L’alto livello di astensionismo, uno degli elementi caratterizzanti delle elezioni amministrative parziali del 677 maggio 2012, ha costituito a nostro avviso l’elemento più importante del mutamento della geografia politico elettorale delle città italiane (a Nord, a Centro e a Sud) interessate dal voto amministrativo. La spiegazione è semplice: il calo a due cifre del voto al Pdl è stato determinato innanzitutto dall’aumento vertiginoso dell’astensionismo tra gli elettori di centrodestra soprattutto nelle regioni del Nord. Allo stesso modo il crollo della Lega Nord nelle aree pedemontane del Nord (nella famosa Padania) è dovuto in gran parte allo stesso fenomeno e, in misura minore, al travaso di voti leghisti al Movimento 5 Stelle (in particolare nelle Regioni rosse). I precedenti fattori, congiuntamente, alla tenuta dei partiti dell’area di centrosinistra e del PD in particolare, hanno trasformato la stabilità del centro sinistra in vittoria finale. Complessivamente, si può dire che lo spostamento del governo delle città dal centrodestra (Pdl più Lega) al centrosinistra ha il suo maggior punto di forza nel congelamento (difficile dire quanto duraturo) dei voti precedentemente nella cassaforte dei partiti al governo del paese dal 2008. Secondo alcuni studiosi della questione settentrionale (Cacciari, Diamanti, ecc.), l’implosione della Lega Nord nei suoi territori d’insediamento economico-sociale e politico-culturale hanno riportato le lancette dell’orologio politico alla fase precedente al 1992-94, a prima cioè che fosse stipulato un patto di reciproca fiducia (fondato sul consenso elettorale in cambio della tutela degli interessi economici e rappresentanza politica) tra i territori del Nord e la classe politica forza-leghista. L’esito del voto di maggio 2012, dimostra che il patto è totalmente fallito e la questione settentrionale come espressione settentrionale della storica frattura tra Nord e Sud dell’Italia (fra questione meridionale e questione settentrionale) è di nuovo riemersa in tutta la sua drammaticità e pericolosità per le sorti dell’unità e coesione sociale del Paese. Scopo dell’articolo è di mostrare come il voto amministrativo di maggio abbia palesato nell’attuale congiuntura politica e sociale un “mal d’Italia” consistente in primo luogo nella crisi (perlomeno momentanea) del sistema partitico della seconda repubblica e, in secondo luogo, nella difficoltà a fare emergere una alternativa reale di rappresentanza e di governo delle contraddizioni sociali e politiche più acute. La seconda parte dell’articolo analizza alcuni aspetti del comportamento elettorale dei siciliani nelle elezioni amministrative del maggio scorso. In particolare la nostra analisi mette in evidenza due elementi di riflessione scaturenti dai risultati del voto. Il primo elemento concerne gli effetti della crescita esponenziale anche in Sicilia dell’astensionismo elettorale e, in seconda battuta, il confronto tra esito del voto per il sindaco e per i consigli comunali e caratteristiche della nuova legge elettorale amministrativa, approvata dall’assemblea regionale siciliana nel mese di novembre 2011. Sul primo punto vale la pena sottolineatura il fatto che la crescita dell’astensionismo elettorale abbia colpito soprattutto i candidati sindaci più che i partiti e i candidati ai consigli comunali. In particolare, in due dei tre capoluoghi di provincia chiamati al voto, Palermo e Trapani, meno di un elettore su tre ha concesso la propria legittimazione diretta ai candidati sindaci eletti. Questo dato, a nostro avviso, può essere letto come indicatore correspettivo della crisi di rappresentanza e di consenso che ha colpito le aree del Nord del paese e, quindi, come indice di collegamento tra questione settentrionale e questione meridionale che si impone nell’agenda politica attuale. Un secondo aspetto del comportamento del voto amministrativo siciliano, meritevole di essere richiamato, concerne lo sfarinamento (perlomeno congiunturale) del centrodestra e lo sforzo immane praticato dai partiti di mettere un argine alla crisi di fiducia dei cittadini verso i partiti moltiplicando gli sforzi di propaganda capillare e porta a porta. Questa strategia ha ridotto, sebbene in percentuale trascurabile, l’exit dell’elettorato rispetto al voto ai partititi e ai candidati, anche al costo di penalizzare il voto diretto ai candidati sindaci. Quest’ultimo fenomeno ci ha consentito fare un collegamento con le caratteristiche della legge elettorale siciliana, la quale prescrive il voto diviso, uno per il sindaco e un altro per il consiglio. E’ successo, in altri termini, che in Sicilia il voto diviso (nell’attuale congiuntura di crisi dei partiti e del rapporto partiti-elettori), abbia paradossalmente penalizzato l’attore più responsabile verso il cittadini (ossia il sindaco eletto), graziando (in parte) invece l’attore che l’elettorato avrebbe voluto punire (i partiti e il ceto politico). Pertanto, possiamo dire che una scelta normativa giusta ed efficiente come la separazione del voto al sindaco dal voto al consiglio (per evitare che il sindaco sia trainato dai partiti piuttosto che dagli elettori), nell’attuale situazione di crisi della politica, di distacco sempre più marcato dei cittadini dalla politica partitica, ha finito con il mortificare ( indirettamente) in maggiore misura l’elezione diretta del sindaco.

