Esaminando gli scenari della postmodernità, il contributo volge l’attenzione su alcuni temi, strettamente connessi con la questione identità-alterità e che riguardano il prevalere del soggettivismo e del pensiero debole, il rapporto tra relativismo e relatività, la dialettica verità-dubbio. Sono temi che, a primo impatto, sembrano distruggere il senso della comunità, del pensiero condiviso, della verità, ma che, in realtà, al di là delle apparenze, diventano capaci di aprire finestre inedite su visioni del mondo fino ad ora ostracizzate perché ritenute pericolose. Dal punto di vista educativo, sostenere un certo tipo di soggettivismo, di relativismo e di dubbio non vuol dire proporre l’indifferenza valoriale, perché il dubbio non è il contrario della verità, ma, in un certo senso, ne è la ri-affermazione (Zagrebelsky). Indubbiamente, il venir meno di punti di riferimento sicuri, se determina fluidità e flessibilità delle identità personali e collettive, talvolta può diventare fonte di patologie quando induce ad inseguire forme identitarie che mutano di continuo, o, all’opposto, provoca irrigidimenti identitari, oppure incapacità di instaurare relazioni significative e durature. L’identità è una questione di costruzione e di chiarezza di confini (definiti “portatili”), essendo definibile solo rispetto ad un orizzonte che è tanto storico e sociale, quanto naturale. Una cultura dell’identità che non tenga conto degli orizzonti entro cui si colloca non può che esprimersi in modo egoistico e narcisistico, mentre si apre alla dimensione intersoggettiva e dialogica se matura all’interno dei rapporti umani reali e sociali, elaborando le tappe del riconoscimento del sé e dell’altro. La cifra della maturità umana sta nella capacità di misurarsi con ciò che è diverso da sé: l’uomo diventa veramente persona quando perde la certezza inattaccabile e l’assolutezza inoppugnabile della sua verità e comincia ad approssimarsi all’altro pensando che anche l’altro ha la sua verità che va rispettata. È proprio questa diversità che, assunta radicalmente, diventa elemento indispensabile perché la relazione possa esistere. Nel termine relazione, infatti, sono compresi sia il pòlemos – che ha una valenza più pregnante rispetto al senso comune di “guerra” – che la philìa, proprio perché la diversità è dell’ente e non tra ente ed ente, e quindi comprende sia il confronto-scontro, sia la philìa. Ed è proprio la relazione il luogo in cui trovare l’altro e trovare sé stessi, perché nella matura consegna all’altro si cresce, anche se nel consegnarsi c’è il rischio di non essere com-presi e di non trovare un Tu disposto a com-prendere e a dialogare. Fra tutte le faccende dell’esistenza è proprio la relazione ad essere la più faticosa, perché richiede cure, attenzioni, limature, un sano dosaggio di cessioni e di affermazioni di sé. Uno dei principali compiti educativi, dunque, consiste nell’aiutare il soggetto ad accogliere il nuovo, allargando così la sua esperienza e la possibilità di esprimere le sue potenzialità. Per far ciò è necessario maturare un pensiero relazionale, che si nutre e si arricchisce anche delle idee e del pensiero dell’altro, cercando di includerli riflettendo, senza rigettarli prima ancora di averli masticati, o, peggio ancora, nemmeno ascoltati. È la mentalità del ‘pensare con’ che diventa lavoro faticoso, ma investimento sicuro per la crescita dell’individuo e della società.

IDENTITÀ E ALTERITÀ NELLA SOCIETÀ POSTMODERNA: QUALE DIALOGO?

ROMANO, Rosa
2010-01-01

Abstract

Esaminando gli scenari della postmodernità, il contributo volge l’attenzione su alcuni temi, strettamente connessi con la questione identità-alterità e che riguardano il prevalere del soggettivismo e del pensiero debole, il rapporto tra relativismo e relatività, la dialettica verità-dubbio. Sono temi che, a primo impatto, sembrano distruggere il senso della comunità, del pensiero condiviso, della verità, ma che, in realtà, al di là delle apparenze, diventano capaci di aprire finestre inedite su visioni del mondo fino ad ora ostracizzate perché ritenute pericolose. Dal punto di vista educativo, sostenere un certo tipo di soggettivismo, di relativismo e di dubbio non vuol dire proporre l’indifferenza valoriale, perché il dubbio non è il contrario della verità, ma, in un certo senso, ne è la ri-affermazione (Zagrebelsky). Indubbiamente, il venir meno di punti di riferimento sicuri, se determina fluidità e flessibilità delle identità personali e collettive, talvolta può diventare fonte di patologie quando induce ad inseguire forme identitarie che mutano di continuo, o, all’opposto, provoca irrigidimenti identitari, oppure incapacità di instaurare relazioni significative e durature. L’identità è una questione di costruzione e di chiarezza di confini (definiti “portatili”), essendo definibile solo rispetto ad un orizzonte che è tanto storico e sociale, quanto naturale. Una cultura dell’identità che non tenga conto degli orizzonti entro cui si colloca non può che esprimersi in modo egoistico e narcisistico, mentre si apre alla dimensione intersoggettiva e dialogica se matura all’interno dei rapporti umani reali e sociali, elaborando le tappe del riconoscimento del sé e dell’altro. La cifra della maturità umana sta nella capacità di misurarsi con ciò che è diverso da sé: l’uomo diventa veramente persona quando perde la certezza inattaccabile e l’assolutezza inoppugnabile della sua verità e comincia ad approssimarsi all’altro pensando che anche l’altro ha la sua verità che va rispettata. È proprio questa diversità che, assunta radicalmente, diventa elemento indispensabile perché la relazione possa esistere. Nel termine relazione, infatti, sono compresi sia il pòlemos – che ha una valenza più pregnante rispetto al senso comune di “guerra” – che la philìa, proprio perché la diversità è dell’ente e non tra ente ed ente, e quindi comprende sia il confronto-scontro, sia la philìa. Ed è proprio la relazione il luogo in cui trovare l’altro e trovare sé stessi, perché nella matura consegna all’altro si cresce, anche se nel consegnarsi c’è il rischio di non essere com-presi e di non trovare un Tu disposto a com-prendere e a dialogare. Fra tutte le faccende dell’esistenza è proprio la relazione ad essere la più faticosa, perché richiede cure, attenzioni, limature, un sano dosaggio di cessioni e di affermazioni di sé. Uno dei principali compiti educativi, dunque, consiste nell’aiutare il soggetto ad accogliere il nuovo, allargando così la sua esperienza e la possibilità di esprimere le sue potenzialità. Per far ciò è necessario maturare un pensiero relazionale, che si nutre e si arricchisce anche delle idee e del pensiero dell’altro, cercando di includerli riflettendo, senza rigettarli prima ancora di averli masticati, o, peggio ancora, nemmeno ascoltati. È la mentalità del ‘pensare con’ che diventa lavoro faticoso, ma investimento sicuro per la crescita dell’individuo e della società.
2010
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/1902889
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact