Introduzione L’intreccio tra idea generale astratta, rappresentazione percettiva e oggetto particolare nella conoscenza umana La conoscenza è stata considerata fino ad oggi come un movimento ascendente che va dalla realtà moteplice del mondo e degli oggetti particolari alle realtà più precisa e organizzata delle idee secondo un processo di rarefazione e di spoliazione delle note individuanti degli oggetti che è chiamato astrazione. Esercitare questa facoltà conoscitiva e generare idee generali astratti a partire da oggetti concreti è senza dubbio una delle capacità più grandi della nostra mente. Gran parte della conquiste della scienza, dai teoremi alle grandi teorie del macro e microcosmo, non sarebbero state raggiunte senza l’utilizzo di linguaggi e modelli molto astratti. Sapere giungere alle categorie e ai concetti più rarefatti, ai simboli più logicamente formali, potrebbe far credere che la conoscenza si esaurisca tutta in quella che ho chiamato la via ascendente, cioè appunto l’ascesa astrattiva dagli oggetti ai concetti generali. Questo modello tradizionale ha creato delle distinzioni che si sono radicate nel senso comune e che oggi sembrano essere divenute delle vere e proprie dicotomie all’interno di alcuni settori della filosofia e della scienza, incidendo non poco nella capacità di costruire una teoria della conoscenza che descriva adeguatamente la ricchezza e la complessità dei nostri processi di comprensione del che cos’è di un oggetto sensibile o possibile o solo immaginabile e del come si sono presenti tra gli oggetti e gli eventi delle connessioni causali. Le distinzioni di cui parlavo sono a tutti note: astratto e concreto, ideale e reale, unità e molteplice, categoria/rappresentazione e oggetto, intelligibile e sensibile/materiale, essenza e esistente. Al di là dello studio dei processi psicologici con noi categorizziamo gli oggetti, generalizzazione il reale e ragioniamo sul mondo che ci circonda, rimane da rispondere ad una domanda più speculativa sul come e sul perché il soggetto conoscente e il pensiero umano possono tradurre il divenire e il molteplice nell’intelligibile, riconducendolo alla unità e chiarezza dei concetti e di quale sia la portata e l’implicazione ontologico-metafisica di questa capacità. Vivendo in questa epoca segnata dallo sviluppo delle scienze della mente, abbiamo pensato che dovessimo perseguire con uguale tensione di ricerca entrambi gli ambiti: quello della psicologia empirica e sperimentale e quello della gnoseologia ed epistemologia filosofica. Solo così pensiamo che si possa riuscire a far comprendere agli studiosi della cognizione la grande ricchezza contenuta nelle teorizzazioni dei grandi filosofi e la importanza di recuperare alcune loro descrizioni, intuizioni, scoperte che sarebbero molto utili al progredire della psicologia e la aiuterebbero a mettere sempre più ordine nel materiale ormai veramente vasto e non più interamente gestibile delle sue evidenze sperimentali e delle sue modellizzazioni. D’altra parte pensiamo che anche la teoresi filosofica abbia bisogno di ritrovare un dialogo con le scienze e soprattutto con le scienze cognitive e psicologiche che condividono con la prima degli ambiti di ricerca veramente contigui. E’ vero che la domanda filosofica non si riduce ad una domanda sui processi empirici della psiche, ma tende alla comprensione di come noi possiamo conoscere il nostro mondo dandovi un senso, che prima ancora di essere, per i filosofi che lo ritengono importante, metafisico, è più semplicemente epistemico e ontologico. Ma la ricerca di una teoria della conoscenza umana e del metodo scientifico, di una teoria che cosa è di un oggetto o di un fenomeno e delle relazioni causali fra gli oggetti e i fenomeni, questa ricerca, dicevo non può ormai essere condotta a prescindere dai risultati cui è pervenuta la psicologia. Da questo scambio la filosofia può ottenere vantaggi che non riguardano solo il trasferimento e l’appropriazione di contenuti, ma altresì l’acquisizione di uno stile che indaga con aderenza i fenomeni e li studia senza precomprensioni con una capacità descrittiva ricca ed analitica. Accettando, come fa la psicologia, l’effettualità di processi e capacità della mente umana che spesso le controversie tra i filosofi hanno reso, non si sa perché, meno ricche e complesse di quanto lo siano in realtà e di quanto la realtà psichica del soggetto della conoscenza ci imponga di accettare. Un esempio per tutti è la disputa sulle idee generali astratte condotta all’interno dell’empirismo inglese e che ha visto Berkeley e Hume demolire la dottrina di Locke. Come vedremo in alcuni paragrafi di questo volume i due critici della generalità e dell’astrazione, hanno dovuto poi accettare all’interno delle loro trattazioni che, vuoi o non vuoi, noi facciamo uso di queste idee generali astratte che il povero Locke aveva cercato di salvare pur all’interno della sua visione rigorosamente nominalista (anche se io insisto nel pensare che egli sia in realtà un concettualista). Senza volermi addentrare nel ginepraio di sottili distinzioni che rimando ad altre riflessioni, mi basterà dire qui che, proprio nel modo in cui l’empirismo inglese ha tratto il problema della generalità e dell’astrazione è visibile la discrepanza che spesso sussiste tra la speculazione filosofica e la realtà dei processi conoscitivi, sintetici e analitici della mente umana, di cui la psicologia non nega la complessità e la ricchezza e che anzi si pregia di studiare con grande accanimento descrittivo e sperimentale, in un proliferare di protocolli, test da una parte e di teorie e modelli dall’altra. La riflessione gnoseologica ed epistemologica ha spesso sminuito la complessità del