Tra la fine dell’Ottocento e primi anni del Novecento Luigi Sturzo aveva insegnato economia politica presso il Seminario Arcivescovile di Caltagirone, suo paese natale; nonostante ciò egli non è stato un economista. Tuttavia, i suoi studi e la sua poderosa produzione pubblicistica, soprattutto negli anni dell’esilio, hanno più volte toccato e approfondito tematiche di carattere economico. Le sue riflessioni socioeconomiche erano in continuità con il dibattito in corso negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Quegli anni particolari erano stati tra i più innovativi dal punto di vista delle teorie economiche a causa della pressione incessante degli eventi e dell’influenza dominante della Grande Depressione . La crisi spingeva economisti, sociologi, politici, scienziati sociali a formulare nuove teorie inedite e nuove forme di intervento delle istituzioni con l’obiettivo di attenuare le conseguenze economiche e sociali e anche per rimettere in moto gli apparati produttivi colpiti dagli effetti della crisi. Sturzo, da anni in esilio, oltre a dimostrare una lucida e approfondita conoscenza delle tematiche socioeconomiche di quegli anni, avanzava ipotesi interpretative e anche proposte originali per la risoluzione dei problemi che attanagliavano i maggiori paesi industriali. Nelle sue analisi, pubblicate in numerosi articoli sulla stampa internazionale e successivamente raccolti nel volume Del metodo sociologico. Studi e polemiche di sociologia nel 1950, emergeva lo Sturzo scienziato sociale, ovvero uno studioso attento osservatore dei fatti sociali a lui contemporanei. Questa variegata e multidisciplinare attività scientifica e pubblicistica non ha trovato molto spazio nel dibattito italiano, se non in chiave polemica, soprattutto dopo il suo rientro in Italia, rimanendo così marginale rispetto alla numerosa bibliografia a lui dedicata. Dagli scritti sopra citati emerge uno Sturzo “inedito”, un economista consapevole delle teorie dominanti e allo stesso tempo delle incongruenze e incapacità dimostrate dalle stesse difronte ai nuovi problemi posti dalla Grande Depressione prima e dal secondo conflitto mondiale dopo. La tesi esposta nelle pagine seguenti, che nasce da un più vasto progetto di ricerca e digitalizzazione dell’Archivio Luigi Sturzo di Roma , vuole far emergere questo particolare aspetto della riflessione sturziana nei cruciali anni Trenta e Quaranta. L’obiettivo è quello di riportare l’analisi economica e sociale di Sturzo ad un livello di consapevolezza pari al resto della riflessione del fondatore del partito popolare, in quanto le tematiche affrontante e le metodologie utilizzate non hanno nulla di meno di quelle “ortodosse” degli economisti classici, o più in generale degli scienziati sociali. Inoltre, l’approfondimento delle tematiche economiche e politiche affrontante da Sturzo, ci consentono di comprendere meglio le sue ultime battaglie e soprattutto le sue più note polemiche sulle “malebestie” dell’Italia repubblicana. Nelle pagine seguenti si vuole far emergere una interpretazione dei regimi fascista e bolscevico che Sturzo realizzava a partire dall’organizzazione dei loro sistemi socioeconomici; il corporativismo fascista e la collettivizzazione bolscevica. In quelle particolari organizzazioni egli rilevava tutte le analogie, palesi e sottintese, tra i due regimi, da esso considerati infatti in egual misura totalitari. Nel primo capitolo viene affrontata l’analisi della concezione della società e dell’economia così come Sturzo la struttura nella sua opera più importante a riguardo, La società. Sua natura e leggi, pubblicata in esilio a Londra. L’indagine teorica e metodologica esposta dal sacerdote si è resa necessaria e preliminare a quella storico-pratica successiva. Nel secondo capitolo si tratta l’analisi pratica dei sistemi socioeconomici a lui contemporanei. Sturzo, infatti, effettuava in numerosi scritti un'efficace diagnosi delle caratteristiche dei regimi totalitari, i quali erano dotati di una vera e propria valenza germinativa tanto che la