L’impostazione classica della questione bioetica dell’eutanasia attraverso il paradigma dei principi conduce a risolvere la questione con un sì, se si privilegiail principio di autonomia, o con un no se si dà il primato al principio dell’indisponibilità della vita. Il saggio muove dalla proposta che sia possibile un altro approccio, basato sull’interazione, suggerita come linea metodica da Warren T. Reich, del paradigma dei principi con gli altri paradigmi della bioetica: l’esperienza, la cura, la virtù. Il primo momento è ripensare l’eutanasia come l’oggetto di una domanda che viene dalla sofferenza e che, come tale, va accolta ed interpretata in un contesto di relazione. A differenza del suicidio, non vi è qui un darsi la morte, ma un domandare la morte all’altro. L’attenzione etica va spostata dal far centro esclusivamente sull’autonomia al focalizzarsi anche e soprattutto sulla relazione, in particolare sulla complessità e le contraddizioni che segnano oggi la relazione tra il paziente e il medico. Anche se chiede una “cura” limite, paradossale che non può essere data, pena la contraddizione e il ribaltamento degli stessi fini della medicina, la domanda di eutanasia non può restare inevasa, ma deve essere accolta, ri-aperta con l’attenzione che il paradigma di cura impone, con l’humanitas che il paradigma di virtù ci consegna. L’attenzione etica all’esperienza di chi domanda la morte diviene il primo momento per trovare una conciliazione tra momenti apparentemente antitetici, come la sacralità e la qualità della vita, per cogliere la complementarità tra diritti apparentemente antitetici come il diritto ad essere lasciati soli e il diritto a non essere lasciati soli, per sostenere insieme la liberazione dal dolore fisico e la liberazione del dolore dell’anima. Spostando il punto di vista dalla libertà alla relazione, il saggio vuole indicare l’impossibilità etica di dire di sì all’eutanasia proprio sul versante della relazione, ponendo al tempo stesso l’accento non solo sulla responsabilità che il dire di sì comporta, ma anche sulle altre responsabilità di cui la domanda di eutanasia ci fa carico: le responsabilità che riguardano la situazione da cui trae origine, e le altre che riguardano ciò che rimane da fare per rispondere alla richiesta di aiuto e di cura che la domanda sottende. Con il movimento proprio dell’etica della cura, il saggio vuole proporre di non risolvere il dilemma in cui la questione bioetica dell’eutanasia sembra costringerci, rinunciando alla vita o alla libertà, ma di provare a ridefinire il contesto da cui il dilemma ha origine, in modo tale che sia possibile tenere insieme vita e libertà.

Eutanasia: una questione di relazione

GENSABELLA, Marianna
2007-01-01

Abstract

L’impostazione classica della questione bioetica dell’eutanasia attraverso il paradigma dei principi conduce a risolvere la questione con un sì, se si privilegiail principio di autonomia, o con un no se si dà il primato al principio dell’indisponibilità della vita. Il saggio muove dalla proposta che sia possibile un altro approccio, basato sull’interazione, suggerita come linea metodica da Warren T. Reich, del paradigma dei principi con gli altri paradigmi della bioetica: l’esperienza, la cura, la virtù. Il primo momento è ripensare l’eutanasia come l’oggetto di una domanda che viene dalla sofferenza e che, come tale, va accolta ed interpretata in un contesto di relazione. A differenza del suicidio, non vi è qui un darsi la morte, ma un domandare la morte all’altro. L’attenzione etica va spostata dal far centro esclusivamente sull’autonomia al focalizzarsi anche e soprattutto sulla relazione, in particolare sulla complessità e le contraddizioni che segnano oggi la relazione tra il paziente e il medico. Anche se chiede una “cura” limite, paradossale che non può essere data, pena la contraddizione e il ribaltamento degli stessi fini della medicina, la domanda di eutanasia non può restare inevasa, ma deve essere accolta, ri-aperta con l’attenzione che il paradigma di cura impone, con l’humanitas che il paradigma di virtù ci consegna. L’attenzione etica all’esperienza di chi domanda la morte diviene il primo momento per trovare una conciliazione tra momenti apparentemente antitetici, come la sacralità e la qualità della vita, per cogliere la complementarità tra diritti apparentemente antitetici come il diritto ad essere lasciati soli e il diritto a non essere lasciati soli, per sostenere insieme la liberazione dal dolore fisico e la liberazione del dolore dell’anima. Spostando il punto di vista dalla libertà alla relazione, il saggio vuole indicare l’impossibilità etica di dire di sì all’eutanasia proprio sul versante della relazione, ponendo al tempo stesso l’accento non solo sulla responsabilità che il dire di sì comporta, ma anche sulle altre responsabilità di cui la domanda di eutanasia ci fa carico: le responsabilità che riguardano la situazione da cui trae origine, e le altre che riguardano ciò che rimane da fare per rispondere alla richiesta di aiuto e di cura che la domanda sottende. Con il movimento proprio dell’etica della cura, il saggio vuole proporre di non risolvere il dilemma in cui la questione bioetica dell’eutanasia sembra costringerci, rinunciando alla vita o alla libertà, ma di provare a ridefinire il contesto da cui il dilemma ha origine, in modo tale che sia possibile tenere insieme vita e libertà.
2007
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