La tesi è incentrata sull’analisi della figura del concepito nel sistema giuridico romano. Negli ultimi anni questo tema ha registrato un crescente interesse da parte della dottrina. A tutt’oggi, infatti, le interpretazioni possibili e le collocazioni dogmatiche prospettate sono molteplici e ciascuna, poi, presenta al suo interno un’estrema varietà di sfumature. Basti pensare che nel corso di circa un secolo e dall’interpretazione delle medesime fonti, il concepito è stato da taluni considerato come un essere dotato di un’autonoma rilevanza, e da talaltri come una mera parte del corpo della donna, incapace di esistere autonomamente. Ed ancora, taluni hanno attribuito al concepito una rilevanza solo giuridica, e talaltri, invece, hanno individuato nel concepito una capacità di esistere persino sul piano naturalistico. In particolare, soprattutto negli ultimi anni, l’interpretazione prevalente si è mossa a favore del riconoscimento di una piena soggettività al concepito, sino ad attribuire allo stesso una precisa ed autonoma connotazione nel mondo naturale, distinta dalla madre e dagli interessi della familia. Ciò in ragione della sempre più pressante esigenza di rileggere le fonti romane con una visione attualizzante e moderna del diritto e delle categorie dogmatiche. Il panorama interpretativo è, senza dubbio, complesso ed articolato, ma è stato ricondotto su due binari principali. Ed infatti, secondo il più risalente orientamento interpretativo, il concepito non può considerarsi come un’autonoma esistenza, distinta dalla madre, almeno sul piano naturalistico. Al contrario, sul piano giuridico è possibile attribuire al concepito una forma di soggettività tale da consentirgli la titolarità dei tre status e di alcuni diritti successori. Questo primo indirizzo, seppur al suo interno si colora di un’ampia gamma di sfumature, potrebbe unitariamente definirsi come la “teoria della finzione”. Ciò in ragione del fatto che l’esistenza del concepito nel pensiero romano e nelle applicazioni giurisprudenziali è esistente solo attraverso una fictio iuris, grazie alla quale può divenire titolare di diritti, ancor prima di esser nato. Diversamente, un più recente orientamento riconosce al concepito un’autonoma esistenza, già sul piano naturalistico, prima ancora che giuridico. Il concepito, dunque, rappresenta una porzione della realtà, distinta dalla madre, dalla familia e dalla res publica, ma ad esse funzionale. Questo secondo indirizzo, colorito anch’esso da diverse sfumature al suo interno, può unitariamente definirsi come la “teoria della realtà”. Ciò in ragione del fatto che, attraverso una rimodulazione interpretativa delle fonti, attribuisce al concepito la capacità di essere in rerum natura, ossia di essere una realtà naturale empiricamente esistente. Tuttavia, questa tradizionale distinzione tra le teorie interpretative è stata superata attraverso una lettura più onesta e concreta delle fonti, attraverso il ripristino di un’importante chiave di lettura. Ed infatti, muovere dalla premessa assoluta che il concepito esiste o non esiste è sicuramente un importante indicatore della contraddizione esistente nelle fonti. Ma, al tempo stesso, è un punto di partenza fuorviante e poco coerente con l’impostazione del pensiero romanistico. In tal senso, una valida chiave di lettura per dirimere le contraddizioni sulla figura del concepito è stata individuata nella cd. “regola dell’Albertario”, per lungo tempo, forse, trascurata. Grazie a tale regola è stato possibile avere tutti gli strumenti utili per comprendere la posizione dei giuristi romani sull’esistenza o meno del concepito e dare una ragionevole giustificazione alle apparenti contraddizioni. In altre parole, si è data nuova vita alla visione dell’Albertario, evitando di ridurre la sua interpretazione ad una mera fictio iuris, poco coerente con il sistema romanistico, ma soprattutto non in linea con il pensiero dello stesso autore. Questa visione dell’Albertario, poi, è stata arricchita da una ricostruzione diacronica delle ragioni metagiuridiche, che hanno condotto ad un mutamento storico nella considerazione del concepito: dapprima come mera parte del corpo della donna e, in seguito, come autonoma esistenza. Da ultimo, infine, è stata brevemente analizzata la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 161 del 24 luglio 2023, al fine di consentire al lettore una visione più attuale della rilevanza, ad oggi, riconosciuta al concepito.