sua definizione più suggestiva era quella di bolscevismo come dittatura comunista o fascismo di sinistra e fascismo come la dittatura conservatrice o bolscevismo di destra. Numerose altre analogie Sturzo le faceva emergere sulla mistica di stato, sulla medesima volontà di ricreare una vera e propria religione di stato. Tuttavia l’elemento che più accomunava i due regimi per il sacerdote era proprio la medesima finalità economica. Bolscevismo russo e fascismo italiano, ribadiva costantemente Sturzo, realizzavano un vero e proprio esperimento economico volto alla sostituzione dell’iniziativa privata con l’economia diretta statale. Entrambi i sistemi politici ed economici tendevano all’eliminazione dei contrasti economici portandoli nella morsa della dittatura politica. Oltre all’analogia tra il sistema corporativo fascista e il collettivismo sovietico, Sturzo rilevava un altro tentativo che lo toccava nel profondo del suo senso morale: il dibattito in corso in Italia sulle analogie tra corporativismo fascista e corporativismo cristiano sociale. Questo tema era per lui, convinto sacerdote cattolico e propugnatore della dottrina sociale della Chiesa fin dalle sue prima battaglie municipali, un tema assai scottante. Per Sturzo non erano le analogie tra i due sistemi gli elementi importanti da far emergere, ma le divergenze, a suo giudizio inconciliabili. Per tutti gli anni dell’esilio rimase costante questo elemento nella sua riflessione socioeconomica, ovvero quello di discostare l’appartato dottrinario della Chiesa cattolica dal regime fascista. Nelle pagine seguenti il tema è stato approfondito attraverso l’analisi di un suo scritto inedito, dove il sacerdote espone la sua posizione ponendola a confronto con la posizione assunta dalla rivista La Civiltà Cattolica esposta dal gesuita Angelo Brucculeri. Scoppiato il secondo conflitto mondiale Sturzo era costretto a lasciare Londra per gli Stati Uniti. La sua riflessione in America si arricchiva così anche dell’esperienza della guerra, aggiornando e ampliando le sue analisi economiche difronte al nuovo evento bellico e alle sue inevitabili conseguenza sui sistemi economici e politici. Il periodo dell’esilio americano era quello degli anni che vedevano fiorire una letteratura vastissima su quelle tematiche; basti ricordare le più importanti e note come Capitalismo, socialismo e democrazia di Joseph Schumpeter del 1942, La via della schiavitù di Friedrich von Hayek e Civitas humana di Wilhelm Röpke del 1944, La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper del 1945 e L’azione umana di Ludwig von Mises del 1949. Queste opere, che sarebbero divenute ben presto dei classici del pensiero politico ed economico del Novecento, non erano ignote al sacerdote. Nei suoi scritti emergeva infatti una notevole consapevolezza del dibattito internazionale, dell’influenza che il conflitto ancora in corso generava sulle riflessioni, sugli esiti incerti, sul futuro del sistema capitalistico. E la riflessione sturziana si dimostrava di pari livello a quelle indagini. Ed è proprio nell’analisi sul futuro del sistema capitalistico che Sturzo incontrava sulla sua strada economisti del calibro di Schumpeter, Röpke, von Mises, von Hayek, con i quali si possono scorgere notevoli analogie e spunti di riflessione. Tutte queste figure condividevano con il sacerdote la condizione di europei costretti a lasciare i propri paesi caduti sotto regimi totalitari; evento comune che stimolava in loro la riflessione sul nuovo ordine socioeconomico. Con Hayek emerge l’analoga preoccupazione delle nuove tendenze affiorate, anche nei paesi di maggior tradizione liberale, di nuove forme di interventismo statale; entrambi gli autori distinguevano l’interventismo buono dall’interventismo cattivo, differentemente da Mises il quale escludeva ogni forma di intervento statale nella sfera economica . Tuttavia Sturzo concordava insieme ad Hayek e Mises sulla comune radice socialista dei sistemi totalitari . Con Schumpeter invece sembra crearsi un vero e proprio sodalizio