofico. Si esamineranno le tesi di Thomas Morawetz sul diritto come pratica “aperta” e “deliberativa”, e, quindi, i contributi di Matthias Klatt, Damiano Canale e Giovanni Tuzet, i quali declinano con grande acume la pragmatica inferenzialista brandomiana nel contesto della teoria dell’argomentazione giuridica. Infine, si tratterà dell’interessante tentativo di ricostruzione dei meccanismi di legittimazione dell’ordine politico da parte di Thomas Fossen che si appoggia esplicitamente al modello del deontic scorekeeping. La seconda parte, “Ripensare il Neoistituzionalismo”, consta, come detto, di cinque capitoli, ed ha come obiettivo la revisione delle tesi più convincenti della tradizione istituzionalista, filtrate alla luce delle considerazioni e dei contributi considerati nella prima parte. Il capitolo cinque ha ad oggetto la ricognizione e ricostruzione in chiave critica dei postulati caratterizzanti l’istituzionalismo giusfilosofico e la sua agenda teorica, attribuendo particolare rilievo alla tesi centrale del diritto come istituzione, ed alle sue implicazioni sul piano ontologico e per ciò che concerne il problema della validità delle norme. La trattazione si snoda attraverso l’esposizione succinta del pensiero dei principali istituzionalisti classici, Santi Romano e Maurice Hauriou, e l’approfondimento dell’opera dei più importanti autori neoistituzionalisti, Ota Weinberger e Neil MacCormick. Nel sesto capitolo si dà conto delle soluzioni offerte al problema della costruzione della realtà sociale e della “datità” delle istituzioni, quasi un ossimoro, che necessita di ampia ed approfondita riflessione. Lo scopo principale del capitolo è la comprensione di questi oggetti singolarissimi, le istituzioni appunto, all’interno dell’agenda giusfilosofica. Il concetto di istituzione viene approcciato a partire dagli assunti del neoistituzionalismo, inclusa la posizione di M. La Torre, trascorrendo, quindi, alla disamina scrupolosa della articolata teoria di Searle sulla costruzione della realtà sociale. Il capitolo sette prosegue, per molti aspetti, il discorso sviluppato nel capitolo precedente, spostando l’attenzione, per così dire, sul rovescio della medaglia, occupandosi del rapporto tra la soggettività e lo strato istituzionale della realtà. Se infatti, come noi riteniamo, non può darsi realtà sociale senza istituzioni, queste non possono darsi senza soggettività, la quale, a sua volta, non può che definirsi anche con riguardo alle sue proiezioni intenzionali nell’oggettività dell’azione e delle norme. Si affronterà, pertanto, il tema dell’agire intenzionale, innanzitutto operando una ricognizione delle coordinate essenziali della action theory, per poi passare in rassegna le proposte di John Searle e Ota Weinberger, concludendo con la rimarchevole ricostruzione operata da Lorini dei livelli dell’agire istituzionale, ossia delle diverse descrizioni che si possono fornire di una medesima condotta, intesa in senso materiale, rispetto ad uno sfondo ontologico istituzionale. Il capitolo ottavo si confronta con il tema della validità, una delle questioni più importanti della filosofia del diritto, a completamento del quadro sin qui tracciato. Dopo una indicazione sintetica degli interessi in gioco, si espongono in chiave critica le principali opzioni teoriche in merito, e, quindi, in maggiore profondità, le proposte dell’istituzionalismo, per poi passare alle ricadute dell’adozione di una posizione inferenzialista sulla questione della validità, attraverso l’esame del pregevole lavoro di Giovanni Sartor. L’ultimo capitolo si propone di accostare, in chiave comparativa, il concetto di diritto come istituzione alle più note teorie giusfilosofiche ancora ben presenti nel dibattito contemporaneo, ponendo mente, in special modo, alla vexata questio dei rapporti tra diritto e morale: il positivismo, il giusrealismo nelle due principali versioni, quella scandinava e quella americana, il giusnaturalismo. L’istituzionalismo, in particolare nella originale lettura di M. La Torre, emerge, infine, come forma moderata di giusnaturalismo inclusivo che trae dal giuspositivismo inclusivo l’idea che i principi morali giochino un ruolo nella norma di riconoscimento (quindi, nell’identificazione del diritto valido, in quanto tale vincolante), ponendo l’accento sulla dimensione argomentativa e procedurale del diritto, in ciò differenziandosi dal giusnaturalismo esclusivo, rispetto al quale evita l’appiattimento su proposizioni universali sostantive da cui derivare norme giuridiche concrete, per lo più per via di inferenza logica. L’epilogo, a chiusura del lavoro, traccia un bilancio dei nove capitoli, suggerendo alcune conclusioni a partire dalla ricognizione effettuata.
28-set-2017
ISTITUZIONALISMO, DENNETT, BRANDOM, SEARLE, SISTEMI INTENZIONALI
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TESI DI DOTTORATO ETTORE SMIROLDO IMPAGINAZIONE DEFINITIVA FRONTESPIZIO FIRMATO IRIS.pdf

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