Si può ben dire che la storia del sindacalismo in Italia è strettamente compenetrata a quella della Nazione, attraverso l’evoluzione di quell’”Italia e i suoi tra stati” descritta da Massimo Salvadori: il primo un regime monarchico liberale, oscillante tra conservatorismo e timide aperture riformistiche; il secondo dittatoriale e plebiscitario; il terzo democratico e repubblicano.Nel giugno 1944, grazie all’impegno del leader sindacale Bruno Buozzi, trucidato prima della firma dai nazisti in fuga da Roma, sulla base dell’accordo tra le componenti fondamentali del Comitato di Liberazione Nazionale, socialista, comunista e cattolica, viene costituita la CGIL unitaria. Ma essa non sopravvive però, allo scontro frontale, politico e ideologico, che negli anni della rinascita democratica la “guerra fredda” produce. Tra il 1948 e il 1950 il sistema sindacale italiano assume quelle caratteristiche di pluralismo che ancora oggi lo caratterizzano. Nascono la CISL, di ispirazione cristiano-sociale ma con una strategia contrattuale mutuata dal sindacalismo nord-americano e la UIL, espressione del sindacalismo socialista riformista e mazziniano.Il centrosinistra nei trascorsi anni ’60 consentirà la ripresa del dialogo tra le tre centrali sindacali, che ritroveranno la strada dell’unità grazie alle lotte operaie dell’autunno caldo. Il decennio Settanta sarà segnato da una notevole conflittualità sociale e nelle relazioni industriali, da significativi incrementi salariali, da importanti riforme sociali e da un grande potere di CGIL, CISL, UIL nella società italiana, secondo una strategia che venne definita di “supplenza sindacale” per una trasformazione radicale degli equilibri socio-economici. Nel 1984 avviene la rottura della Federazione unitaria tra le tre confederazioni, a causa della diversa valutazione del Patto anti-inflazione proposto dal governo presieduto dal socialista Bettino Craxi, con CISL e UIL favorevoli, che porterà al referendum sulla scala mobile del giugno 1995, con la vittoria del governo e la sconfitta del Partito comunista. Negli anni ’90, a fronte del vuoto politico generato dalla crisi della Prima Repubblica, le tre confederazioni decidono di perseguire la strada della concertazione con governo e imprese, secondo il modello dei patti sociali delle socialdemocrazie europee. Ai giorni nostri una nuova divisione, dopo quella del 2002 sulla diversa valutazione del cosiddetto “Patto per l’Italia”, ancora durante un governo presieduto da Silvio Berlusconi, questa volta sul modello di contrattazione collettiva e a causa degli accordi “separati” alla Fiat, con, a livello giuslavoristico, del prevalere del paradigma della flessibilità.

Coesione sociale e coesione nazionale

BALLISTRERI, Gandolfo Maurizio
2011-01-01

Abstract

Si può ben dire che la storia del sindacalismo in Italia è strettamente compenetrata a quella della Nazione, attraverso l’evoluzione di quell’”Italia e i suoi tra stati” descritta da Massimo Salvadori: il primo un regime monarchico liberale, oscillante tra conservatorismo e timide aperture riformistiche; il secondo dittatoriale e plebiscitario; il terzo democratico e repubblicano.Nel giugno 1944, grazie all’impegno del leader sindacale Bruno Buozzi, trucidato prima della firma dai nazisti in fuga da Roma, sulla base dell’accordo tra le componenti fondamentali del Comitato di Liberazione Nazionale, socialista, comunista e cattolica, viene costituita la CGIL unitaria. Ma essa non sopravvive però, allo scontro frontale, politico e ideologico, che negli anni della rinascita democratica la “guerra fredda” produce. Tra il 1948 e il 1950 il sistema sindacale italiano assume quelle caratteristiche di pluralismo che ancora oggi lo caratterizzano. Nascono la CISL, di ispirazione cristiano-sociale ma con una strategia contrattuale mutuata dal sindacalismo nord-americano e la UIL, espressione del sindacalismo socialista riformista e mazziniano.Il centrosinistra nei trascorsi anni ’60 consentirà la ripresa del dialogo tra le tre centrali sindacali, che ritroveranno la strada dell’unità grazie alle lotte operaie dell’autunno caldo. Il decennio Settanta sarà segnato da una notevole conflittualità sociale e nelle relazioni industriali, da significativi incrementi salariali, da importanti riforme sociali e da un grande potere di CGIL, CISL, UIL nella società italiana, secondo una strategia che venne definita di “supplenza sindacale” per una trasformazione radicale degli equilibri socio-economici. Nel 1984 avviene la rottura della Federazione unitaria tra le tre confederazioni, a causa della diversa valutazione del Patto anti-inflazione proposto dal governo presieduto dal socialista Bettino Craxi, con CISL e UIL favorevoli, che porterà al referendum sulla scala mobile del giugno 1995, con la vittoria del governo e la sconfitta del Partito comunista. Negli anni ’90, a fronte del vuoto politico generato dalla crisi della Prima Repubblica, le tre confederazioni decidono di perseguire la strada della concertazione con governo e imprese, secondo il modello dei patti sociali delle socialdemocrazie europee. Ai giorni nostri una nuova divisione, dopo quella del 2002 sulla diversa valutazione del cosiddetto “Patto per l’Italia”, ancora durante un governo presieduto da Silvio Berlusconi, questa volta sul modello di contrattazione collettiva e a causa degli accordi “separati” alla Fiat, con, a livello giuslavoristico, del prevalere del paradigma della flessibilità.
2011
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