In più luoghi della sua scrittura, Leopardi intreccia le riflessioni intorno al sublime ad altri importanti ambiti del suo pensiero, secondo un preciso movimento che dal piano retorico-stilistico si estende verso l’esperienza più in generale. Come punto di osservazione privilegiato per uno studio sui caratteri del sublime leopardiano, si è scelto quello, sinora meno indagato, della traduzione. Infatti oltre a misurarsi con la versione di una brevissima parte del Perì Upsous greco, Leopardi informa le stesse scelte di poetica traduttoria (e non) a un teso confronto con il sublime cui contrappone sovente la ricerca del ‘semplice’ come emerge chiaramente nei commenti metatraduttivi che affiancano le sue numerose e fondamentali versioni dai classici greco-latini, ad esempio in riferimento alla traduzione del Moretum pseudovirgiliano «vero esemplare dell’antica semplicità» o di un idillio teocriteo a proposito del quale così il poeta di Recanati scrive: «Si conceda ad Orazio la palma sopra i Greci nel genere lirico sublime, non però nel semplice». Dalla traduzione alla scrittura in proprio, dai giudizi di valore formulati sui poeti dell’antichità ad altre note erudite presenti nei paratesti dei suoi lavori, si prova a enucleare nel saggio la precisa valenza di questa dialettica “sublime vs semplice” riferita in primo luogo allo stile degli autori trattati, ma volta a rilevare le caratteristiche della scrittura in senso più ampio degli autori presi in esame da Leopardi e della sua stessa poetica di traduzione (nel Preambolo alla versione della Titanomachia di Esiodo si parlerà di «terribilità semplicissima»). Si dimostra inoltre come molte delle riflessioni espresse dal Recanatese nei suoi scritti presentino delle affinità con quelle dell’autore del Sublime, soprattutto in relazione alla ricezione del testo letterario spesso correlata da entrambi gli autori all’ascolto orale della letteratura, al problema del “falso sublime” (affrontato nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica e nel Parini ovvero della gloria), alla ricerca di un dialogo con la posterità. Tra le condizioni funzionali all’attivazione dell’esperienza del sublime nella traduzione, Leopardi predilige l’effetto ‘perturbante’ provocatogli dalla lettura dei testi classici («Perché quando ho letto qualche classico, la mia mente tumultua e si confonde», Lettera a Pietro Giordani, 21/3/1817), in modo analogo alle sensazioni di sbigottimento, sorpresa (thaumaston) e persino spavento (phobos), provate nell’accostarsi a un testo letterario, già teorizzate dall’Anonimo greco.

Leopardi e la traduzione: "Del Sublime" e del semplice.

Novella Primo
2014-01-01

Abstract

In più luoghi della sua scrittura, Leopardi intreccia le riflessioni intorno al sublime ad altri importanti ambiti del suo pensiero, secondo un preciso movimento che dal piano retorico-stilistico si estende verso l’esperienza più in generale. Come punto di osservazione privilegiato per uno studio sui caratteri del sublime leopardiano, si è scelto quello, sinora meno indagato, della traduzione. Infatti oltre a misurarsi con la versione di una brevissima parte del Perì Upsous greco, Leopardi informa le stesse scelte di poetica traduttoria (e non) a un teso confronto con il sublime cui contrappone sovente la ricerca del ‘semplice’ come emerge chiaramente nei commenti metatraduttivi che affiancano le sue numerose e fondamentali versioni dai classici greco-latini, ad esempio in riferimento alla traduzione del Moretum pseudovirgiliano «vero esemplare dell’antica semplicità» o di un idillio teocriteo a proposito del quale così il poeta di Recanati scrive: «Si conceda ad Orazio la palma sopra i Greci nel genere lirico sublime, non però nel semplice». Dalla traduzione alla scrittura in proprio, dai giudizi di valore formulati sui poeti dell’antichità ad altre note erudite presenti nei paratesti dei suoi lavori, si prova a enucleare nel saggio la precisa valenza di questa dialettica “sublime vs semplice” riferita in primo luogo allo stile degli autori trattati, ma volta a rilevare le caratteristiche della scrittura in senso più ampio degli autori presi in esame da Leopardi e della sua stessa poetica di traduzione (nel Preambolo alla versione della Titanomachia di Esiodo si parlerà di «terribilità semplicissima»). Si dimostra inoltre come molte delle riflessioni espresse dal Recanatese nei suoi scritti presentino delle affinità con quelle dell’autore del Sublime, soprattutto in relazione alla ricezione del testo letterario spesso correlata da entrambi gli autori all’ascolto orale della letteratura, al problema del “falso sublime” (affrontato nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica e nel Parini ovvero della gloria), alla ricerca di un dialogo con la posterità. Tra le condizioni funzionali all’attivazione dell’esperienza del sublime nella traduzione, Leopardi predilige l’effetto ‘perturbante’ provocatogli dalla lettura dei testi classici («Perché quando ho letto qualche classico, la mia mente tumultua e si confonde», Lettera a Pietro Giordani, 21/3/1817), in modo analogo alle sensazioni di sbigottimento, sorpresa (thaumaston) e persino spavento (phobos), provate nell’accostarsi a un testo letterario, già teorizzate dall’Anonimo greco.
2014
9788846739452
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