A partire dal ’400, dopo mille anni in cui Chiesa e moderno avevano avuto percorsi tutt’altro che antitetici comincia un periodo di lenta divaricazione che marcherà i contorni di un fossato destinato a diventare un abisso. Sul terreno politico e sociale, con l’illuminismo e, soprattutto, la rivoluzione francese si arriva a uno scontro i cui connotati segneranno le vicende del rapporto nei due secoli seguenti quando la modernità si costruirà con i caratteri di una vera e propria negazione di tutto quello che la Chiesa aveva rappresentato: l’assenza di Dio, con la completa autonomia e l’assoluta libertà umana in vista di una positiva trasformazione del mondo, sarà necessario corollario di questo paradigma. Solo nella seconda metà del XX secolo, con il Vaticano II, la negoziazione positiva con il moderno assume, di nuovo, un ruolo significativo: Chiesa e mondo cessano di essere entità separate e contrapposte, per diventare realtà continue e contigue che interagiscono e dialogano fra di loro. Dopo aver raggiunto l’acme, negli anni sessanta e settanta la contrapposizione comincia, così a diluirsi. Oggi il cristianesimo, e non solo la Chiesa cattolica, deve fare i conti con la categoria cardine della post-modernità, quell’idea della complessità e della pluridimensionalità dei piani, conoscitivi, culturali e morali, che ammette il principio di contraddizione e da diritto di cittadinanza a strutture, culture e metodologie non esclusivamente logiche, dove però la fede viene vista come una delle tante opzioni sul tappeto piuttosto che essere considerata un annuncio transculturale di salvezza. La vera sfida, per la Chiesa, non sta perciò nella conservazione della traditio, quel moderno prodotto di epoche e storie passate diventato significativo; un passaggio naturale ove la tradizione conservi la sua urgenza pratica e teorica ma, restando fedele alla propria essenza, nella produzione di nuovi ammontari di senso, efficaci e costruttivi, nel presente e nella storia.

In compagnia della storia. Chiesa e moderno nell'occidente cristiano

MANDUCA, Raffaele
2011-01-01

Abstract

A partire dal ’400, dopo mille anni in cui Chiesa e moderno avevano avuto percorsi tutt’altro che antitetici comincia un periodo di lenta divaricazione che marcherà i contorni di un fossato destinato a diventare un abisso. Sul terreno politico e sociale, con l’illuminismo e, soprattutto, la rivoluzione francese si arriva a uno scontro i cui connotati segneranno le vicende del rapporto nei due secoli seguenti quando la modernità si costruirà con i caratteri di una vera e propria negazione di tutto quello che la Chiesa aveva rappresentato: l’assenza di Dio, con la completa autonomia e l’assoluta libertà umana in vista di una positiva trasformazione del mondo, sarà necessario corollario di questo paradigma. Solo nella seconda metà del XX secolo, con il Vaticano II, la negoziazione positiva con il moderno assume, di nuovo, un ruolo significativo: Chiesa e mondo cessano di essere entità separate e contrapposte, per diventare realtà continue e contigue che interagiscono e dialogano fra di loro. Dopo aver raggiunto l’acme, negli anni sessanta e settanta la contrapposizione comincia, così a diluirsi. Oggi il cristianesimo, e non solo la Chiesa cattolica, deve fare i conti con la categoria cardine della post-modernità, quell’idea della complessità e della pluridimensionalità dei piani, conoscitivi, culturali e morali, che ammette il principio di contraddizione e da diritto di cittadinanza a strutture, culture e metodologie non esclusivamente logiche, dove però la fede viene vista come una delle tante opzioni sul tappeto piuttosto che essere considerata un annuncio transculturale di salvezza. La vera sfida, per la Chiesa, non sta perciò nella conservazione della traditio, quel moderno prodotto di epoche e storie passate diventato significativo; un passaggio naturale ove la tradizione conservi la sua urgenza pratica e teorica ma, restando fedele alla propria essenza, nella produzione di nuovi ammontari di senso, efficaci e costruttivi, nel presente e nella storia.
2011
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