Il nondum natus

SCALISI, Sofia
2024-06-20

Abstract

La tesi è incentrata sull’analisi della figura del concepito nel sistema giuridico romano. Negli ultimi anni questo tema ha registrato un crescente interesse da parte della dottrina. A tutt’oggi, infatti, le interpretazioni possibili e le collocazioni dogmatiche prospettate sono molteplici e ciascuna, poi, presenta al suo interno un’estrema varietà di sfumature. Basti pensare che nel corso di circa un secolo e dall’interpretazione delle medesime fonti, il concepito è stato da taluni considerato come un essere dotato di un’autonoma rilevanza, e da talaltri come una mera parte del corpo della donna, incapace di esistere autonomamente. Ed ancora, taluni hanno attribuito al concepito una rilevanza solo giuridica, e talaltri, invece, hanno individuato nel concepito una capacità di esistere persino sul piano naturalistico. In particolare, soprattutto negli ultimi anni, l’interpretazione prevalente si è mossa a favore del riconoscimento di una piena soggettività al concepito, sino ad attribuire allo stesso una precisa ed autonoma connotazione nel mondo naturale, distinta dalla madre e dagli interessi della familia. Ciò in ragione della sempre più pressante esigenza di rileggere le fonti romane con una visione attualizzante e moderna del diritto e delle categorie dogmatiche. Il panorama interpretativo è, senza dubbio, complesso ed articolato, ma è stato ricondotto su due binari principali. Ed infatti, secondo il più risalente orientamento interpretativo, il concepito non può considerarsi come un’autonoma esistenza, distinta dalla madre, almeno sul piano naturalistico. Al contrario, sul piano giuridico è possibile attribuire al concepito una forma di soggettività tale da consentirgli la titolarità dei tre status e di alcuni diritti successori. Questo primo indirizzo, seppur al suo interno si colora di un’ampia gamma di sfumature, potrebbe unitariamente definirsi come la “teoria della finzione”. Ciò in ragione del fatto che l’esistenza del concepito nel pensiero romano e nelle applicazioni giurisprudenziali è esistente solo attraverso una fictio iuris, grazie alla quale può divenire titolare di diritti, ancor prima di esser nato. Diversamente, un più recente orientamento riconosce al concepito un’autonoma esistenza, già sul piano naturalistico, prima ancora che giuridico. Il concepito, dunque, rappresenta una porzione della realtà, distinta dalla madre, dalla familia e dalla res publica, ma ad esse funzionale. Questo secondo indirizzo, colorito anch’esso da diverse sfumature al suo interno, può unitariamente definirsi come la “teoria della realtà”. Ciò in ragione del fatto che, attraverso una rimodulazione interpretativa delle fonti, attribuisce al concepito la capacità di essere in rerum natura, ossia di essere una realtà naturale empiricamente esistente. Tuttavia, questa tradizionale distinzione tra le teorie interpretative è stata superata attraverso una lettura più onesta e concreta delle fonti, attraverso il ripristino di un’importante chiave di lettura. Ed infatti, muovere dalla premessa assoluta che il concepito esiste o non esiste è sicuramente un importante indicatore della contraddizione esistente nelle fonti. Ma, al tempo stesso, è un punto di partenza fuorviante e poco coerente con l’impostazione del pensiero romanistico. In tal senso, una valida chiave di lettura per dirimere le contraddizioni sulla figura del concepito è stata individuata nella cd. “regola dell’Albertario”, per lungo tempo, forse, trascurata. Grazie a tale regola è stato possibile avere tutti gli strumenti utili per comprendere la posizione dei giuristi romani sull’esistenza o meno del concepito e dare una ragionevole giustificazione alle apparenti contraddizioni. In altre parole, si è data nuova vita alla visione dell’Albertario, evitando di ridurre la sua interpretazione ad una mera fictio iuris, poco coerente con il sistema romanistico, ma soprattutto non in linea con il pensiero dello stesso autore. Questa visione dell’Albertario, poi, è stata arricchita da una ricostruzione diacronica delle ragioni metagiuridiche, che hanno condotto ad un mutamento storico nella considerazione del concepito: dapprima come mera parte del corpo della donna e, in seguito, come autonoma esistenza. Da ultimo, infine, è stata brevemente analizzata la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 161 del 24 luglio 2023, al fine di consentire al lettore una visione più attuale della rilevanza, ad oggi, riconosciuta al concepito.
20-giu-2024
Il concepito
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Descrizione: Tesi di dottorato
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/3300849
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