culturale; entrambi prevedevano la fine del capitalismo classico, ma soprattutto entrambi si confronteranno con la dottrina sociale della Chiesa. Schumpeter infatti, negli ultimi anni della sua vita aveva avuto un fecondo dialogo con diversi gesuiti americani, i quali lo avevano introdotto allo studio della dottrina sociale cattolica, specialmente della enciclica Quadragesimo anno. Tale incontro culturale emerge nei suoi ultimi scritti, i quali trattano della possibilità di nuove forme di sistemi corporativi come superamento del modello capitalista. Nel terzo capitolo della tesi, infatti, la riflessione sturziana viene costantemente rinviata al dibattito in corso, facendo emergere, in numerosi casi, gli aspetti di continuità, in altri, quelli da cui il sacerdote dissentiva. Alla fine della tesi, si pone la riflessione del sacerdote sul concetto di liberalismo, dove egli ripercorreva brevemente il suo percorso storico, culturale e politico, utilizzando come chiave di lettura quella di cattolico sociale. Alla luce delle analisi del sacerdote siciliano ci si è convinti che, per quanto non sia un economista puro e quindi non può appartenere a nessuna scuola economica specifica, la riflessione sturziana in campo socioeconomico può essere agevolmente accostabile a quella proposta dalla scuola economica ordoliberale, meglio conosciuta in Italia come economia sociale di mercato . Gli ordoliberali, a differenza del liberalismo classico, non ricadevano nell'estremo della scelta pubblica, considerando lo Stato nei termini esclusivamente negativi di un Leviatano o di un'operazione scellerata. Essi erano attenti sia ai lati positivi che a quelli negativi dell'attività governativa, dando molto risalto al “sociale” come parte di un insieme più ampio e organico, congiuntamente allo Stato di diritto e all'economia di libero mercato, non come uno strumento redistributivo per “correggere” le imperfezioni di un mercato, ma piuttosto come politica sociale che integra il maggior numero possibile di individui nella società di mercato, con una rete di sicurezza minima per coloro che ne escono . Sturzo infatti, distingueva l’interventismo statale giusto da quello errato; non negava la funzione regolatrice e integratrice dello stato in economia, in quanto per egli l’economia era funzione dei singoli e dei loro liberi aggruppamenti e mai funzione dello stato. Tenendo sempre presente che per Sturzo nel campo economico era in gioco la libertà stessa, libertà che non era mai arbitrio e senza limiti, il medesimo concetto veniva più volte ribadito dai maggiori interpreti dell’economia sociale di mercato, ovvero quello della consapevolezza che la libertà – tanto in economia quanto in politica – produce strumenti estremamente fragili ma gli unici all’altezza della dignità umana e che la concorrenza non è il prodotto del caso, bensì il risultato di secoli di civilizzazione . Il monito di Sturzo veniva rilanciato da uno dei maggiori esponenti dell’economia sociale di mercato quando sperava di «persuadere gli uomini che alle questioni posteci dai collettivisti si può dare ancora, e oggi più che mai, una risposta liberale, anche se decisamente diversa da quella del liberalismo storico, che anzi questa è l’unica risposta conciliabile con una Civitas humana» . E dall’analisi sturziana sull’economia prevalente nel dopoguerra emergeva la consapevolezza del superamento del liberalismo classico, così come esposto dai teorici ordoliberali; per il sacerdote esso, non era più il puro laissez-faire della scuola di Manchester, ma l’affermazione della libertà d’iniziativa prevalente, associata ad una sempre maggiore collaborazione tra tutte le classi sociali; collaborazione che porti ad una più giusta partecipazione e socializzazione delle risorse economiche. Politica sociale e difesa dei diritti e della dignità della persona umana, sono i pilastri alla base della dottrina sociale della chiesa, i quali sono stati sempre il punto di partenza di ogni riflessione socioeconomica del sacerdote antifascista e cattolico sociale Luigi Sturzo.