processo della conoscenza in nome di riduzionismi ed empirismi che, a mio avviso, non hanno niente a che fare, con una sana pratica dell’empirismo filosofico, il quale poggia su un solo fine: osservare e spiegare al meglio l’esperienza del mondo da parte dei soggetti attraverso una profonda immedesimazione e una raffinata capacità di analisi della esperienza stessa, personale e intersoggettiva. La storia del pensiero occidentale è ricca di luoghi e momenti in cui la filosofia ha mostrato una grande capacità di lettura e di teorizzazione della esperienza e della conoscenza. E noi abbiamo pensato di ripercorrerli in questo libro per verificare se siano disponibili nei grandi e meno grandi sistemi del passato modelli e teorie di tipo teoretico-speculativo che siano utili oggi a chiarire la natura della conoscenza umana. E di integrare il patrimonio di dati della psicologia cognitiva e comportamentale. Da un lato riappropriandosi di un compito che è speculativo e non appartiene a quella che Kant chiamava psicologia empirica: definire le possibilità e le condizioni della conoscenza alla luce di una teoria ontologico-metafisica della realtà e dell’esperienza. Ma non solo descrivere la complessità dei fenomeni come solo una scienza così ampia può fare. Una complessità che adesso sembra sfuggire ad un certo riduzionismo filosofico che ha scambiato il principio legittimo per cui occorre spiegare i fenomeni scomponendoli e trovando le loro archittetture e cause sottostanti nell’ambito dell’esperibile, con l’idea che bisogna decidere prima ancora di descriverlo e di conoscerlo quanto complesso e quanto ampio sia il cerchio dell’esperienza e dell’esperibile. Ponendosi così dentro una ottica ideologica che è paradossale per una filosofia che voglia passare per riduzionista ed empirista. Vittima di questa tentazione ad anticipare il cos’è e il come è della realtà della conoscenza e della psiche, la filosofia indietreggia di continuo davanti al mondo della esperienza e lascia così alla psicologia di procedere alla descrizione di quella ricchezza che la filosofia misconosce per partito preso e che invece la sua antagonista empirica descrive con modelli complessi e analiticamente più ferrati e corposi. La teoria delle idee generali e dell’astrazione ne è un esempio se dobbiamo ricorrere alla psicologia della categorizzazione e del ragionamento per trovare dei modelli contemporanei capaci di soddisfare certi requisiti di complessità e di scientificità. Quei requisiti che, relativamente alla loro epoca, potevamo trovare in Aristotele, in Tommaso, in Locke, in Kant. E’ per questo che nel Nuovo Paradigma (Velardi 2005) abbiamo esplorato, con spirito teoretico e cognitivo insieme, l’ambito delle categorie, dei concetti e dei significati alla ricerca delle possibilità di una teoria filosofica della conoscenza del che cos’è un ente, un oggetto particolare o generale. Sicuri che la messe di dati e teorie di cui disponiamo può portare a qualche nuovo contributo. Che noi avevamo visto emergere nella ipotesi della esistenza di un nesso categoriale che permetteva la comunicazione dei livelli di astrazione, mettendo in connessione la categoria sovraordinata (il genere di memoria aristotelica) con il livello degli oggetti di base (le specie di Aristotele ma riviste alla luce di una loro analogicità percettiva scoperta da Eleonor Rosch) e degli oggetti individuali. La rappresentazione appartiene al soggetto, ma non per forza è soggettiva. E noi pensavamo che, grazie al dialogo tra scienze cognitive e filosofia, si può ritornare sulla opposizione tra logicismo e psicologismo per costruire una teoria del concetto e del significato che possa introiettare la rappresentazione senza arrecare danno alla oggettività di cui la conoscenza deve godere. Un punto chiave della riflessione sulla categorizzazione è la profonda relazione che sussiste tra astratto e concreto, tra generale e particolare, tra idea e immagine, tra concetto e percezione. Una relazione che non è possibile esprimere nei termini di un intreccio tout court che farebbe diventare banale questa tesi tanto quanto quella che la conoscenza si riduca all’astrazione di idee pure e generali in cui il molteplice viene organizzato una volta per tutte. Comunque sia, ci è sembrato di ritrovare fondato e giustificato l’intreccio tra i versanti opposti e complementari che abbiamo elencato prima, in questa ricognizione di teorie filosofiche della conoscenza che abbiamo fatto nel presente saggio. Una ricognizione senza pretese di esaustività analitico-filologica, né storica. In cui la storia del pensiero è utilizzata tutta in funzione di stimolo per la riflessione pura. Condotta con uno sguardo puramente teoretico e speculativo, che abbiamo cercato di sostenere con una base informativa che ci permettesse di dirigerlo con sicurezza verso una riflessione che generi un risultato. Abbiamo rivisto operare l’intreccio tra astratto e concreto nella dottrina aristotelica della sostanza prima e della sostanza seconda, chiedendoci perché mai Aristotele abbia dato il nome di sostanza, quello che spetta in sommo grado alle cose e agli oggetti individuali, ai predicabili di questi oggetti e cioè ai generi e alle specie (§1.5,§1.6). Lo abbiamo visto operare in Tommaso d’Aquino nel ruolo che l’immagine sensibile, chiamata dai medievali col termine davvero obsoleto di phantasma, ha nel processo con cui l’intelletto perviene alla species intelligibilis a partire dagli oggetti particolari e materiali, ma senza potere fare a meno di un intermediario fra il sensibile e il concetto e dovendo sempre operare prima e durante ogni concettualizzazione una conversio della mente all’immagine sensibile, ad phantasmata, e una volta terminato il processo della emanatio intelligibilis, e prima e dopo essere approdato alla resolutio di natura intuitiva verso primi principi, dovendo tornare di continuo alle cose ancora attraverso l’immagine sensibile, ma stavolta attraverso il processo speculare, discendente, riconduttivo della reflexio (§2.1.§2.2,§2.3). Lo abbiamo visto in Duns Scoto e nel modo in cui, questo assertore integerrimo della capacità umana di vedere Dio, difende le prerogative dell’intelletto di conoscere gli oggetti singolari, individuali nella loro pienezza di materia formata, difendendo una conoscenza intuitiva che solo per la nostra condizione di soggetti incorporati nella materia non si può esprimere pienamente ed è limitata dalla conoscenza astrattiva (§3.1,§3.2, §3.3). Lo abbiamo visto in Peirce nella sua teoria dell’Oggetto Immediato e Dinamico e nella sua teoria di un iconismo primario che pervade la relazione conoscitiva aperta dalla semiosi e che ha enormi punti di contatto, secondo la lettura che né da Umberto Eco (1997), con la problematica kantiana dello schematismo (§2.4.2). Lo abbiamo visto in Locke nel rapporto che in lui continuamente si dà tra i sensi e le idee, viste come immagini degli oggetti particolari e nella disinvoltura con cui questo filosofo empirista nel senso più proprio e decisivo della parola riesce a rispecchiare la complessità della nostra esperienza mentale e a descrivere la connessione che intercorre tra idee generali astratti e oggetti particolari (§4.1). Lo abbiamo visto in Hume, nonostante la sua critica dell’astrazione e della generalità, proprio per il ruolo che in lui viene ad assumere l’immagine che è qualcosa di più della idea semplice vista come impressione sensoriale illanguidita che la memoria ci permette di rievocare e per l’ambiguità che mette in relazione immagine particolare, nome generale e idea universale strumentalmente utilizzata attraverso il nome (§4.5, §5.1 e anche la parte finale di questa Introduzione). Lo abbiamo visto in Kant nel suo silenzio su come possa avvenire la categorizzazione dei generi naturali e nella confusione tra concetto trascendentale e concetto empirico che avviene nella dottrina di quella sintesi speciosa e figurata che è lo schema trascendentale, chiamato a gettare un ponte, una analogia tra il molteplice della intuizione sensibile e le troppo pure e troppo astratte categorie dell’intelletto (§4.6,§4.7). Lo abbiamo visto in Husserl nella teoria della intuizione eidetica e nella teoria del noema e delle sue connessioni con l’oggetto materiale il quale, sempre all’interno della correlatività originaria tra oggetto, noema e coscienza emersa in seguito alla riduzione fenomenologica, diventa rappresentativo della generalità rimanendo completamente tale nella sua individualità, ma in una profonda relazione di intenzionalità reciproca con la coscienza (§3.5). E lo abbiamo visto all’opera quell’intreccio in altre filosofie e in altri autori che abbiamo scelto come particolarmente pregnanti nella manifestazione dei rapporti tra astrazione e singolarità, tra astrazione e intuizione. Abbiamo senza dubbio rafforzato l’impressione già ricavati in Velardi 2005 secondo cui è possibile ricostruire la teoria della conoscenza a partire non da una separazione di astratto e concreto, universale e particolare ma di una loro interrelazione per cui 1) se è dato un movimento ascendente, astrattivo è data la possibilità di un movimento discendente, di ritorno del materiale intellegibile sull’oggetto e 2) si dà anche un livello di astrazione in cui è possibile “percepire astrazioni”, “pensare vedendo” e che permette un movimento discensivo di partecipazione e interconnessione tra l’astratto e il concreto, l’intellettivo e il percettivo. Conosciamo tutti quali sono i termini della questione. Abbiamo da una pare il problema della generalità e dall’altra il problema dell’astrazione. Problema della generalità (formulazione astratta): Ogni immagine rappresenta un oggetto particolare. Dunque non si possono concepire idee o immagini generali associate ad oggetti particolari e ai nomi di questi oggetti particolari, perché nella parola che indica l’oggetto generale troviamo rappresentati aspetti individuali che non si trovano come tali in tutti gli altri oggetti individuali indicati dal termine che sta per l’idea o oggetto generale. Il modo astratto e troppo generale con cui ho enunciato il problema della generalità non lo ha reso certo molto comprensibile ai più. A dimostrazione ulteriore di quanto la connessione tra astratto ed esemplificato sia fondamentale per la nostra intelligenza e i nostri processi conoscitivi. Per esprimere questo intreccio avremmo dovuto fornire una descrizione contemporaneamente astratta e concreta. Ma andiamo al concreto. E formuliamo il problema della generalità attraverso una immagine. Problema della Generalità (esemplificazione concreta): Ogni immagine di cane rappresenta solo ed esclusivamente un oggetto particolare che è un cane. Dunque una qualsiasi immagine di cane deve specificare delle note o aspetti individuali di un cane che si riferiscono alla dimensione, alla forma, al colore e alle dimensioni che non si ritrovano identici in tutti i cani che sono rappresentati dal termine generale “cane” che sta per l’idea generale e astratta di cane. Hume e Berkeley avevano pensato di demolire la dottrina delle idee generali astratte con questo argomento. La sintesi del loro ragionamento è che ogni immagine è sempre immagine di un oggetto particolare. In questo saggio noi cerchiamo di pensare se la dichiarazione dei due empiristi così radicali non sia infondata e non descrive la complessità delle operazioni psicologiche e conoscitive del soggetto. Dalle ricognizioni filosofiche