L’idea di un’analisi in chiave civilistica delle misure di prevenzione antimafia nasce dalla constatazione dell’estrema frammentarietà di un sistema normativo che, solo in ossequio ad un’ipocrisia convenzionale, può essere ancora ritenuto monolitico. Sia sul piano teorico che su quello pratico, il maggior livello di scontro e, se si vuole, di “frizione sistematica” si coglie con riguardo alla necessaria sovrapposizione — in questo peculiare ambito d’indagine — di problematiche giuridiche che attengono con differente intensità al campo del diritto civile, penale e amministrativo. La sovrapposizione di questioni di assoluta eterogeneità giuridica fa da sfondo, così, all’intera indagine e acuisce il senso d’inquietudine che assale il giurista allorché egli veda sempre più distante, quasi irraggiungibile, la meta utopica della certezza del diritto. Pur prescindendo da un’analisi necessariamente epistemologica, l’applicazione di talune misure di prevenzione antimafia disvela agli occhi dello studioso un panorama confuso in cui si intravedono profonde distonie sistematiche, preoccupanti mediazioni politiche e discutibili scelte d’intervento normativo. E così, anche sotto questo profilo, l’indagine giuridica s’interseca con quella sociologica e antropologica, nella prospettiva di un più alto e qualificato impegno culturale. Scopo pratico è quello di riuscire a smitizzare una certa trasfigurazione narrativa – fin troppo suggestiva ed edulcorata – della criminalità organizzata e di porre l’accento sul ruolo autenticamente paideutico, che un’effettiva applicazione delle norme prevenzionali potrebbe giocare in questo campo. Il riferimento diretto è a quelle riproposizioni, dal sapore quasi cinematografico, fatte esclusivamente di rispetto per (presunti) co- dici d’onore, di saghe familiari, di gerarchie del potere, che enfatizzano un’idea accattivante (ma pericolosissima) di cosa siano la mafia e le sue molteplici, tentacolari, ramificazioni. Alla luce di queste considerazioni, il “senso” della normativa di prevenzione assurge ad una più alta dignità ordinamentale, proprio perché inscindibilmente correlato coi valori fondanti della nostra società. L’approccio necessariamente multidisciplinare consente di mettere in luce le intrinseche peculiarità di un sistema di prevenzione giuridico-patrimoniale che non è consentito interpretare solo in chiave tradizionalmente penalistica, ma che si apre alla considerazione di problematiche nuove e complesse come quelle (civil by civil) della tutela del lavoro e della libertà d’impresa. L’ottica è quella della necessaria protezione dell’ordine giuridico-economico, posto al vertice dei così detti speed values tanto dalla normativa interna che da quella sovranazionale. La valorizzazione di questi elementi consente d’interpretare teleologicamente le norme in materia di misure di prevenzione, esaltando la loro vocazione alla funzionalizzazione in vista dell’effettivo conseguimento dell’equilibrio tra repressione e moralizzazione, che l’ordinamento positivo ricerca da tempo. Le riforme più recenti confermano appieno questo indirizzo, valorizzando la “prospettiva civilistica”, qui segnalata. Il procedimento di prevenzione viene visto più come una procedura di tipo patrimoniale che non come una figura surrogatoria e ancillare rispetto all’esercizio dell’azione penale. Il trend legislativo appare in linea con questa tendenza e si orienta verso la configurazione della confisca di prevenzione alla stregua di una moderna “actio in rem” al pari di quanto avviene, sul versante della common law, con riferimento alla così detta confiscation of property. L’idea di spostare il baricentro interpretativo per l’applicazione delle misure di prevenzione dal versante penalistico a quello civilistico è certo sintomatica di un’inversione di rotta particolarmente rilevante; la tendenziale autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale consente d’immaginare la relativa confisca alla stregua di un’azione reale e non più personale. Vi è, dunque, una netta rottura del rigido formalismo esegetico che legava in maniera inscindibile struttura e funzione; se la struttura (apparentemente) rimane immutata, a cambiare è allora la funzione del procedimento che, emancipandosi dalla concezione pan-penalistica, vira repentinamente verso la considerazione di altre tipologie sanzionatorie quali le “civil penalities” e le “zivilrechtlichen Sanktionen”, vere e proprie “pene private” di natura afflittiva. La confisca, reinterpretata alla luce dei nuovi canoni ermeneutici, è pertanto teleologicamente diretta all’apprensione di beni “contaminati” ed alla soppressione di una “proprietà illecita”, perché intrinsecamente connotata da modalità di acquisto e gestione del tutto illegali. Sul presupposto di un più efficace ed efficiente livello di azione, che soddisfi il bisogno di una maggiore e pervasiva ablazione dei patrimoni illeciti, la questione fondamentale diviene quella relativa alla gestione dei beni confiscati, alle sue modalità, ai suoi tempi e, ovviamente ai suoi risultati. Recenti fatti di cronaca non consentono di spegnere i riflettori su uno dei punti più in ombra dell’intero impianto normativo vigente. Quello del “proper management” è, infatti, non solo un problema di disciplina giuridica o di “vincolo di destinazione” del bene confiscato, ma è, soprattutto, una questione di analisi econometrica e di mercato. La fruizione collettiva del bene confiscato è, infatti, emblematicamente evocativa già su un piano simbolico, in quanto rappresenta la vittoria della legalità sul malaffare e rende pubblica e plasticamente percepibile la rottura di ogni nesso di derivazione eziologica tra potere mafioso e radicamento clientelare. Ognuna delle ragioni evidenziate giustifica l’adesione ad una prospettiva euristica che, nel discorrere di “diritto civile antimafia”, fa sintesi dei postulati teorici e delle innovazioni pratiche e apre nel contempo la strada a nuove occasioni d’indagine, che sappiano trovare nella “logica inclusiva” e sistematica del diritto privato l’antidoto all’esclusivismo particolaristico della normazione emergenziale.

Soggetto e Oggetto nel "diritto civile antimafia"

MARCHESE, ALBERTO
2017-01-01

Abstract

L’idea di un’analisi in chiave civilistica delle misure di prevenzione antimafia nasce dalla constatazione dell’estrema frammentarietà di un sistema normativo che, solo in ossequio ad un’ipocrisia convenzionale, può essere ancora ritenuto monolitico. Sia sul piano teorico che su quello pratico, il maggior livello di scontro e, se si vuole, di “frizione sistematica” si coglie con riguardo alla necessaria sovrapposizione — in questo peculiare ambito d’indagine — di problematiche giuridiche che attengono con differente intensità al campo del diritto civile, penale e amministrativo. La sovrapposizione di questioni di assoluta eterogeneità giuridica fa da sfondo, così, all’intera indagine e acuisce il senso d’inquietudine che assale il giurista allorché egli veda sempre più distante, quasi irraggiungibile, la meta utopica della certezza del diritto. Pur prescindendo da un’analisi necessariamente epistemologica, l’applicazione di talune misure di prevenzione antimafia disvela agli occhi dello studioso un panorama confuso in cui si intravedono profonde distonie sistematiche, preoccupanti mediazioni politiche e discutibili scelte d’intervento normativo. E così, anche sotto questo profilo, l’indagine giuridica s’interseca con quella sociologica e antropologica, nella prospettiva di un più alto e qualificato impegno culturale. Scopo pratico è quello di riuscire a smitizzare una certa trasfigurazione narrativa – fin troppo suggestiva ed edulcorata – della criminalità organizzata e di porre l’accento sul ruolo autenticamente paideutico, che un’effettiva applicazione delle norme prevenzionali potrebbe giocare in questo campo. Il riferimento diretto è a quelle riproposizioni, dal sapore quasi cinematografico, fatte esclusivamente di rispetto per (presunti) co- dici d’onore, di saghe familiari, di gerarchie del potere, che enfatizzano un’idea accattivante (ma pericolosissima) di cosa siano la mafia e le sue molteplici, tentacolari, ramificazioni. Alla luce di queste considerazioni, il “senso” della normativa di prevenzione assurge ad una più alta dignità ordinamentale, proprio perché inscindibilmente