L’approvazione del progetto di legge sul divieto di indossare il burqa in Francia ha suscitato un vivo interesse ed un sorprendente consenso anche nel nostro Paese. Ma nell’esame di questioni come quelle dell’esposizione di simboli religiosi o delle mutilazioni genitali femminili, relativamente alle quali in modo più controverso si manifestano i problemi della multiculturalità, la comparazione con altri ordinamenti in cui pure si sono affrontati problemi analoghi non sempre costituisce un valido ausilio. Il presente studio, esaminata la disciplina ormai vigente in Francia, mostra lo stato della legislazione e della giurisprudenza in Italia, guardando infine all’esperienza di altri Paesi: Belgio, Spagna, Germania, Regno Unito e Usa. Si rilevano così le criticità delle scelte operate ed operabili, avendo specifico riguardo al principio costituzionale di solidarietà e alla libertà di religione. In particolare, il primo vive attualmente nel nostro Paese una condizione di crisi molto preoccupante, che richiederebbe interventi urgenti e che rischia di aggravarsi con l’introduzione di provvedimenti che, lungi dall’agevolare l’integrazione, risultano atti ad esasperare la conflittualità etnica e culturale. La seconda verrebbe sacrificata in modo assoluto con un divieto generale ed incondizionato di indossare il velo. In Francia, la legge, definitivamente approvata il 14 settembre 2010, prevede il divieto di indossare il burqa sia nei luoghi pubblici che nei luoghi aperti al pubblico, la cui violazione comporta una multa di 150 euro e l’eventuale obbligo di seguire corsi di educazione civica; la legge sanziona inoltre la coercizione alla vestizione del burqa con un’ammenda di euro 30.000. Il Conseil Contitutionnel, istituzione francese che esegue il c.d. test di proporzionalità sui progetti di legge quando sono in gioco limitazioni di libertà fondamentali, con sentenza del 7 ottobre 2010 n. 2010-613 DC, ha dichiarato il testo emanato dal Parlamento conforme a Costituzione, sul presupposto che la persona dal volto invisibile (non importa se spontaneamente o perché costretta da qualcuno) commetterebbe comunque un atto disumano, offendendo i valori della Repubblica e la propria dignità di donna e mettendo in pericolo la sicurezza pubblica. Inoltre, è stato sottolineato che la c.d. legge francese anti-burqa appare in un certo qual modo coerente con quanto realizzato fino ad ora in questo Paese nel quadro di una serie di interventi volti alla promozione della condizione femminile. In realtà, le limitazioni rigide scaturenti da interventi imperativi di tal genere non sembrano consentire la piena salvaguardia delle donne più indifese. In Italia, è prevalsa, almeno finora, la “mitezza” del diritto costituzionale. In assenza di una legge sulla tutela della libertà di religione, il punto di partenza obbligato per una ricostruzione della disciplina interna è la decisione n. 3076 del Consiglio di Stato del 9 giugno 2008, che ha posto fine al caos determinato dalla serie di ordinanze, emesse dai vari sindaci, che pretendevano di estendere l’applicazione dell’articolo 5 della legge 152/1975 al semplice utilizzo del burqa o del niqab, e variamente annullate dai prefetti e dagli organi giurisdizionali. Esaminata la normativa vigente relativa all’ordine pubblico ed alla pubblica incolumità, chiamata in causa in assenza di specifica legge in materia di abbigliamento religioso, il presente studio analizza gli undici progetti di legge pendenti in Parlamento. Tali progetti si prefiggono un duplice scopo: quello di tutelare la dignità delle donne e quello di salvaguardare l’ordine pubblico. Alcuni progetti muovono anche dall’asserita esigenza di prevenire eventuali atti di terrorismo. Vengono così configurate delle soluzioni anomale, nel primo caso perché non è affatto dimostrato che interventi di tal genere ridurrebbero la percentuale delle violenze domestiche. Se per gli occidentali tale abbigliamento appare mortificante per la dignità femminile, il divieto dello stesso non costituisce un’emergenza istituzionale ed anzi coloro che lo indossano per motivi religiosi, culturali o comunque identitari, con tutta probabilità, interpreterebbero il divieto come espressione di intolleranza religiosa. Nel secondo, perché la misura risulterebbe sproporzionata e comunque inadeguata allo scopo. La medesima necessità di contemperare gli interessi suddetti sta anche alla base delle discipline vigenti in altri Paesi Europei e negli USA, attentamente esaminate nel saggio. L’esame delle soluzioni adottate anche in altri ordinamenti induce a ritenere preferibile rispetto all’introduzione di divieti rigidi ed intransigenti la promozione di una serie ed ampia attività di informazione e di educazione in merito all’importanza delle libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione Repubblicana e dalla Carte dei diritti internazionali. Se ne conclude che così facendo si favorirebbe l’integrazione delle donne musulmane e si eviterebbe l’inutile sacrificio, sul pretesto della tutela della sicurezza pubblica e della protezione delle donne e del laicismo bieco di uno Stato, della libertà di religione.
Il divieto di indossare il burqa ed il niqab in Italia e in Europa.
QUATTROCCHI, Maria Letteria
2011-01-01
Abstract
L’approvazione del progetto di legge sul divieto di indossare il burqa in Francia ha suscitato un vivo interesse ed un sorprendente consenso anche nel nostro Paese. Ma nell’esame di questioni come quelle dell’esposizione di simboli religiosi o delle mutilazioni genitali femminili, relativamente alle quali in modo più controverso si manifestano i problemi della multiculturalità, la comparazione con altri ordinamenti in cui pure si sono affrontati problemi analoghi non sempre costituisce un valido ausilio. Il presente studio, esaminata la disciplina ormai vigente in Francia, mostra lo stato della legislazione e della giurisprudenza in Italia, guardando infine all’esperienza di altri Paesi: Belgio, Spagna, Germania, Regno Unito e Usa. Si rilevano così le criticità delle scelte operate ed operabili, avendo specifico riguardo al principio costituzionale di solidarietà e alla libertà di religione. In particolare, il primo vive attualmente nel nostro Paese una condizione di crisi molto preoccupante, che richiederebbe interventi urgenti e che rischia di aggravarsi con l’introduzione di provvedimenti che, lungi dall’agevolare l’integrazione, risultano atti ad esasperare la conflittualità etnica e culturale. La seconda verrebbe sacrificata in modo assoluto con un divieto generale ed incondizionato di indossare il velo. In Francia, la legge, definitivamente approvata il 14 settembre 2010, prevede il divieto di indossare il burqa sia nei luoghi pubblici che nei luoghi aperti al pubblico, la cui violazione comporta una multa di 150 euro e l’eventuale obbligo di seguire corsi di educazione civica; la legge sanziona inoltre la coercizione alla vestizione del burqa con un’ammenda di euro 30.000. Il Conseil Contitutionnel, istituzione francese che esegue il c.d. test di proporzionalità sui progetti di legge quando sono in gioco limitazioni di libertà fondamentali, con sentenza del 7 ottobre 2010 n. 2010-613 DC, ha dichiarato il testo emanato dal Parlamento conforme a Costituzione, sul presupposto che la persona dal volto invisibile (non importa se spontaneamente o perché costretta da qualcuno) commetterebbe comunque un atto disumano, offendendo i valori della Repubblica e la propria dignità di donna e mettendo in pericolo la sicurezza pubblica. Inoltre, è stato sottolineato che la c.d. legge francese anti-burqa appare in un certo qual modo coerente con quanto realizzato fino ad ora in questo Paese nel quadro di una serie di interventi volti alla promozione della condizione femminile. In realtà, le limitazioni rigide scaturenti da interventi imperativi di tal genere non sembrano consentire la piena salvaguardia delle donne più indifese. In Italia, è prevalsa, almeno finora, la “mitezza” del diritto costituzionale. In assenza di una legge sulla tutela della libertà di religione, il punto di partenza obbligato per una ricostruzione della disciplina interna è la decisione n. 3076 del Consiglio di Stato del 9 giugno 2008, che ha posto fine al caos determinato dalla serie di ordinanze, emesse dai vari sindaci, che pretendevano di estendere l’applicazione dell’articolo 5 della legge 152/1975 al semplice utilizzo del burqa o del niqab, e variamente annullate dai prefetti e dagli organi giurisdizionali. Esaminata la normativa vigente relativa all’ordine pubblico ed alla pubblica incolumità, chiamata in causa in assenza di specifica legge in materia di abbigliamento religioso, il presente studio analizza gli undici progetti di legge pendenti in Parlamento. Tali progetti si prefiggono un duplice scopo: quello di tutelare la dignità delle donne e quello di salvaguardare l’ordine pubblico. Alcuni progetti muovono anche dall’asserita esigenza di prevenire eventuali atti di terrorismo. Vengono così configurate delle soluzioni anomale, nel primo caso perché non è affatto dimostrato che interventi di tal genere ridurrebbero la percentuale delle violenze domestiche. Se per gli occidentali tale abbigliamento appare mortificante per la dignità femminile, il divieto dello stesso non costituisce un’emergenza istituzionale ed anzi coloro che lo indossano per motivi religiosi, culturali o comunque identitari, con tutta probabilità, interpreterebbero il divieto come espressione di intolleranza religiosa. Nel secondo, perché la misura risulterebbe sproporzionata e comunque inadeguata allo scopo. La medesima necessità di contemperare gli interessi suddetti sta anche alla base delle discipline vigenti in altri Paesi Europei e negli USA, attentamente esaminate nel saggio. L’esame delle soluzioni adottate anche in altri ordinamenti induce a ritenere preferibile rispetto all’introduzione di divieti rigidi ed intransigenti la promozione di una serie ed ampia attività di informazione e di educazione in merito all’importanza delle libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione Repubblicana e dalla Carte dei diritti internazionali. Se ne conclude che così facendo si favorirebbe l’integrazione delle donne musulmane e si eviterebbe l’inutile sacrificio, sul pretesto della tutela della sicurezza pubblica e della protezione delle donne e del laicismo bieco di uno Stato, della libertà di religione.Pubblicazioni consigliate
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