Il mal d'Italia e le pene della Sicilia: questione meridionale e questione settentrionale dopo le amministrative del 2012

ANASTASI, Antonino
2012-01-01

Abstract

L’alto livello di astensionismo, uno degli elementi caratterizzanti delle elezioni amministrative parziali del 677 maggio 2012, ha costituito a nostro avviso l’elemento più importante del mutamento della geografia politico elettorale delle città italiane (a Nord, a Centro e a Sud) interessate dal voto amministrativo. La spiegazione è semplice: il calo a due cifre del voto al Pdl è stato determinato innanzitutto dall’aumento vertiginoso dell’astensionismo tra gli elettori di centrodestra soprattutto nelle regioni del Nord. Allo stesso modo il crollo della Lega Nord nelle aree pedemontane del Nord (nella famosa Padania) è dovuto in gran parte allo stesso fenomeno e, in misura minore, al travaso di voti leghisti al Movimento 5 Stelle (in particolare nelle Regioni rosse). I precedenti fattori, congiuntamente, alla tenuta dei partiti dell’area di centrosinistra e del PD in particolare, hanno trasformato la stabilità del centro sinistra in vittoria finale. Complessivamente, si può dire che lo spostamento del governo delle città dal centrodestra (Pdl più Lega) al centrosinistra ha il suo maggior punto di forza nel congelamento (difficile dire quanto duraturo) dei voti precedentemente nella cassaforte dei partiti al governo del paese dal 2008. Secondo alcuni studiosi della questione settentrionale (Cacciari, Diamanti, ecc.), l’implosione della Lega Nord nei suoi territori d’insediamento economico-sociale e politico-culturale hanno riportato le lancette dell’orologio politico alla fase precedente al 1992-94, a prima cioè che fosse stipulato un patto di reciproca fiducia (fondato sul consenso elettorale in cambio della tutela degli interessi economici e rappresentanza politica) tra i territori del Nord e la classe politica forza-leghista. L’esito del voto di maggio 2012, dimostra che il patto è totalmente fallito e la questione settentrionale come espressione settentrionale della storica frattura tra Nord e Sud dell’Italia (fra questione meridionale e questione settentrionale) è di nuovo riemersa in tutta la sua drammaticità e pericolosità per le sorti dell’unità e coesione sociale del Paese. Scopo dell’articolo è di mostrare come il voto amministrativo di maggio abbia palesato nell’attuale congiuntura politica e sociale un “mal d’Italia” consistente in primo luogo nella crisi (perlomeno momentanea) del sistema partitico della seconda repubblica e, in secondo luogo, nella difficoltà a fare emergere una alternativa reale di rappresentanza e di governo delle contraddizioni sociali e politiche più acute. La seconda parte dell’articolo analizza alcuni aspetti del comportamento elettorale dei siciliani nelle elezioni amministrative del maggio scorso. In particolare la nostra analisi mette in evidenza due elementi di riflessione scaturenti dai risultati del voto. Il primo elemento concerne gli effetti della crescita esponenziale anche in Sicilia dell’astensionismo elettorale e, in seconda battuta, il confronto tra esito del voto per il sindaco e per i consigli comunali e caratteristiche della nuova legge elettorale amministrativa, approvata dall’assemblea regionale siciliana nel mese di novembre 2011. Sul primo punto vale la pena sottolineatura il fatto che la crescita dell’astensionismo elettorale abbia colpito soprattutto i candidati sindaci più che i partiti e i candidati ai consigli comunali. In particolare, in due dei tre capoluoghi di provincia chiamati al voto, Palermo e Trapani, meno di un elettore su tre ha concesso la propria legittimazione diretta ai candidati sindaci eletti. Questo dato, a nostro avviso, può essere letto come indicatore correspettivo della crisi di rappresentanza e di consenso che ha colpito le aree del Nord del paese e, quindi, come indice di collegamento tra questione settentrionale e questione meridionale che si impone nell’agenda politica attuale. Un secondo aspetto del comportamento del voto amministrativo siciliano, meritevole di essere richiamato, concerne lo sfarinamento (perlomeno congiunturale) del centrodestra e lo sforzo immane praticato dai partiti di mettere un argine alla crisi di fiducia dei cittadini verso i partiti moltiplicando gli sforzi di propaganda capillare e porta a porta. Questa strategia ha ridotto, sebbene in percentuale trascurabile, l’exit dell’elettorato rispetto al voto ai partititi e ai candidati, anche al costo di penalizzare il voto diretto ai candidati sindaci. Quest’ultimo fenomeno ci ha consentito fare un collegamento con le caratteristiche della legge elettorale siciliana, la quale prescrive il voto diviso, uno per il sindaco e un altro per il consiglio. E’ successo, in altri termini, che in Sicilia il voto diviso (nell’attuale congiuntura di crisi dei partiti e del rapporto partiti-elettori), abbia paradossalmente penalizzato l’attore più responsabile verso il cittadini (ossia il sindaco eletto), graziando (in parte) invece l’attore che l’elettorato avrebbe voluto punire (i partiti e il ceto politico). Pertanto, possiamo dire che una scelta normativa giusta ed efficiente come la separazione del voto al sindaco dal voto al consiglio (per evitare che il sindaco sia trainato dai partiti piuttosto che dagli elettori), nell’attuale situazione di crisi della politica, di distacco sempre più marcato dei cittadini dalla politica partitica, ha finito con il mortificare ( indirettamente) in maggiore misura l’elezione diretta del sindaco.
2012
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