sui processi di pensiero svolte in Velardi 2005 e dalle ricognizioni sulle teorie della conoscenza degli oggetti fatte ne La vita delle idee, ci siamo resi conto che, con buona pace di Hume e di Berkeley, le immagini possono rappresentare contemporaneamente o disgiuntamente sia oggetti particolari che oggetti generali. E questa è la tesi di questo saggio: Soluzione di Hume al problema della generalità: le immagini possono rappresentare contemporaneamente o disgiuntamente sia oggetti particolari che oggetti generali e vengono controllate dalla mente umana che ne utilizza le proprietà ai fini della comprensione della natura degli oggetti e/o delle dimostrazioni scientifiche Come si nota da una lettura attenta dei trattati di Hume e Berkeley la soluzione sta proprio negli sviluppi del loro discorso. Quando essi sono costretti a riconoscere un qualche ruolo alle idee generali che avevano negato almeno all’interno della dimostrazione matematica. La limitazione rappresentazionale ed epistemica della generalità dichiarata con forza all’inizio delle loro trattazioni, viene poi sfumata sensibilmente. Accanto al problema della generalità vi è il secondo problema cioè quello dell’astrazione: Problema dell’Astrazione: la generalità non è qualcosa che si può ricavare dall’esperienza dal momento che si dà soltanto esperienza di cose particolari e individuali. Davanti alla formulazione del problema mi viene da controbattere enunciando quello che si potrebbe chiamare Paradosso dell’Empirismo. Prima di enunciarlo vorrei ricordare che ricordare che sono gli stessi Hume e Berkeley a fornire una soluzione al problema delle idee generali (vedi il capitolo 4). Dalle loro obiezioni a Locke essi non concludono che le immagini generali siano irrilevanti per la nostra pratica discorsiva, razionale, dimostrativa. Hanno un qualche ruolo nel soddisfare il bisogno di generalità della conoscenza. Anche se esistono soltanto immagini particolari gli Hume pensa che esse possono “divenir generali in ciò che rappresentano”. L’immagine della mente rimane quella di un oggetto particolare, ma può essere usata dentro i nostri ragionamenti come se, e solo come se, fosse universale e generale. Si può utilizzare una immagine particolare come se il suo oggetto fosse universale. Basta che l’immagine particolare sia legata ad un termine generale. Come se io prendessi un qualunque triangolo equilatero e lo connettessi alla parola “triangolo” facendo su quel preciso triangolo delle operazioni come se rappresentasse tutti i triangoli. Una finzione, un artificio che una prospettiva empirista e nominalista sembra poter consentire. Nessuna immagine particolare può rappresentare la classe degli oggetti. Svolge il suo ruolo di rappresentante in modo provvisorio e utile solo al fine di ottenere un risultato rispetto al ragionamento in questione. Le altre idee simili rimangono pronte a insorgere qualora quella immagine particolare voglia presumere troppo dal suo impersonare tutti gli altri oggetti che si riferiscono a quella immagine. In questo modo, come spiegheremo meglio nel capitolo 4 e nel capitolo 5, se la parola “triangolo” esprime l’immagine di un particolare triangolo equilatero, io potrò fare su di esso delle operazioni che riguardano tutti i triangoli e pervenire alla formulazione della legge secondo cui la somma totale degli angoli interni di un triangolo è di 180° gradi. Fin qui tutto tranquillo. Se invece io utilizzo quella immagine particolare legata al termine generale “triangolo” per formulare leggi che evinco da come è fatto quel particolare triangolo equilatero e le generalizzo come se fossero proprie di tutti i triangoli, allora gli altri triangoli con proprietà diverse uscirebbero allo scoperto e insorgerebbero contro l’abuso essenzialistico e universalizzante della relazione puramente nominalista tra immagine particolare e termine generale. Se infatti io parto dal triangolo equilatero ed enuncio la regola per cui i tre angoli di un triangolo sono uguali tra loro, le idee o immagini individuali degli altri triangoli scaleno e isoscele si faranno avanti “facendo ressa immediatamente su di noi”, insorgendo contro il nostro abuso e costringendoci a riconoscere la falsità della nostra proposizione. In questo scenario così plastico possiamo vedere in azione varie immagini particolari che possono assurgere a surrogati di idee generali. Spiegheremo meglio in §5.1 questo processo. Per ora ci serviva accennarvi solo per potere enunciare il Paradosso: Paradosso dell’Empirismo: Hume e Berkeley, nel loro empirismo radicale, negano che la generalità sia un prodotto dell’astrazione svolto all’interno dell’esperienza percettiva. Così sganciano a tal punto il processo dell’astrazione dalla esperienza percettiva da far diventare il generale astratto qualcosa che eccede l’esperienza. Per rifiutare la nozione di una astrazione che procede dall’esperienza e rimane vincolata all’esperienza, teorizzano una nozione di astrazione che eccede l’esperienza e che non ha più vincoli con l’esperienza stessa. Astratto diventa qualcosa che non ha corrispettivo nella percezione. Gli oggetti, le relazioni, le proprietà non emergono più dalle cose grazie alla facoltà astrattiva della mente. Per gli empiristi Veramente un bel risultato per l’empirismo quello di ottenere una astrazione di questo tipo e una teoria delle idee generali così poco aderente ai nostri processi psicologici. Ma dopo avere mostrato l’inconsistenza e l’incoerenza dell’empirismo radicale e avere fatto intuire come parteggiamo più per l’empirismo moderato e concettualista di Locke, è il momento di procedere alla nostra ricognizione del ruolo dell’immagine particolare e dell’idea generale nei processi della conoscenza.

La vita delle idee. Il problema dell'astrazione nella teoria della conoscenza

VELARDI, Andrea
2013-01-01

Abstract

Introduzione L’intreccio tra idea generale astratta, rappresentazione percettiva e oggetto particolare nella conoscenza umana La conoscenza è stata considerata fino ad oggi come un movimento ascendente che va dalla realtà moteplice del mondo e degli oggetti particolari alle realtà più precisa e organizzata delle idee secondo un processo di rarefazione e di spoliazione delle note individuanti degli oggetti che è chiamato astrazione. Esercitare questa facoltà conoscitiva e generare idee generali astratti a partire da oggetti concreti è senza dubbio una delle capacità più grandi della nostra mente. Gran parte della conquiste della scienza, dai teoremi alle grandi teorie del macro e microcosmo, non sarebbero state raggiunte senza l’utilizzo di linguaggi e modelli molto astratti. Sapere giungere alle categorie e ai concetti più rarefatti, ai simboli più logicamente formali, potrebbe far credere che la conoscenza si esaurisca tutta in quella che ho chiamato la via ascendente, cioè appunto l’ascesa astrattiva dagli oggetti ai concetti generali. Questo modello tradizionale ha creato delle distinzioni che si sono radicate nel senso comune e che oggi sembrano essere divenute delle vere e proprie dicotomie all’interno di alcuni settori della filosofia e della scienza, incidendo non poco nella capacità di costruire una teoria della conoscenza che descriva adeguatamente la ricchezza e la complessità dei nostri processi di comprensione del che cos’è di un oggetto sensibile o possibile o solo immaginabile e del come si sono presenti tra gli oggetti e gli eventi delle connessioni causali. Le distinzioni di cui parlavo sono a tutti note: astratto e concreto, ideale e reale, unità e molteplice, categoria/rappresentazione e oggetto, intelligibile e sensibile/materiale, essenza e esistente. Al di là dello studio dei processi psicologici con noi categorizziamo gli oggetti, generalizzazione il reale e ragioniamo sul mondo che ci circonda, rimane da rispondere ad una domanda più speculativa sul come e sul perché il soggetto conoscente e il pensiero umano possono tradurre il divenire e il molteplice nell’intelligibile, riconducendolo alla unità e chiarezza dei concetti e di quale sia la portata e l’implicazione ontologico-metafisica di questa capacità. Vivendo in questa epoca segnata dallo sviluppo delle scienze della mente, abbiamo pensato che dovessimo perseguire con uguale tensione di ricerca entrambi gli ambiti: quello della psicologia empirica e sperimentale e quello della gnoseologia ed epistemologia filosofica. Solo così pensiamo che si possa riuscire a far comprendere agli studiosi della cognizione la grande ricchezza contenuta nelle teorizzazioni dei grandi filosofi e la importanza di recuperare alcune loro descrizioni, intuizioni, scoperte che sarebbero molto utili al progredire della psicologia e la aiuterebbero a mettere sempre più ordine nel materiale ormai veramente vasto e non più interamente gestibile delle sue evidenze sperimentali e delle sue modellizzazioni. D’altra parte pensiamo che anche la teoresi filosofica abbia bisogno di ritrovare un dialogo con le scienze e soprattutto con le scienze cognitive e psicologiche che condividono con la prima degli ambiti di ricerca veramente contigui. E’ vero che la domanda filosofica non si riduce ad una domanda sui processi empirici della psiche, ma tende alla comprensione di come noi possiamo conoscere il nostro mondo dandovi un senso, che prima ancora di essere, per i filosofi che lo ritengono importante, metafisico, è più semplicemente epistemico e ontologico. Ma la ricerca di una teoria della conoscenza umana e del metodo scientifico, di una teoria che cosa è di un oggetto o di un fenomeno e delle relazioni causali fra gli oggetti e i fenomeni, questa ricerca, dicevo non può ormai essere condotta a prescindere dai risultati cui è pervenuta la psicologia. Da questo scambio la filosofia può ottenere vantaggi che non riguardano solo il trasferimento e l’appropriazione di contenuti, ma altresì l’acquisizione di uno stile che indaga con aderenza i fenomeni e li studia senza precomprensioni con una capacità descrittiva ricca ed analitica. Accettando, come fa la psicologia, l’effettualità di processi e capacità della mente umana che spesso le controversie tra i filosofi hanno reso, non si sa perché, meno ricche e complesse di quanto lo siano in realtà e di quanto la realtà psichica del soggetto della conoscenza ci imponga di accettare. Un esempio per tutti è la disputa sulle idee generali astratte condotta all’interno dell’empirismo inglese e che ha visto Berkeley e Hume demolire la dottrina di Locke. Come vedremo in alcuni paragrafi di questo volume i due critici della generalità e dell’astrazione, hanno dovuto poi accettare all’interno delle loro trattazioni che, vuoi o non vuoi, noi facciamo uso di queste idee generali astratte che il povero Locke aveva cercato di salvare pur all’interno della sua visione rigorosamente nominalista (anche se io insisto nel pensare che egli sia in realtà un concettualista). Senza volermi addentrare nel ginepraio di sottili distinzioni che rimando ad altre riflessioni, mi basterà dire qui che, proprio nel modo in cui l’empirismo inglese ha tratto il problema della generalità e dell’astrazione è visibile la discrepanza che spesso sussiste tra la speculazione filosofica e la realtà dei processi conoscitivi, sintetici e analitici della mente umana, di cui la psicologia non nega la complessità e la ricchezza e che anzi si pregia di studiare con grande accanimento descrittivo e sperimentale, in un proliferare di protocolli, test da una parte e di teorie e modelli dall’altra. La riflessione