Il pensiero politico di don Luigi Sturzo tra fascismo e comunismo: la critica al corporativismo e al collettivismo

PINTAUDI, Vincenzo
2025-07-07

Abstract

Tra la fine dell’Ottocento e primi anni del Novecento Luigi Sturzo aveva insegnato economia politica presso il Seminario Arcivescovile di Caltagirone, suo paese natale; nonostante ciò egli non è stato un economista. Tuttavia, i suoi studi e la sua poderosa produzione pubblicistica, soprattutto negli anni dell’esilio, hanno più volte toccato e approfondito tematiche di carattere economico. Le sue riflessioni socioeconomiche erano in continuità con il dibattito in corso negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Quegli anni particolari erano stati tra i più innovativi dal punto di vista delle teorie economiche a causa della pressione incessante degli eventi e dell’influenza dominante della Grande Depressione . La crisi spingeva economisti, sociologi, politici, scienziati sociali a formulare nuove teorie inedite e nuove forme di intervento delle istituzioni con l’obiettivo di attenuare le conseguenze economiche e sociali e anche per rimettere in moto gli apparati produttivi colpiti dagli effetti della crisi. Sturzo, da anni in esilio, oltre a dimostrare una lucida e approfondita conoscenza delle tematiche socioeconomiche di quegli anni, avanzava ipotesi interpretative e anche proposte originali per la risoluzione dei problemi che attanagliavano i maggiori paesi industriali. Nelle sue analisi, pubblicate in numerosi articoli sulla stampa internazionale e successivamente raccolti nel volume Del metodo sociologico. Studi e polemiche di sociologia nel 1950, emergeva lo Sturzo scienziato sociale, ovvero uno studioso attento osservatore dei fatti sociali a lui contemporanei. Questa variegata e multidisciplinare attività scientifica e pubblicistica non ha trovato molto spazio nel dibattito italiano, se non in chiave polemica, soprattutto dopo il suo rientro in Italia, rimanendo così marginale rispetto alla numerosa bibliografia a lui dedicata. Dagli scritti sopra citati emerge uno Sturzo “inedito”, un economista consapevole delle teorie dominanti e allo stesso tempo delle incongruenze e incapacità dimostrate dalle stesse difronte ai nuovi problemi posti dalla Grande Depressione prima e dal secondo conflitto mondiale dopo. La tesi esposta nelle pagine seguenti, che nasce da un più vasto progetto di ricerca e digitalizzazione dell’Archivio Luigi Sturzo di Roma , vuole far emergere questo particolare aspetto della riflessione sturziana nei cruciali anni Trenta e Quaranta. L’obiettivo è quello di riportare l’analisi economica e sociale di Sturzo ad un livello di consapevolezza pari al resto della riflessione del fondatore del partito popolare, in quanto le tematiche affrontante e le metodologie utilizzate non hanno nulla di meno di quelle “ortodosse” degli economisti classici, o più in generale degli scienziati sociali. Inoltre, l’approfondimento delle tematiche economiche e politiche affrontante da Sturzo, ci consentono di comprendere meglio le sue ultime battaglie e soprattutto le sue più note polemiche sulle “malebestie” dell’Italia repubblicana. Nelle pagine seguenti si vuole far emergere una interpretazione dei regimi fascista e bolscevico che Sturzo realizzava a partire dall’organizzazione dei loro sistemi socioeconomici; il corporativismo fascista e la collettivizzazione bolscevica. In quelle particolari organizzazioni egli rilevava tutte le analogie, palesi e sottintese, tra i due regimi, da esso considerati infatti in egual misura totalitari. Nel primo capitolo viene affrontata l’analisi della concezione della società e dell’economia così come Sturzo la struttura nella sua opera più importante a riguardo, La società. Sua natura e leggi, pubblicata in esilio a Londra. L’indagine teorica e metodologica esposta dal sacerdote si è resa necessaria e preliminare a quella storico-pratica successiva. Nel secondo capitolo si tratta l’analisi pratica dei sistemi socioeconomici a lui contemporanei. Sturzo, infatti, effettuava in numerosi scritti un'efficace diagnosi delle caratteristiche dei regimi totalitari, i quali erano