La difficoltà di trovare un giusto equilibrio tra l’eccezione d’immunità e il diritto dell’individuo di agire in giudizio si accentua quando l’individuo, dopo aver inutilmente cercato tutela nell’ordinamento nazionale, si rivolga ad organismi internazionali ed anche lì veda prevalere l’eccezione sopra indicata. È ciò che è accaduto dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Fogarty, McElhinney e Al-Adsani: chiamata a verificare la compatibilità della regola sull’immunità con l’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (di seguito CEDU) che, come noto, garantisce il diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale, la Corte ha decretato una sorta di immunità sistematica dello Stato, anche in un’ipotesi molto particolare quale quella relativa ad un’azione di risarcimento danni a seguito di atti di tortura. Tali sentenze, duramente criticate da alcuni giudici della stessa Corte e da molti commentatori per lo “scarso coraggio” dimostrato nell’accogliere soluzioni interpretative più illuminate, possono essere esaminate alla luce del dibattito sulla coerenza del diritto internazionale a fronte della sua frammentazione. Le argomentazioni della Corte rappresentano, infatti, un valido punto di confronto su questo tema, sia per l’uso dei criteri generali di interpretazione dei trattati che per la ricostruzione del rapporto tra fonti di diritto internazionale. In questa ottica il ragionamento seguito dalla Corte si presta almeno a due critiche principali: in primo luogo, se si ricorre all’art. 31 par. 3 lett. c per conciliare al meglio le regole della CEDU con le altre norme di diritto internazionale rilevanti, non si comprende perché, tra tutte le norme consuetudinarie esistenti, si debba dare un valore preminente solo ad alcune di esse, quelle sull’immunità, e non anche, per esempio, a quelle che affermano il diritto alla giustizia come elemento di legalità imprescindibile all’interno di una società democratica, improntata sul rispetto dello Stato di diritto. Benché limitato in vario modo nell’ambito delle giurisdizioni interne, il diritto di adire un giudice resta un diritto fondamentale dell’individuo. Secondariamente, se la Corte stabilisce una gerarchia tra le fonti applicabili che porterebbe ad escludere il diritto dell’individuo di adire un giudice di fronte alla necessità di mantenere “relazioni amichevoli” tra gli Stati, non si comprende perchè nel caso Al-Adsani, dopo aver qualificato la norma che vieta la tortura come norma imperativa di diritto internazionale, non abbia fatto prevalere quest’ultima sulle norme consuetudinarie in tema d’immunità.

Immunità degli Stati dalla giurisdizione e art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo: coerenza sistemica del diritto internazionale e garanzie di non impunità

DISTEFANO, Marcella
2007-01-01

Abstract

La difficoltà di trovare un giusto equilibrio tra l’eccezione d’immunità e il diritto dell’individuo di agire in giudizio si accentua quando l’individuo, dopo aver inutilmente cercato tutela nell’ordinamento nazionale, si rivolga ad organismi internazionali ed anche lì veda prevalere l’eccezione sopra indicata. È ciò che è accaduto dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Fogarty, McElhinney e Al-Adsani: chiamata a verificare la compatibilità della regola sull’immunità con l’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (di seguito CEDU) che, come noto, garantisce il diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale, la Corte ha decretato una sorta di immunità sistematica dello Stato, anche in un’ipotesi molto particolare quale quella relativa ad un’azione di risarcimento danni a seguito di atti di tortura. Tali sentenze, duramente criticate da alcuni giudici della stessa Corte e da molti commentatori per lo “scarso coraggio” dimostrato nell’accogliere soluzioni interpretative più illuminate, possono essere esaminate alla luce del dibattito sulla coerenza del diritto internazionale a fronte della sua frammentazione. Le argomentazioni della Corte rappresentano, infatti, un valido punto di confronto su questo tema, sia per l’uso dei criteri generali di interpretazione dei trattati che per la ricostruzione del rapporto tra fonti di diritto internazionale. In questa ottica il ragionamento seguito dalla Corte si presta almeno a due critiche principali: in primo luogo, se si ricorre all’art. 31 par. 3 lett. c per conciliare al meglio le regole della CEDU con le altre norme di diritto internazionale rilevanti, non si comprende perché, tra tutte le norme consuetudinarie esistenti, si debba dare un valore preminente solo ad alcune di esse, quelle sull’immunità, e non anche, per esempio, a quelle che affermano il diritto alla giustizia come elemento di legalità imprescindibile all’interno di una società democratica, improntata sul rispetto dello Stato di diritto. Benché limitato in vario modo nell’ambito delle giurisdizioni interne, il diritto di adire un giudice resta un diritto fondamentale dell’individuo. Secondariamente, se la Corte stabilisce una gerarchia tra le fonti applicabili che porterebbe ad escludere il diritto dell’individuo di adire un giudice di fronte alla necessità di mantenere “relazioni amichevoli” tra gli Stati, non si comprende perchè nel caso Al-Adsani, dopo aver qualificato la norma che vieta la tortura come norma imperativa di diritto internazionale, non abbia fatto prevalere quest’ultima sulle norme consuetudinarie in tema d’immunità.
2007
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/1675202
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact