Il problema della definizione della povertà è legato fondamentalmente ad una molteplicità di aspetti che concorrono e si legano dando vita ad un particolare status esistenziale. Ma chi è veramente povero? A questa domanda non è facile dare una risposta in quanto è oggettivamente impossibile spiegare in maniera esaustiva il concetto stesso di povertà e tutte le sue implicazioni sociali. A grandi linee, si possono essenzialmente distinguere due principali correnti di pensiero nel definire e, quando possibile, quantificare il concetto di povertà. La prima corrente, la più antica, definisce la povertà in termini unidimensonali, attraverso l’utilizzo di un’unica variabile (reddito o spesa). Questo tipo di approcio, detto anche monetaristico, considera la povertà come mancanza di benessere economico. La misura di tale disagio viene in genere effettuata attraverso la costruzione di un indicatore univoco che permette di stabilire, quanto più oggettivamente possibile, chi effettivamente può o non può essere considerato povero. Storicamente l’approccio monetaristico affonda le sue radici nell’Inghilterra dell’epoca vittoriana, quando iniziano ad affiorare i primi studi riguardo al fenomeno povertà. Si deve infatti a Rowntree (1901) la creazione di un metodo abbastanza sofisticato con il quale stima un reddito minimo di sussistenza. L’importanza dello studio di Rowntree risiede nel fatto che egli fu il primo ad intuire che lo stato di povertà non era da considerarsi eguale per tutte le famiglie sottoposte all’indagine. Con il passare del tempo il problema del rapportare la povertà al contesto sociale in cui si manifesta diventa un elemento sempre più importante nel lavoro degli studiosi. Secondo questa impostazione, un individuo o una famiglia non sono più considerati poveri solo se non raggiungono il reddito necessario a garantire il minimo vitale, ma anche se il loro livello di vita non raggiunge gli standard consoni al contesto sociale e storico in cui si trovano. Il secondo tipo di approccio alla povertà, sviluppatosi principalmente a partire dagli anni settanta, misura la povertà considerando non più solo il reddito o la spesa, ma un insieme di variabili concernenti vari aspetti della società quali, ad esempio, salute, istruzione e nutrizione. Questo tipo di approccio è detto “multidimensionale”. Se Rawls (1971) aveva già intuito la necessità di considerare altre dimensioni nella misura della povertà, è senza dubbio Sen (1979 e 1980) che nei suoi lavori sviluppa e approfondisce l’approccio multidimensionale attraverso il concetto di “Capability”. Nonostante egli ritenesse il reddito un fattore fondamentale in quanto influenzava pesantemente le possibilità di agire di ciascuna persona, tuttavia legò il concetto di povertà alla capacità e alla possibilità di un individuo di condurre la vita che desiderava. Ciò che differenzia l’approccio di Sen dalla visione classica, consiste nel fatto che egli ridefinisce la povertà in funzione degli obiettivi che un essere umano non riesce a raggiungere e della possibilità o meno di farlo2. Anche in Italia sono stati condotti diversi studi per analizzare il problema della povertà. Una interessante rassegna la si può trovare nei lavori di Carbonaro (2002) ed in De Santis (1996). In questo studio, comunque, si è deciso di utilizzare un approccio di tipo “classico”. Come sarà esposto chiaramente in seguito, il metodo proposto in questo lavoro prevede nella prima fase la costruzione della soglia (linea) di povertà utilizzando l’ approccio monetaristico. In seguito, dopo aver generato una variabile dicotomica attraverso la classificazione delle famiglie in “povere” o “non povere”, viene utilizzato un modello logistico multivariato che presenta variabili esplicative di tipo demografico-sociale, con particolare riferimento alla struttura familiare. In letteratura (D’Agostino et altri, 2003) infatti, è nota l’influenza della struttura familiare (ed in particolar modo la presenza di figli piccoli e a carico) nel determinare lo stato di povertà di una famiglia.