dotati di una vera e propria valenza germinativa tanto che la sua definizione più suggestiva era quella di bolscevismo come dittatura comunista o fascismo di sinistra e fascismo come la dittatura conservatrice o bolscevismo di destra. Numerose altre analogie Sturzo le faceva emergere sulla mistica di stato, sulla medesima volontà di ricreare una vera e propria religione di stato. Tuttavia l’elemento che più accomunava i due regimi per il sacerdote era proprio la medesima finalità economica. Bolscevismo russo e fascismo italiano, ribadiva costantemente Sturzo, realizzavano un vero e proprio esperimento economico volto alla sostituzione dell’iniziativa privata con l’economia diretta statale. Entrambi i sistemi politici ed economici tendevano all’eliminazione dei contrasti economici portandoli nella morsa della dittatura politica. Oltre all’analogia tra il sistema corporativo fascista e il collettivismo sovietico, Sturzo rilevava un altro tentativo che lo toccava nel profondo del suo senso morale: il dibattito in corso in Italia sulle analogie tra corporativismo fascista e corporativismo cristiano sociale. Questo tema era per lui, convinto sacerdote cattolico e propugnatore della dottrina sociale della Chiesa fin dalle sue prima battaglie municipali, un tema assai scottante. Per Sturzo non erano le analogie tra i due sistemi gli elementi importanti da far emergere, ma le divergenze, a suo giudizio inconciliabili. Per tutti gli anni dell’esilio rimase costante questo elemento nella sua riflessione socioeconomica, ovvero quello di discostare l’appartato dottrinario della Chiesa cattolica dal regime fascista. Nelle pagine seguenti il tema è stato approfondito attraverso l’analisi di un suo scritto inedito, dove il sacerdote espone la sua posizione ponendola a confronto con la posizione assunta dalla rivista La Civiltà Cattolica esposta dal gesuita Angelo Brucculeri. Scoppiato il secondo conflitto mondiale Sturzo era costretto a lasciare Londra per gli Stati Uniti. La sua riflessione in America si arricchiva così anche dell’esperienza della guerra, aggiornando e ampliando le sue analisi economiche difronte al nuovo evento bellico e alle sue inevitabili conseguenza sui sistemi economici e politici. Il periodo dell’esilio americano era quello degli anni che vedevano fiorire una letteratura vastissima su quelle tematiche; basti ricordare le più importanti e note come Capitalismo, socialismo e democrazia di Joseph Schumpeter del 1942, La via della schiavitù di Friedrich von Hayek e Civitas humana di Wilhelm Röpke del 1944, La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper del 1945 e L’azione umana di Ludwig von Mises del 1949. Queste opere, che sarebbero divenute ben presto dei classici del pensiero politico ed economico del Novecento, non erano ignote al sacerdote. Nei suoi scritti emergeva infatti una notevole consapevolezza del dibattito internazionale, dell’influenza che il conflitto ancora in corso generava sulle riflessioni, sugli esiti incerti, sul futuro del sistema capitalistico. E la riflessione sturziana si dimostrava di pari livello a quelle indagini. Ed è proprio nell’analisi sul futuro del sistema capitalistico che Sturzo incontrava sulla sua strada economisti del calibro di Schumpeter, Röpke, von Mises, von Hayek, con i quali si possono scorgere notevoli analogie e spunti di riflessione. Tutte queste figure condividevano con il sacerdote la condizione di europei costretti a lasciare i propri paesi caduti sotto regimi totalitari; evento comune che stimolava in loro la riflessione sul nuovo ordine socioeconomico. Con Hayek emerge l’analoga preoccupazione delle nuove tendenze affiorate, anche nei paesi di maggior tradizione liberale, di nuove forme di interventismo statale; entrambi gli autori distinguevano l’interventismo buono dall’interventismo cattivo, differentemente da Mises il quale escludeva ogni forma di intervento statale nella sfera economica . Tuttavia Sturzo concordava insieme ad Hayek e Mises sulla comune radice socialista dei sistemi totalitari . Con Schumpeter invece sembra crearsi un vero e proprio sodalizio culturale; entrambi prevedevano la fine del