La dottrina ha colto la stranezza dell’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri nel giudizio in via incidentale, attraverso una molteplicità di tesi contrapposte quali: intervento libero, di mera opinione o di integrazione del contraddittorio, volto a tutelare l’indirizzo politico o lo Stato comunità. Data la sua peculiarità di giudizio “senza parti” preliminarmente occorre osservare alcuni profili problematici dell’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri in tale giudizio. È noto che il Presidente del Consiglio dei Ministri non sia una vera parte né un “interventore” in senso tecnico e che intervenga a difesa delle disposizioni che si presumono incostituzionali. Tale lavoro ha preliminarmente l’obiettivo di sottolineare ciò che il Presidente fa, attraverso il suo intervento e cioè quello di illustrare un punto diverso e integrare il contraddittorio del giudizio in cui “si scontrano” iura e leges. Chi si costituisce ex parte societatis, parti del giudizio e terzi intervenuti successivamente, lo fa per difendere i propri iura e non la lex. Infatti, la legge n. 87 del 1953 non richiede la deliberazione del Consiglio dei Ministri, per cui il Presidente non deve fare una valutazione della legge alla luce dell’indirizzo politico. Inoltre, occorre tenere presente che la Corte opera quale “contrappeso” rispetto agli organi di indirizzo politico, in ossequio al principio per cui esistono valori sottratti al potere della maggioranza ed all’incertezza delle alternanze politiche. Si sostiene che il Presidente “interventore” appare il solo soggetto idoneo al compito di difendere i meccanismi della democrazia rappresentativa in un sistema che affida alla magistratura-Corte costituzionale il compito di garantire le minoranze contro il (pre)potere delle maggioranze democratiche. La magistratura può mettere in dubbio la capacità degli organi di indirizzo politico di produrre atti legislativi legittimi, mentre spetta alla Corte accertare l’incostituzionalità. Specularmente l’intervento del Presidente del Consiglio sollecita la Consulta ad esercitare l’altra funzione sua propria cioè rinnovare la legittimazione del potere politico attraverso l’“assoluzione” della legge. L’intervento del Presidente, pertanto, mette in luce per quali profili il bilanciamento di interessi compiuto dal legislatore possa essere considerato ragionevole a fronte dell’opposta visione prospettata nell’ordinanza di rimessione dalle parti o dal giudice. Tale tesi è rafforzata dal proliferare delle tecniche decisorie che manipolano gli effetti temporali delle decisioni di accoglimento che testimoniano che l’incostituzionalità di una norma può riscontrarsi a partire da un certo momento ovvero essere assente oggi per presentarsi nel futuro al verificarsi di certe condizioni (ad esempio in caso di mancato accoglimento dei “moniti” al legislatore). In conclusione, l’intervento del Presidente dovrebbe presupporre una valutazione complessa che assume a parametro non già l’indirizzo politico bensì le norme della Costituzione osservate da una angolazione diversa da quella del giudice a quo. Il Presidente, allora, appare l’organo più adatto, potendo richiedere dati ed indicazioni agli uffici tecnici dell’amministrazione. Di fatto si è osservato che nella grande maggioranza dei casi l’intervento ha l’intento di difendere strenuamente la conformità a Costituzione della legge impugnata o meglio di evitare la dichiarazione di incostituzionalità attraverso la richiesta di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato. Occorre riflettere su tale modus operandi: il Presidente potrebbe finire, contraddittoriamente, a erigersi a paladino di norme, recenti e non, in aperto contrasto con la politica generale da lui stesso diretta.

Osservazioni su alcuni profili problematici dell'intervento del Presidente del Consiglio nel giudizio costituzionale incidentale, in Riv. giur. della scuola, 2005, 1044 ss.

QUATTROCCHI, Maria Letteria
2005-01-01

Abstract

La dottrina ha colto la stranezza dell’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri nel giudizio in via incidentale, attraverso una molteplicità di tesi contrapposte quali: intervento libero, di mera opinione o di integrazione del contraddittorio, volto a tutelare l’indirizzo politico o lo Stato comunità. Data la sua peculiarità di giudizio “senza parti” preliminarmente occorre osservare alcuni profili problematici dell’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri in tale giudizio. È noto che il Presidente del Consiglio dei Ministri non sia una vera parte né un “interventore” in senso tecnico e che intervenga a difesa delle disposizioni che si presumono incostituzionali. Tale lavoro ha preliminarmente l’obiettivo di sottolineare ciò che il Presidente fa, attraverso il suo intervento e cioè quello di illustrare un punto diverso e integrare il contraddittorio del giudizio in cui “si scontrano” iura e leges. Chi si costituisce ex parte societatis, parti del giudizio e terzi intervenuti successivamente, lo fa per difendere i propri iura e non la lex. Infatti, la legge n. 87 del 1953 non richiede la deliberazione del Consiglio dei Ministri, per cui il Presidente non deve fare una valutazione della legge alla luce dell’indirizzo politico. Inoltre, occorre tenere presente che la Corte opera quale “contrappeso” rispetto agli organi di indirizzo politico, in ossequio al principio per cui esistono valori sottratti al potere della maggioranza ed all’incertezza delle alternanze politiche. Si sostiene che il Presidente “interventore” appare il solo soggetto idoneo al compito di difendere i meccanismi della democrazia rappresentativa in un sistema che affida alla magistratura-Corte costituzionale il compito di garantire le minoranze contro il (pre)potere delle maggioranze democratiche. La magistratura può mettere in dubbio la capacità degli organi di indirizzo politico di produrre atti legislativi legittimi, mentre spetta alla Corte accertare l’incostituzionalità. Specularmente l’intervento del Presidente del Consiglio sollecita la Consulta ad esercitare l’altra funzione sua propria cioè rinnovare la legittimazione del potere politico attraverso l’“assoluzione” della legge. L’intervento del Presidente, pertanto, mette in luce per quali profili il bilanciamento di interessi compiuto dal legislatore possa essere considerato ragionevole a fronte dell’opposta visione prospettata nell’ordinanza di rimessione dalle parti o dal giudice. Tale tesi è rafforzata dal proliferare delle tecniche decisorie che manipolano gli effetti temporali delle decisioni di accoglimento che testimoniano che l’incostituzionalità di una norma può riscontrarsi a partire da un certo momento ovvero essere assente oggi per presentarsi nel futuro al verificarsi di certe condizioni (ad esempio in caso di mancato accoglimento dei “moniti” al legislatore). In conclusione, l’intervento del Presidente dovrebbe presupporre una valutazione complessa che assume a parametro non già l’indirizzo politico bensì le norme della Costituzione osservate da una angolazione diversa da quella del giudice a quo. Il Presidente, allora, appare l’organo più adatto, potendo richiedere dati ed indicazioni agli uffici tecnici dell’amministrazione. Di fatto si è osservato che nella grande maggioranza dei casi l’intervento ha l’intento di difendere strenuamente la conformità a Costituzione della legge impugnata o meglio di evitare la dichiarazione di incostituzionalità attraverso la richiesta di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato. Occorre riflettere su tale modus operandi: il Presidente potrebbe finire, contraddittoriamente, a erigersi a paladino di norme, recenti e non, in aperto contrasto con la politica generale da lui stesso diretta.
2005
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