STRUTTURA FAMILIARE E RISCHIO POVERTÀ IN ITALIA: UN'ANALISI ATTRAVERSO I DATI DELLA BANCA D'ITALIA

MUCCIARDI, Massimo;BERTUCCELLI, PIETRO
2009-01-01

Abstract

Il problema della definizione della povertà è legato fondamentalmente ad una molteplicità di aspetti che concorrono e si legano dando vita ad un particolare status esistenziale. Ma chi è veramente povero? A questa domanda non è facile dare una risposta in quanto è oggettivamente impossibile spiegare in maniera esaustiva il concetto stesso di povertà e tutte le sue implicazioni sociali. A grandi linee, si possono essenzialmente distinguere due principali correnti di pensiero nel definire e, quando possibile, quantificare il concetto di povertà. La prima corrente, la più antica, definisce la povertà in termini unidimensonali, attraverso l’utilizzo di un’unica variabile (reddito o spesa). Questo tipo di approcio, detto anche monetaristico, considera la povertà come mancanza di benessere economico. La misura di tale disagio viene in genere effettuata attraverso la costruzione di un indicatore univoco che permette di stabilire, quanto più oggettivamente possibile, chi effettivamente può o non può essere considerato povero. Storicamente l’approccio monetaristico affonda le sue radici nell’Inghilterra dell’epoca vittoriana, quando iniziano ad affiorare i primi studi riguardo al fenomeno povertà. Si deve infatti a Rowntree (1901) la creazione di un metodo abbastanza sofisticato con il quale stima un reddito minimo di sussistenza. L’importanza dello studio di Rowntree risiede nel fatto che egli fu il primo ad intuire che lo stato di povertà non era da considerarsi eguale per tutte le famiglie sottoposte all’indagine. Con il passare del tempo il problema del rapportare la povertà al contesto sociale in cui si manifesta diventa un elemento sempre più importante nel lavoro degli studiosi. Secondo questa impostazione, un individuo o una famiglia non sono più considerati poveri solo se non raggiungono il reddito necessario a garantire il minimo vitale, ma anche se il loro livello di vita non raggiunge gli standard consoni al contesto sociale e storico in cui si trovano. Il secondo tipo di approccio alla povertà, sviluppatosi principalmente a partire dagli anni settanta, misura la povertà considerando non più solo il reddito o la spesa, ma un insieme di variabili concernenti vari aspetti della società quali, ad esempio, salute, istruzione e nutrizione. Questo tipo di approccio è detto “multidimensionale”. Se Rawls (1971) aveva già intuito la necessità di considerare altre dimensioni nella misura della povertà, è senza dubbio Sen (1979 e 1980) che nei suoi lavori sviluppa e approfondisce l’approccio multidimensionale attraverso il concetto di “Capability”. Nonostante egli ritenesse il reddito un fattore fondamentale in quanto influenzava pesantemente le possibilità di agire di ciascuna persona, tuttavia legò il concetto di povertà alla capacità e alla possibilità di un individuo di condurre la vita che desiderava. Ciò che differenzia l’approccio di Sen dalla visione classica, consiste nel fatto che egli ridefinisce la povertà in funzione degli obiettivi che un essere umano non riesce a raggiungere e della possibilità o meno di farlo2. Anche in Italia sono stati condotti diversi studi per analizzare il problema della povertà. Una interessante rassegna la si può trovare nei lavori di Carbonaro (2002) ed in De Santis (1996). In questo studio, comunque, si è deciso di utilizzare un approccio di tipo “classico”. Come sarà esposto chiaramente in seguito, il metodo proposto in questo lavoro prevede nella prima fase la costruzione della soglia (linea) di povertà utilizzando l’ approccio monetaristico. In seguito, dopo aver generato una variabile dicotomica attraverso la classificazione delle famiglie in “povere” o “non povere”, viene utilizzato un modello logistico multivariato che presenta variabili esplicative di tipo demografico-sociale, con particolare riferimento alla struttura familiare. In letteratura (D’Agostino et altri, 2003) infatti, è nota l’influenza della struttura familiare (ed in particolar modo la presenza di figli piccoli e a carico) nel determinare lo stato di povertà di una famiglia.
2009
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