gnoseologica ed epistemologica ha spesso sminuito la complessità del processo della conoscenza in nome di riduzionismi ed empirismi che, a mio avviso, non hanno niente a che fare, con una sana pratica dell’empirismo filosofico, il quale poggia su un solo fine: osservare e spiegare al meglio l’esperienza del mondo da parte dei soggetti attraverso una profonda immedesimazione e una raffinata capacità di analisi della esperienza stessa, personale e intersoggettiva. La storia del pensiero occidentale è ricca di luoghi e momenti in cui la filosofia ha mostrato una grande capacità di lettura e di teorizzazione della esperienza e della conoscenza. E noi abbiamo pensato di ripercorrerli in questo libro per verificare se siano disponibili nei grandi e meno grandi sistemi del passato modelli e teorie di tipo teoretico-speculativo che siano utili oggi a chiarire la natura della conoscenza umana. E di integrare il patrimonio di dati della psicologia cognitiva e comportamentale. Da un lato riappropriandosi di un compito che è speculativo e non appartiene a quella che Kant chiamava psicologia empirica: definire le possibilità e le condizioni della conoscenza alla luce di una teoria ontologico-metafisica della realtà e dell’esperienza. Ma non solo descrivere la complessità dei fenomeni come solo una scienza così ampia può fare. Una complessità che adesso sembra sfuggire ad un certo riduzionismo filosofico che ha scambiato il principio legittimo per cui occorre spiegare i fenomeni scomponendoli e trovando le loro archittetture e cause sottostanti nell’ambito dell’esperibile, con l’idea che bisogna decidere prima ancora di descriverlo e di conoscerlo quanto complesso e quanto ampio sia il cerchio dell’esperienza e dell’esperibile. Ponendosi così dentro una ottica ideologica che è paradossale per una filosofia che voglia passare per riduzionista ed empirista. Vittima di questa tentazione ad anticipare il cos’è e il come è della realtà della conoscenza e della psiche, la filosofia indietreggia di continuo davanti al mondo della esperienza e lascia così alla psicologia di procedere alla descrizione di quella ricchezza che la filosofia misconosce per partito preso e che invece la sua antagonista empirica descrive con modelli complessi e analiticamente più ferrati e corposi. La teoria delle idee generali e dell’astrazione ne è un esempio se dobbiamo ricorrere alla psicologia della categorizzazione e del ragionamento per trovare dei modelli contemporanei capaci di soddisfare certi requisiti di complessità e di scientificità. Quei requisiti che, relativamente alla loro epoca, potevamo trovare in Aristotele, in Tommaso, in Locke, in Kant. E’ per questo che nel Nuovo Paradigma (Velardi 2005) abbiamo esplorato, con spirito teoretico e cognitivo insieme, l’ambito delle categorie, dei concetti e dei significati alla ricerca delle possibilità di una teoria filosofica della conoscenza del che cos’è un ente, un oggetto particolare o generale. Sicuri che la messe di dati e teorie di cui disponiamo può portare a qualche nuovo contributo. Che noi avevamo visto emergere nella ipotesi della esistenza di un nesso categoriale che permetteva la comunicazione dei livelli di astrazione, mettendo in connessione la categoria sovraordinata (il genere di memoria aristotelica) con il livello degli oggetti di base (le specie di Aristotele ma riviste alla luce di una loro analogicità percettiva scoperta da Eleonor Rosch) e degli oggetti individuali. La rappresentazione appartiene al soggetto, ma non per forza è soggettiva. E noi pensavamo che, grazie al dialogo tra scienze cognitive e filosofia, si può ritornare sulla opposizione tra logicismo e psicologismo per costruire una teoria del concetto e del significato che possa introiettare la rappresentazione senza arrecare danno alla oggettività di cui la conoscenza deve godere. Un punto chiave della riflessione sulla categorizzazione è la profonda relazione che sussiste tra astratto e concreto, tra generale e particolare, tra idea e immagine, tra concetto e percezione. Una relazione che non è possibile esprimere nei termini di un intreccio tout court che farebbe diventare banale questa tesi tanto quanto quella che la conoscenza si riduca all’astrazione di idee pure e generali in cui il molteplice viene organizzato una volta per tutte. Comunque sia, ci è sembrato di ritrovare fondato e giustificato l’intreccio tra i versanti opposti e complementari che abbiamo elencato prima, in questa ricognizione di teorie filosofiche della conoscenza che abbiamo fatto nel presente saggio. Una ricognizione senza pretese di esaustività analitico-filologica, né storica. In cui la storia del pensiero è utilizzata tutta in funzione di stimolo per la riflessione pura. Condotta con uno sguardo puramente teoretico e speculativo, che abbiamo cercato di sostenere con una base informativa che ci permettesse di dirigerlo con sicurezza verso una riflessione che generi un risultato. Abbiamo rivisto operare l’intreccio tra astratto e concreto nella dottrina aristotelica della sostanza prima e della sostanza seconda, chiedendoci perché mai Aristotele abbia dato il nome di sostanza, quello che spetta in sommo grado alle cose e agli oggetti individuali, ai predicabili di questi oggetti e cioè ai generi e alle specie (§1.5,§1.6). Lo abbiamo visto operare in Tommaso d’Aquino nel ruolo che l’immagine sensibile, chiamata dai medievali col termine davvero obsoleto di phantasma, ha nel processo con cui l’intelletto perviene alla species intelligibilis a partire dagli oggetti particolari e materiali, ma senza potere fare a meno di un intermediario fra il sensibile e il concetto e dovendo sempre operare prima e durante ogni concettualizzazione una conversio della mente all’immagine sensibile, ad phantasmata, e una volta terminato il processo della emanatio intelligibilis, e prima e dopo essere approdato alla resolutio di natura intuitiva verso primi principi, dovendo tornare di continuo alle cose ancora attraverso l’immagine sensibile, ma stavolta attraverso il processo speculare, discendente, riconduttivo della reflexio (§2.1.