Queste conversazioni col poeta-cantastorie Fortunato Sindoni costituiscono un ampio stralcio di una lezione-concerto organizzata nel 2005 dalla Cattedra di Storia delle Tradizioni Popolari della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Messina, tenuta dal Prof. Mauro Geraci. L'esperienza di Sindoni continua a rappresentare quanto di più vivo, creativo, attuale, aperto ci possa essere in una temperie storico-culturale che, sin dal dopoguerra, vide già i cantastorie mescolare la canzone narrativa di tradizione orale con quella importata dagli americani, con quella italiana e napoletana, attraverso la radio, la televisione, il cinema e i mass media, avanzando le nuove istanze dell'antimafia, quelle sindacali di operai, emigranti e contadini alle quali Sindoni, dopo la storica ballata sull'uccisione del sindacalista Pio La Torre, continua a dar voce. Del resto, sostituendo già negli anni Settanta i cartelloni (di cui per altro fa ancora grande uso negli spettacoli) con la proiezione di diapositive, Sindoni ha dato un notevole contributo a quella sperimentazione tecnologica da sempre connessa al mestiere di cantastorie (famoso l'elogio del microfono e dell'altoparlante-valigia fatto dal cantastorie Vito Santangelo nella sua autobiografia, come anche i siti internet che oggi sono tappa obbligata dei nuovi cantastorie). Il movimento studentesco, come le folk songs che ne veicolarono le idee di rinnovamento, costituiscono un altro capitolo decisivo nella formazione del cantastorie Sindoni. Un movimento che portò gli studenti del sud e del nord a unirsi per aprire la strada alle più grandi rivoluzioni sociali e culturali del nostro Paese. Con gli studenti il siciliano Sindoni canta Woody Guthrie, Pete Seeger, Leadbelly, Missisipi John Hurt fino a Bob Dylan e Joan Baez. Musiche e temi, al centro della vita artistica e umana di Sindoni che, provocatoriamente, testimoniano quanto i cantastorie, per quanto nati in Sicilia o in Toscana o Emilia-Romagna, non possano mai essere considerati siciliani, toscani, emiliani, romagnoli o quant'altro. I cantastorie, come scriveva Leonardo Sciascia introducendo il libro “Io faccio il poeta” di Ignazio Buttitta, sono una voce popolare universale; sono autori di ballate fatte per essere diffuse con voci, chitarre, microfoni, diapositive, televisioni e siti internet in una piazza che, anche quando fisicamente dislocata in Australia o nel paese siciliano di campagna, si fa piazza universale, popolata di opinioni diverse per quanti sono gli uomini, le donne, i bambini, i preti, i comunisti, i fascisti, i turisti, gli invasori, i paesani, i colleghi, i commercianti che, in un flusso ininterrotto, continuano a popolarla. Quanto più variegata e dialettica è la piazza, tanto più lo spettacolo del cantastorie raggiunge il suo obiettivo principale: riesporre le storie che ci riguardano tutti alla riflessione di un'inesauribile critica popolare coltivata di piazza in piazza. E ciò spiega non solo la varietà dei circuiti culturali frequentati dai cantastorie – dalle università alle sagre paesane, dagli istituti di cultura all'estero alle televisioni ecc.. -,ma anche le varietà linguistiche impiegate nella composizione poetica. Sindoni, ad esempio, spesso non scrive in dialetto ma in italiano, ed è autore di moltissime ballate in inglese, da "Don't say goodbay to Sigonella" cantata in Sicilia, a Comiso, negli anni delle manifestazioni pacifiste per il disarmo fino a "To Rocco Bernabei", in cui dà voce alle ultime parole pronunciate in America dal condannato a morte Rocco Bernabei prima che oggi, ad anni di distanza dall'esecuzione, venisse riconosciuto innocente. Sono questi, qui ricapitolati, alcuni tratti di quella articolata “dimensione di mezzo” che studiosi come D'Ancona, Toschi, Carpitella, Leydi hanno unanimemente riconosciuto “chiave di comprensione” della grande opera d'intermediazione socioculturale che Sindoni e altri cantastorie continuano a svolgere.
