La demenza di Alzheimer (AD) è una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla comparsa insidiosa di diversi deficit cognitivi (come ad esempio deficit di memoria, linguaggio, attenzione,ragionamento logico-astratto, abilità prassiche, ecc.) che progrediscono durante il corso di diversi anni. L’obiettivo della ricerca negli ultimi anni è quello di fare una diagnosi sempre più precoce per poter intervenire tempestivamente con le cure attualmente disponibili rallentando la progressione dei sintomi. I trattamenti terapeutici utilizzati nell’AD consistono principalmente nell’utilizzo di farmaci che non sono in grado di arrestare il decorso della patologia ma che agiscono unicamente per controllare alcuni sintomi. I farmaci, denominati inibitori dell’acetilcolinesterasi (AchEI), sono stati approvati a livello internazionale per il trattamento dell’AD nelle fasi lievi-moderate (Birks et al., 2006). Non sono mancati, però i dubbi sul reale valore di questi farmaci. Nel 2004 è stato pubblicato su Lancet lo studio AD 2000 (Courtney et al., 2004) finanziato dal servizio sanitario britannico. Il gruppo studiato era di 565 pazienti con AD di grado lieve-moderato, di cui 282 trattati con donepezil e 283 con placebo. Il confronto donepezil vs. placebo non dimostrava differenze significative per il rischio di istituzionalizzazione, regressione di disabilità e altri outcome (sintomi comportamentali, costi assistenziali e tempo non retribuito impiegato dai caregivers per l’assistenza al malato). Tale studio confermava che l’uso del donepezil produce un miglioramento nei punteggi delle scalecognitive e funzionali, ma metteva in dubbio la rilevanza clinica di questi outcome e l’utilità, in termini di costo-efficacia, del farmaco (Akintade, Zaiac, Ieni & McRae, 2004).In generale gli AchEI sembrano essere ben tollerati, ma non hanno lo stesso effetto in tutti i pazienti. Metà circa dei pazienti non risponde a questo trattamento, fra i responders una parte mostra un miglioramento della funzionalità cognitiva, ma dopo poco tempo il loro declino cognitivo riprende allo stesso ritmo che avrebbe avuto se non si fosse somministrato il farmaco. Un interesse sempre maggiore viene rivolto a tecniche innovative come la stimolazione transcranica a correnti dirette (tDCS). Le procedure di neurostimolazione (NIBS ) oltre ad evocare specifiche risposte eccitatorie o inibitorie, entro breve tempo (millisecondi o secondi) dal termine dell’applicazione di energia, possono indurre effetti durante la stimolazione o effetti che perdurano dopo il termine della stimolazione stessa (Ardolino, Bossi, Barbieri, & Priori, 2005). Queste metodiche possono quindi influire in senso facilitatorio o inibitorio su specifiche parti del cervello e in ultima analisi, sulla loro funzionalità. Poiché molti dei disturbi neurologici o psichiatrici sono correlati ad una iperfunzione o ipofunzione di specifiche aree del sistema nervoso, le metodiche di neuromodulazione, oltre ad essere uno strumento per la conoscenza del funzionamento del cervello, rappresentano una possibilità terapeutica fondata sul principio della normalizzazione dell’attività delle aree disfunzionali. In tale senso si parla di “neuro modulazione”, ovvero l’applicazione di varie metodiche di neurostimolazione al fine di “ripristinare” la normale attività o funzione di specifiche aree o strutture disfunzionali a fini terapeutici. La tDCS ha dimostrato lo stesso potenziale di altre metodiche nel trattamento di disordini neurologici come dolore cronico, malattia di Parkinson, deficit motori ed epilessia, (Miniussi e Vallar, 2011; Miniussi et al., 2008; Celnik et al., 2009; Fregni and Pascual- Leone, 2007; Harris-Love and Cohen, 2006). Recentemente è stato mostrato che una singola sessione di tDCS può migliorare i deficit di attenzione visuo-spaziale in pazienti con neglect in seguito ad ictus (Sparing et al., 2009), le abilità di denominazione nell’afasia vascolare (Baker et al., 2010) e la memoria di riconoscimento nella demenza tipo Alzheimer (Ferrucci et al., 2008). I meccanismi neurali responsabili dei miglioramenti delle performance cognitive sono principalmente sconosciuti e per questo motivo