§2.2,§2.3). Lo abbiamo visto in Duns Scoto e nel modo in cui, questo assertore integerrimo della capacità umana di vedere Dio, difende le prerogative dell’intelletto di conoscere gli oggetti singolari, individuali nella loro pienezza di materia formata, difendendo una conoscenza intuitiva che solo per la nostra condizione di soggetti incorporati nella materia non si può esprimere pienamente ed è limitata dalla conoscenza astrattiva (§3.1,§3.2, §3.3). Lo abbiamo visto in Peirce nella sua teoria dell’Oggetto Immediato e Dinamico e nella sua teoria di un iconismo primario che pervade la relazione conoscitiva aperta dalla semiosi e che ha enormi punti di contatto, secondo la lettura che né da Umberto Eco (1997), con la problematica kantiana dello schematismo (§2.4.2). Lo abbiamo visto in Locke nel rapporto che in lui continuamente si dà tra i sensi e le idee, viste come immagini degli oggetti particolari e nella disinvoltura con cui questo filosofo empirista nel senso più proprio e decisivo della parola riesce a rispecchiare la complessità della nostra esperienza mentale e a descrivere la connessione che intercorre tra idee generali astratti e oggetti particolari (§4.1). Lo abbiamo visto in Hume, nonostante la sua critica dell’astrazione e della generalità, proprio per il ruolo che in lui viene ad assumere l’immagine che è qualcosa di più della idea semplice vista come impressione sensoriale illanguidita che la memoria ci permette di rievocare e per l’ambiguità che mette in relazione immagine particolare, nome generale e idea universale strumentalmente utilizzata attraverso il nome (§4.5, §5.1 e anche la parte finale di questa Introduzione). Lo abbiamo visto in Kant nel suo silenzio su come possa avvenire la categorizzazione dei generi naturali e nella confusione tra concetto trascendentale e concetto empirico che avviene nella dottrina di quella sintesi speciosa e figurata che è lo schema trascendentale, chiamato a gettare un ponte, una analogia tra il molteplice della intuizione sensibile e le troppo pure e troppo astratte categorie dell’intelletto (§4.6,§4.7). Lo abbiamo visto in Husserl nella teoria della intuizione eidetica e nella teoria del noema e delle sue connessioni con l’oggetto materiale il quale, sempre all’interno della correlatività originaria tra oggetto, noema e coscienza emersa in seguito alla riduzione fenomenologica, diventa rappresentativo della generalità rimanendo completamente tale nella sua individualità, ma in una profonda relazione di intenzionalità reciproca con la coscienza (§3.5). E lo abbiamo visto all’opera quell’intreccio in altre filosofie e in altri autori che abbiamo scelto come particolarmente pregnanti nella manifestazione dei rapporti tra astrazione e singolarità, tra astrazione e intuizione. Abbiamo senza dubbio rafforzato l’impressione già ricavati in Velardi 2005 secondo cui è possibile ricostruire la teoria della conoscenza a partire non da una separazione di astratto e concreto, universale e particolare ma di una loro interrelazione per cui 1) se è dato un movimento ascendente, astrattivo è data la possibilità di un movimento discendente, di ritorno del materiale intellegibile sull’oggetto e 2) si dà anche un livello di astrazione in cui è possibile “percepire astrazioni”, “pensare vedendo” e che permette un movimento discensivo di partecipazione e interconnessione tra l’astratto e il concreto, l’intellettivo e il percettivo. Conosciamo tutti quali sono i termini della questione. Abbiamo da una pare il problema della generalità e dall’altra il problema dell’astrazione. Problema della generalità (formulazione astratta): Ogni immagine rappresenta un oggetto particolare. Dunque non si possono concepire idee o immagini generali associate ad oggetti particolari e ai nomi di questi oggetti particolari, perché nella parola che indica l’oggetto generale troviamo rappresentati aspetti individuali che non si trovano come tali in tutti gli altri oggetti individuali indicati dal termine che sta per l’idea o oggetto generale. Il modo astratto e troppo generale con cui ho enunciato il problema della generalità non lo ha reso certo molto comprensibile ai più. A dimostrazione ulteriore di quanto la connessione tra astratto ed esemplificato sia fondamentale per la nostra intelligenza e i nostri processi conoscitivi. Per esprimere questo intreccio avremmo dovuto fornire una descrizione contemporaneamente astratta e concreta. Ma andiamo al concreto. E formuliamo il problema della generalità attraverso una immagine. Problema della Generalità (esemplificazione concreta): Ogni immagine di cane rappresenta solo ed esclusivamente un oggetto particolare che è un cane. Dunque una qualsiasi immagine di cane deve specificare delle note o aspetti individuali di un cane che si riferiscono alla dimensione, alla forma, al colore e alle dimensioni che non si ritrovano identici in tutti i cani che sono rappresentati dal termine generale “cane” che sta per l’idea generale e astratta di cane. Hume e Berkeley avevano pensato di demolire la dottrina delle idee generali astratte con questo argomento. La sintesi del loro ragionamento è che ogni immagine è sempre immagine di un oggetto particolare. In questo saggio noi cerchiamo di pensare se la dichiarazione dei due empiristi così radicali non sia infondata e non descrive la complessità delle operazioni psicologiche e conoscitive del soggetto. Dalle ricognizioni filosofiche sui processi di pensiero svolte