Conversazioni con Fortunato Sindoni
GERACI, Mauro
2005-01-01
Abstract
Queste conversazioni col poeta-cantastorie Fortunato Sindoni costituiscono un ampio stralcio di una lezione-concerto organizzata nel 2005 dalla Cattedra di Storia delle Tradizioni Popolari della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Messina, tenuta dal Prof. Mauro Geraci. L'esperienza di Sindoni continua a rappresentare quanto di più vivo, creativo, attuale, aperto ci possa essere in una temperie storico-culturale che, sin dal dopoguerra, vide già i cantastorie mescolare la canzone narrativa di tradizione orale con quella importata dagli americani, con quella italiana e napoletana, attraverso la radio, la televisione, il cinema e i mass media, avanzando le nuove istanze dell'antimafia, quelle sindacali di operai, emigranti e contadini alle quali Sindoni, dopo la storica ballata sull'uccisione del sindacalista Pio La Torre, continua a dar voce. Del resto, sostituendo già negli anni Settanta i cartelloni (di cui per altro fa ancora grande uso negli spettacoli) con la proiezione di diapositive, Sindoni ha dato un notevole contributo a quella sperimentazione tecnologica da sempre connessa al mestiere di cantastorie (famoso l'elogio del microfono e dell'altoparlante-valigia fatto dal cantastorie Vito Santangelo nella sua autobiografia, come anche i siti internet che oggi sono tappa obbligata dei nuovi cantastorie). Il movimento studentesco, come le folk songs che ne veicolarono le idee di rinnovamento, costituiscono un altro capitolo decisivo nella formazione del cantastorie Sindoni. Un movimento che portò gli studenti del sud e del nord a unirsi per aprire la strada alle più grandi rivoluzioni sociali e culturali del nostro Paese. Con gli studenti il siciliano Sindoni canta Woody Guthrie, Pete Seeger, Leadbelly, Missisipi John Hurt fino a Bob Dylan e Joan Baez. Musiche e temi, al centro della vita artistica e umana di Sindoni che, provocatoriamente, testimoniano quanto i cantastorie, per quanto nati in Sicilia o in Toscana o Emilia-Romagna, non possano mai essere considerati siciliani, toscani, emiliani, romagnoli o quant'altro. I cantastorie, come scriveva Leonardo Sciascia introducendo il libro “Io faccio il poeta” di Ignazio Buttitta, sono una voce popolare universale; sono autori di ballate fatte per essere diffuse con voci, chitarre, microfoni, diapositive, televisioni e siti internet in una piazza che, anche quando fisicamente dislocata in Australia o nel paese siciliano di campagna, si fa piazza universale, popolata di opinioni diverse per quanti sono gli uomini, le donne, i bambini, i preti, i comunisti, i fascisti, i turisti, gli invasori, i paesani, i colleghi, i commercianti che, in un flusso ininterrotto, continuano a popolarla. Quanto più variegata e dialettica è la piazza, tanto più lo spettacolo del cantastorie raggiunge il suo obiettivo principale: riesporre le storie che ci riguardano tutti alla riflessione di un'inesauribile critica popolare coltivata di piazza in piazza. E ciò spiega non solo la varietà dei circuiti culturali frequentati dai cantastorie – dalle università alle sagre paesane, dagli istituti di cultura all'estero alle televisioni ecc.. -,ma anche le varietà linguistiche impiegate nella composizione poetica. Sindoni, ad esempio, spesso non scrive in dialetto ma in italiano, ed è autore di moltissime ballate in inglese, da "Don't say goodbay to Sigonella" cantata in Sicilia, a Comiso, negli anni delle manifestazioni pacifiste per il disarmo fino a "To Rocco Bernabei", in cui dà voce alle ultime parole pronunciate in America dal condannato a morte Rocco Bernabei prima che oggi, ad anni di distanza dall'esecuzione, venisse riconosciuto innocente. Sono questi, qui ricapitolati, alcuni tratti di quella articolata “dimensione di mezzo” che studiosi come D'Ancona, Toschi, Carpitella, Leydi hanno unanimemente riconosciuto “chiave di comprensione” della grande opera d'intermediazione socioculturale che Sindoni e altri cantastorie continuano a svolgere.Pubblicazioni consigliate
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