è necessario approfondire la ricerca in questo campo. In sintesi, le NIBS hanno mostrato di essere in grado di indurre modificazioni della plasticità corticale che possono durare anche oltre la fine del periodo di stimolazione facilitando così i processi di elaborazione cognitiva. Considerato questo potenziale, esiste un crescente interesse nell’applicazione di queste tecniche in ambito terapeutico, per ridurre i deficit cognitivi in pazienti con stroke e con disordini neurodegenerativi. Sulla scorta di queste evidenze scientifiche in questo lavoro di ricerca abbiamo ipotizzato che la stimolazione Transcranica a Correnti Dirette (tDCS) possa rappresentare uno strumento utile per favorire i processi di neuroplasticità in soggetti affetti da patologie neurologiche croniche quali la demenza tipo Alzheimer. Per raggiungere questo obiettivo è stato realizzato un protocollo sperimentale innovativo in cui viene impiegato un paradigma di neurostimolazione associato al trattamento farmacologico. Gli effetti sulle funzioni cognitive e sulla neuroplasticità sono stati misurati sia utilizzando batterie standardizzate di test psicometrici sia mediante lo studio della elettrogenesi cerebrale misurata mediante la metodica dell’EEG quantitativo e dei potenziali evocati cognitivi. La rilevanza di una sperimentazione del genere risiede nella possibilità di trovare in futuro un’alternativa ai tradizionali approcci terapeutici che attualmente rappresentano il rimedio principale per il trattamento dei disturbi cognitivi ad eziologia cronica che tuttavia comportano notevoli effetti collaterali e fenomeni di intolleranza e dipendenza nei soggetti che li assumono. Da qui, l’importanza di condurre ricerche mirate a valutare l’efficacia di strumenti alternativi non invasivi e privi di effetti collaterali di rilievo nella finale aspettativa di identificare un trattamento elettrofisiologico efficace per i disordini cognitivi così frequenti e costosi in termini sanitari e sociali.

Neuroplasticità e stimolazione transcranica a correnti dirette (tDCS) nei pazienti con malattia di Alzheimer

Gangemi A.;Fabio R. A.;Falzone A.
2017-01-01

Abstract

La demenza di Alzheimer (AD) è una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla comparsa insidiosa di diversi deficit cognitivi (come ad esempio deficit di memoria, linguaggio, attenzione,ragionamento logico-astratto, abilità prassiche, ecc.) che progrediscono durante il corso di diversi anni. L’obiettivo della ricerca negli ultimi anni è quello di fare una diagnosi sempre più precoce per poter intervenire tempestivamente con le cure attualmente disponibili rallentando la progressione dei sintomi. I trattamenti terapeutici utilizzati nell’AD consistono principalmente nell’utilizzo di farmaci che non sono in grado di arrestare il decorso della patologia ma che agiscono unicamente per controllare alcuni sintomi. I farmaci, denominati inibitori dell’acetilcolinesterasi (AchEI), sono stati approvati a livello internazionale per il trattamento dell’AD nelle fasi lievi-moderate (Birks et al., 2006). Non sono mancati, però i dubbi sul reale valore di questi farmaci. Nel 2004 è stato pubblicato su Lancet lo studio AD 2000 (Courtney et al., 2004) finanziato dal servizio sanitario britannico. Il gruppo studiato era di 565 pazienti con AD di grado lieve-moderato, di cui 282 trattati con donepezil e 283 con placebo. Il confronto donepezil vs. placebo non dimostrava differenze significative per il rischio di istituzionalizzazione, regressione di disabilità e altri outcome (sintomi comportamentali, costi assistenziali e tempo non retribuito impiegato dai caregivers per l’assistenza al malato). Tale studio confermava che l’uso del donepezil produce un miglioramento nei punteggi delle scalecognitive e funzionali, ma metteva in dubbio la rilevanza clinica di questi outcome e l’utilità, in termini di costo-efficacia, del farmaco (Akintade, Zaiac, Ieni & McRae, 2004).In generale gli AchEI sembrano essere ben tollerati, ma non hanno lo stesso effetto in tutti i pazienti. Metà circa dei pazienti non risponde a questo trattamento, fra i responders una parte mostra un miglioramento della funzionalità cognitiva, ma