correlato coi valori fondanti della nostra società. L’approccio necessariamente multidisciplinare consente di mettere in luce le intrinseche peculiarità di un sistema di prevenzione giuridico-patrimoniale che non è consentito interpretare solo in chiave tradizionalmente penalistica, ma che si apre alla considerazione di problematiche nuove e complesse come quelle (civil by civil) della tutela del lavoro e della libertà d’impresa. L’ottica è quella della necessaria protezione dell’ordine giuridico-economico, posto al vertice dei così detti speed values tanto dalla normativa interna che da quella sovranazionale. La valorizzazione di questi elementi consente d’interpretare teleologicamente le norme in materia di misure di prevenzione, esaltando la loro vocazione alla funzionalizzazione in vista dell’effettivo conseguimento dell’equilibrio tra repressione e moralizzazione, che l’ordinamento positivo ricerca da tempo. Le riforme più recenti confermano appieno questo indirizzo, valorizzando la “prospettiva civilistica”, qui segnalata. Il procedimento di prevenzione viene visto più come una procedura di tipo patrimoniale che non come una figura surrogatoria e ancillare rispetto all’esercizio dell’azione penale. Il trend legislativo appare in linea con questa tendenza e si orienta verso la configurazione della confisca di prevenzione alla stregua di una moderna “actio in rem” al pari di quanto avviene, sul versante della common law, con riferimento alla così detta confiscation of property. L’idea di spostare il baricentro interpretativo per l’applicazione delle misure di prevenzione dal versante penalistico a quello civilistico è certo sintomatica di un’inversione di rotta particolarmente rilevante; la tendenziale autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale consente d’immaginare la relativa confisca alla stregua di un’azione reale e non più personale. Vi è, dunque, una netta rottura del rigido formalismo esegetico che legava in maniera inscindibile struttura e funzione; se la struttura (apparentemente) rimane immutata, a cambiare è allora la funzione del procedimento che, emancipandosi dalla concezione pan-penalistica, vira repentinamente verso la considerazione di altre tipologie sanzionatorie quali le “civil penalities” e le “zivilrechtlichen Sanktionen”, vere e proprie “pene private” di natura afflittiva. La confisca, reinterpretata alla luce dei nuovi canoni ermeneutici, è pertanto teleologicamente diretta all’apprensione di beni “contaminati” ed alla soppressione di una “proprietà illecita”, perché intrinsecamente connotata da modalità di acquisto e gestione del tutto illegali. Sul presupposto di un più efficace ed efficiente livello di azione, che soddisfi il bisogno di una maggiore e pervasiva ablazione dei patrimoni illeciti, la questione fondamentale diviene quella relativa alla gestione dei beni confiscati, alle sue modalità, ai suoi tempi e, ovviamente ai suoi risultati. Recenti fatti di cronaca non consentono di spegnere i riflettori su uno dei punti più in ombra dell’intero impianto normativo vigente. Quello del “proper management” è, infatti, non solo un problema di disciplina giuridica o di “vincolo di destinazione” del bene confiscato, ma è, soprattutto, una questione di analisi econometrica e di mercato. La fruizione collettiva del bene confiscato è, infatti, emblematicamente evocativa già su un piano simbolico, in quanto rappresenta la vittoria della legalità sul malaffare e rende pubblica e plasticamente percepibile la rottura di ogni nesso di derivazione eziologica tra potere mafioso e radicamento clientelare. Ognuna delle ragioni evidenziate giustifica l’adesione ad una prospettiva euristica che, nel discorrere di “diritto civile antimafia”, fa sintesi dei postulati teorici e delle innovazioni pratiche e apre nel contempo la strada a nuove occasioni d’indagine, che sappiano trovare nella “logica inclusiva” e sistematica del diritto privato l’antidoto all’esclusivismo particolaristico della normazione emergenziale.
2017
Università degli Studi di Messina - Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche
978-88-14-22188-0
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