Nato come risposta emergenziale per far fronte alla recrudescenza del fenomeno di tipo mafioso, successivamente stabilizzato nel nostro sistema penitenziario per effetto della riforma attuata con la novella n. 279/2002, il regime detentivo differenziato ex art. 41-bis ord. pen., da un lato, ha visto ampliato il proprio ambito di operatività; dall’altro, è stato oggetto di una fondamentale opera di rifinitura, grazie sia al controllo della Corte Costituzionale, che ne ha eliminato i profili di frizione con la Carta fondamentale, sia all’opera del legislatore, che ha recepito le indicazioni della Consulta. Il 41-bis è così passato indenne dal vaglio anche della Corte Edu, la quale lo ha sempre ritenuto convenzionalmente legittimo, costituendo questo una forma di isolamento solo relativo, in quanto tale insuscettibile di dar luogo a una forma di trattamento inumano. Ma è veramente così? Recenti pronunce dei giudici costituzionali hanno infatti dichiarato illegittime talune delle restrizioni che il regime detentivo speciale comporta e, in particolare, quella relativa al divieto di cuocere cibi e al divieto di scambiare oggetti tra detenuti all’interno del medesimo gruppo di socialità. Su altro versante, è intervenuta la Corte Edu, la quale, nel noto caso Provenzano, ha dichiarato la violazione dell’art. 3 CEDU, facendo così emergere in modo ancora più evidente i vizi del meccanismo di reiterazione del regime speciale, spesso del tutto disancorato da un giudizio attuale di pericolosità. Nell’altrettanto noto caso Viola, in materia di ergastolo ostativo, la Corte Edu ha dichiarato illegittimo, sempre per violazione dell’art. 3, il rigido sistema di presunzioni che sta alla base del divieto di concessione di benefici penitenziari ex art. 4-bis ord. pen., salvo per coloro che collaborino con la giustizia. Meccanismo, questo, che ha importanti punti di contatto con il 41-bis, considerata la parziale identità dei rispettivi presupposti e considerata altresì la analoga funzione svolta dalla collaborazione giudiziale ai fini della revoca del regime detentivo differenziato. Le numerose ombre del regime detentivo differenziato sono state evidenziate, altresì, da importanti organismi di controllo e prevenzione indipendenti, sia interni, come il Garante dei detenuti, che internazionali, come il Comitato di Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti e Pene Inumani e Degradanti (CPT). Questi hanno sottoposto a critica, in particolare: la detenzione nelle cc.dd. “Aree riservate”, che amplifica l’isolamento già tipicamente connesso alla collocazione nei gruppi di socialità; la frequente violazione del principio di progressività del trattamento sanzionatorio, essendo il 41-bis molto spesso applicato sino al fine pena; il sistema delle proroghe; nonché alcuni episodi di maltrattamento di detenuti. Può dirsi, pertanto, il 41-bis rispettoso dei diritti umani? E’ questo l’interrogativo che orienta l’intera indagine, cui si cerca di offrire una risposta attraverso l’analisi dell’istituto, della giurisprudenza costituzionale e di quella convenzionale più rilevanti in materia. In conclusione, vengono prospettate alcune soluzioni per rendere il 41-bis più conforme ai diritti umani anche prendendo spunto dalla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht.

Trattamenti penitenziari differenziati tra diritto interno e sollecitazioni sovranazionali. Il caso del 41-bis ord. pen.

ROMEO, GIUSEPPE
2021-01-27

Abstract

Nato come risposta emergenziale per far fronte alla recrudescenza del fenomeno di tipo mafioso, successivamente stabilizzato nel nostro sistema penitenziario per effetto della riforma attuata con la novella n. 279/2002, il regime detentivo differenziato ex art. 41-bis ord. pen., da un lato, ha visto ampliato il proprio ambito di operatività; dall’altro, è stato oggetto di una fondamentale opera di rifinitura, grazie sia al controllo della Corte Costituzionale, che ne ha eliminato i profili di frizione con la Carta fondamentale, sia all’opera del legislatore, che ha recepito le indicazioni della Consulta. Il 41-bis è così passato indenne dal vaglio anche della Corte Edu, la quale lo ha sempre ritenuto convenzionalmente legittimo, costituendo questo una forma di isolamento solo relativo, in quanto tale insuscettibile di dar luogo a una forma di trattamento inumano. Ma è veramente così? Recenti pronunce dei giudici costituzionali hanno infatti dichiarato illegittime talune delle restrizioni che il regime detentivo speciale comporta e, in particolare, quella relativa al divieto di cuocere cibi e al divieto di scambiare oggetti tra detenuti all’interno del medesimo gruppo di socialità. Su altro versante, è intervenuta la Corte Edu, la quale, nel noto caso Provenzano, ha dichiarato la violazione dell’art. 3 CEDU, facendo così emergere in modo ancora più evidente i vizi del meccanismo di reiterazione del regime speciale, spesso del tutto disancorato da un giudizio attuale di pericolosità. Nell’altrettanto noto caso Viola, in materia di ergastolo ostativo, la Corte Edu ha dichiarato illegittimo, sempre per violazione dell’art. 3, il rigido sistema di presunzioni che sta alla base del divieto di concessione di benefici penitenziari ex art. 4-bis ord. pen., salvo per coloro che collaborino con la giustizia. Meccanismo, questo, che ha importanti punti di contatto con il 41-bis, considerata la parziale identità dei rispettivi presupposti e considerata altresì la analoga funzione svolta dalla collaborazione giudiziale ai fini della revoca del regime detentivo differenziato. Le numerose ombre del regime detentivo differenziato sono state evidenziate, altresì, da importanti organismi di controllo e prevenzione indipendenti, sia interni, come il Garante dei detenuti, che internazionali, come il Comitato di Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti e Pene Inumani e Degradanti (CPT). Questi hanno sottoposto a critica, in particolare: la detenzione nelle cc.dd. “Aree riservate”, che amplifica l’isolamento già tipicamente connesso alla collocazione nei gruppi di socialità; la frequente violazione del principio di progressività del trattamento sanzionatorio, essendo il 41-bis molto spesso applicato sino al fine pena; il sistema delle proroghe; nonché alcuni episodi di maltrattamento di detenuti. Può dirsi, pertanto, il 41-bis rispettoso dei diritti umani? E’ questo l’interrogativo che orienta l’intera indagine, cui si cerca di offrire una risposta attraverso l’analisi dell’istituto, della giurisprudenza costituzionale e di quella convenzionale più rilevanti in materia. In conclusione, vengono prospettate alcune soluzioni per rendere il 41-bis più conforme ai diritti umani anche prendendo spunto dalla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht.
27-gen-2021
41-bis ord. penit., regimi detentivi, ostatività, diritto penitenziario, diritti umani, CEDU.
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Descrizione: Tesi di Dottorato in Diritto Penale
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/3183678
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