capitalismo classico, ma soprattutto entrambi si confronteranno con la dottrina sociale della Chiesa. Schumpeter infatti, negli ultimi anni della sua vita aveva avuto un fecondo dialogo con diversi gesuiti americani, i quali lo avevano introdotto allo studio della dottrina sociale cattolica, specialmente della enciclica Quadragesimo anno. Tale incontro culturale emerge nei suoi ultimi scritti, i quali trattano della possibilità di nuove forme di sistemi corporativi come superamento del modello capitalista. Nel terzo capitolo della tesi, infatti, la riflessione sturziana viene costantemente rinviata al dibattito in corso, facendo emergere, in numerosi casi, gli aspetti di continuità, in altri, quelli da cui il sacerdote dissentiva. Alla fine della tesi, si pone la riflessione del sacerdote sul concetto di liberalismo, dove egli ripercorreva brevemente il suo percorso storico, culturale e politico, utilizzando come chiave di lettura quella di cattolico sociale. Alla luce delle analisi del sacerdote siciliano ci si è convinti che, per quanto non sia un economista puro e quindi non può appartenere a nessuna scuola economica specifica, la riflessione sturziana in campo socioeconomico può essere agevolmente accostabile a quella proposta dalla scuola economica ordoliberale, meglio conosciuta in Italia come economia sociale di mercato . Gli ordoliberali, a differenza del liberalismo classico, non ricadevano nell'estremo della scelta pubblica, considerando lo Stato nei termini esclusivamente negativi di un Leviatano o di un'operazione scellerata. Essi erano attenti sia ai lati positivi che a quelli negativi dell'attività governativa, dando molto risalto al “sociale” come parte di un insieme più ampio e organico, congiuntamente allo Stato di diritto e all'economia di libero mercato, non come uno strumento redistributivo per “correggere” le imperfezioni di un mercato, ma piuttosto come politica sociale che integra il maggior numero possibile di individui nella società di mercato, con una rete di sicurezza minima per coloro che ne escono . Sturzo infatti, distingueva l’interventismo statale giusto da quello errato; non negava la funzione regolatrice e integratrice dello stato in economia, in quanto per egli l’economia era funzione dei singoli e dei loro liberi aggruppamenti e mai funzione dello stato. Tenendo sempre presente che per Sturzo nel campo economico era in gioco la libertà stessa, libertà che non era mai arbitrio e senza limiti, il medesimo concetto veniva più volte ribadito dai maggiori interpreti dell’economia sociale di mercato, ovvero quello della consapevolezza che la libertà – tanto in economia quanto in politica – produce strumenti estremamente fragili ma gli unici all’altezza della dignità umana e che la concorrenza non è il prodotto del caso, bensì il risultato di secoli di civilizzazione . Il monito di Sturzo veniva rilanciato da uno dei maggiori esponenti dell’economia sociale di mercato quando sperava di «persuadere gli uomini che alle questioni posteci dai collettivisti si può dare ancora, e oggi più che mai, una risposta liberale, anche se decisamente diversa da quella del liberalismo storico, che anzi questa è l’unica risposta conciliabile con una Civitas humana» . E dall’analisi sturziana sull’economia prevalente nel dopoguerra emergeva la consapevolezza del superamento del liberalismo classico, così come esposto dai teorici ordoliberali; per il sacerdote esso, non era più il puro laissez-faire della scuola di Manchester, ma l’affermazione della libertà d’iniziativa prevalente, associata ad una sempre maggiore collaborazione tra tutte le classi sociali; collaborazione che porti ad una più giusta partecipazione e socializzazione delle risorse economiche. Politica sociale e difesa dei diritti e della dignità della persona umana, sono i pilastri alla base della dottrina sociale della chiesa, i quali sono stati sempre il punto di partenza di ogni riflessione socioeconomica del sacerdote antifascista e cattolico sociale Luigi Sturzo.
7-lug-2025
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Descrizione: tesi
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