in Velardi 2005 e dalle ricognizioni sulle teorie della conoscenza degli oggetti fatte ne La vita delle idee, ci siamo resi conto che, con buona pace di Hume e di Berkeley, le immagini possono rappresentare contemporaneamente o disgiuntamente sia oggetti particolari che oggetti generali. E questa è la tesi di questo saggio: Soluzione di Hume al problema della generalità: le immagini possono rappresentare contemporaneamente o disgiuntamente sia oggetti particolari che oggetti generali e vengono controllate dalla mente umana che ne utilizza le proprietà ai fini della comprensione della natura degli oggetti e/o delle dimostrazioni scientifiche Come si nota da una lettura attenta dei trattati di Hume e Berkeley la soluzione sta proprio negli sviluppi del loro discorso. Quando essi sono costretti a riconoscere un qualche ruolo alle idee generali che avevano negato almeno all’interno della dimostrazione matematica. La limitazione rappresentazionale ed epistemica della generalità dichiarata con forza all’inizio delle loro trattazioni, viene poi sfumata sensibilmente. Accanto al problema della generalità vi è il secondo problema cioè quello dell’astrazione: Problema dell’Astrazione: la generalità non è qualcosa che si può ricavare dall’esperienza dal momento che si dà soltanto esperienza di cose particolari e individuali. Davanti alla formulazione del problema mi viene da controbattere enunciando quello che si potrebbe chiamare Paradosso dell’Empirismo. Prima di enunciarlo vorrei ricordare che ricordare che sono gli stessi Hume e Berkeley a fornire una soluzione al problema delle idee generali (vedi il capitolo 4). Dalle loro obiezioni a Locke essi non concludono che le immagini generali siano irrilevanti per la nostra pratica discorsiva, razionale, dimostrativa. Hanno un qualche ruolo nel soddisfare il bisogno di generalità della conoscenza. Anche se esistono soltanto immagini particolari gli Hume pensa che esse possono “divenir generali in ciò che rappresentano”. L’immagine della mente rimane quella di un oggetto particolare, ma può essere usata dentro i nostri ragionamenti come se, e solo come se, fosse universale e generale. Si può utilizzare una immagine particolare come se il suo oggetto fosse universale. Basta che l’immagine particolare sia legata ad un termine generale. Come se io prendessi un qualunque triangolo equilatero e lo connettessi alla parola “triangolo” facendo su quel preciso triangolo delle operazioni come se rappresentasse tutti i triangoli. Una finzione, un artificio che una prospettiva empirista e nominalista sembra poter consentire. Nessuna immagine particolare può rappresentare la classe degli oggetti. Svolge il suo ruolo di rappresentante in modo provvisorio e utile solo al fine di ottenere un risultato rispetto al ragionamento in questione. Le altre idee simili rimangono pronte a insorgere qualora quella immagine particolare voglia presumere troppo dal suo impersonare tutti gli altri oggetti che si riferiscono a quella immagine. In questo modo, come spiegheremo meglio nel capitolo 4 e nel capitolo 5, se la parola “triangolo” esprime l’immagine di un particolare triangolo equilatero, io potrò fare su di esso delle operazioni che riguardano tutti i triangoli e pervenire alla formulazione della legge secondo cui la somma totale degli angoli interni di un triangolo è di 180° gradi. Fin qui tutto tranquillo. Se invece io utilizzo quella immagine particolare legata al termine generale “triangolo” per formulare leggi che evinco da come è fatto quel particolare triangolo equilatero e le generalizzo come se fossero proprie di tutti i triangoli, allora gli altri triangoli con proprietà diverse uscirebbero allo scoperto e insorgerebbero contro l’abuso essenzialistico e universalizzante della relazione puramente nominalista tra immagine particolare e termine generale. Se infatti io parto dal triangolo equilatero ed enuncio la regola per cui i tre angoli di un triangolo sono uguali tra loro, le idee o immagini individuali degli altri triangoli scaleno e isoscele si faranno avanti “facendo ressa immediatamente su di noi”, insorgendo contro il nostro abuso e costringendoci a riconoscere la falsità della nostra proposizione. In questo scenario così plastico possiamo vedere in azione varie immagini particolari che possono assurgere a surrogati di idee generali. Spiegheremo meglio in §5.1 questo processo. Per ora ci serviva accennarvi solo per potere enunciare il Paradosso: Paradosso dell’Empirismo: Hume e Berkeley, nel loro empirismo radicale, negano che la generalità sia un prodotto dell’astrazione svolto all’interno dell’esperienza percettiva. Così sganciano a tal punto il processo dell’astrazione dalla esperienza percettiva da far diventare il generale astratto qualcosa che eccede l’esperienza. Per rifiutare la nozione di una astrazione che procede dall’esperienza e rimane vincolata all’esperienza, teorizzano una nozione di astrazione che eccede l’esperienza e che non ha più vincoli con l’esperienza stessa. Astratto diventa qualcosa che non ha corrispettivo nella percezione. Gli oggetti, le relazioni, le proprietà non emergono più dalle cose grazie alla facoltà astrattiva della mente. Per gli empiristi Veramente un bel risultato per l’empirismo quello di ottenere una astrazione di questo tipo e una teoria delle idee generali così poco aderente ai nostri processi psicologici. Ma dopo avere mostrato l’inconsistenza e l’incoerenza dell’empirismo radicale e avere fatto intuire come parteggiamo più per l’empirismo moderato e concettualista di Locke, è il momento di procedere alla nostra ricognizione del ruolo dell’immagine particolare e dell’idea generale nei processi della conoscenza.
2013
Filosofie
9788857520995
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