dopo poco tempo il loro declino cognitivo riprende allo stesso ritmo che avrebbe avuto se non si fosse somministrato il farmaco. Un interesse sempre maggiore viene rivolto a tecniche innovative come la stimolazione transcranica a correnti dirette (tDCS). Le procedure di neurostimolazione (NIBS ) oltre ad evocare specifiche risposte eccitatorie o inibitorie, entro breve tempo (millisecondi o secondi) dal termine dell’applicazione di energia, possono indurre effetti durante la stimolazione o effetti che perdurano dopo il termine della stimolazione stessa (Ardolino, Bossi, Barbieri, & Priori, 2005). Queste metodiche possono quindi influire in senso facilitatorio o inibitorio su specifiche parti del cervello e in ultima analisi, sulla loro funzionalità. Poiché molti dei disturbi neurologici o psichiatrici sono correlati ad una iperfunzione o ipofunzione di specifiche aree del sistema nervoso, le metodiche di neuromodulazione, oltre ad essere uno strumento per la conoscenza del funzionamento del cervello, rappresentano una possibilità terapeutica fondata sul principio della normalizzazione dell’attività delle aree disfunzionali. In tale senso si parla di “neuro modulazione”, ovvero l’applicazione di varie metodiche di neurostimolazione al fine di “ripristinare” la normale attività o funzione di specifiche aree o strutture disfunzionali a fini terapeutici. La tDCS ha dimostrato lo stesso potenziale di altre metodiche nel trattamento di disordini neurologici come dolore cronico, malattia di Parkinson, deficit motori ed epilessia, (Miniussi e Vallar, 2011; Miniussi et al., 2008; Celnik et al., 2009; Fregni and Pascual- Leone, 2007; Harris-Love and Cohen, 2006). Recentemente è stato mostrato che una singola sessione di tDCS può migliorare i deficit di attenzione visuo-spaziale in pazienti con neglect in seguito ad ictus (Sparing et al., 2009), le abilità di denominazione nell’afasia vascolare (Baker et al., 2010) e la memoria di riconoscimento nella demenza tipo Alzheimer (Ferrucci et al., 2008). I meccanismi neurali responsabili dei miglioramenti delle performance cognitive sono principalmente sconosciuti e per questo motivo è necessario approfondire la ricerca in questo campo. In sintesi, le NIBS hanno mostrato di essere in grado di indurre modificazioni della plasticità corticale che possono durare anche oltre la fine del periodo di stimolazione facilitando così i processi di elaborazione cognitiva. Considerato questo potenziale, esiste un crescente interesse nell’applicazione di queste tecniche in ambito terapeutico, per ridurre i deficit cognitivi in pazienti con stroke e con disordini neurodegenerativi. Sulla scorta di queste evidenze scientifiche in questo lavoro di ricerca abbiamo ipotizzato che la stimolazione Transcranica a Correnti Dirette (tDCS) possa rappresentare uno strumento utile per favorire i processi di neuroplasticità in soggetti affetti da patologie neurologiche croniche quali la demenza tipo Alzheimer. Per raggiungere questo obiettivo è stato realizzato un protocollo sperimentale innovativo in cui viene impiegato un paradigma di neurostimolazione associato al trattamento farmacologico. Gli effetti sulle funzioni cognitive e sulla neuroplasticità sono stati misurati sia utilizzando batterie standardizzate di test psicometrici sia mediante lo studio della elettrogenesi cerebrale misurata mediante la metodica dell’EEG quantitativo e dei potenziali evocati cognitivi. La rilevanza di una sperimentazione del genere risiede nella possibilità di trovare in futuro un’alternativa ai tradizionali approcci terapeutici che attualmente rappresentano il rimedio principale per il trattamento dei disturbi cognitivi ad eziologia cronica che tuttavia comportano notevoli effetti collaterali e fenomeni di intolleranza e dipendenza nei soggetti che li assumono. Da qui, l’importanza di condurre ricerche mirate a valutare l’efficacia di strumenti alternativi non invasivi e privi di effetti collaterali di rilievo nella finale aspettativa di identificare un trattamento elettrofisiologico efficace per i disordini cognitivi così frequenti e costosi in termini sanitari e sociali.
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