Il saggio analizza le fonti di diritto internazionale e dell’Unione europea che pongono obblighi di giurisdizione e controllo in capo agli Stati della bandiera a fini di sicurezza della navigazione e protezione dell’ambiente marino, con l’obiettivo di definire la natura e la portata degli stessi e delle conseguenze derivanti dalla loro violazione. L’analisi delle principali convenzioni internazionali in materia induce l’A. a ritenere che il quadro normativo di riferimento comprenda non solo le norme pattizie cui gli Stati hanno aderito e quelle di diritto consuetudinario, ma anche le regole di generale accettazione ed osservanza nella comunità internazionale di riferimento, poste da norme tecniche elaborate dalle competenti organizzazioni o definite da enti privati cui è riconosciuto un ruolo fondamentale ed una speciale autorità (a livello reputazionale) nello shipping (società di classificazione o organismi riconosciuti). Il complesso di queste regole, secondo l’A., pone in capo alla Flag Administration l’obbligo – sanzionabile sul piano del diritto internazionale – di esercitare un’efficace funzione normativa ed effettivi poteri di controllo, di certificazione e sanzionatori a tutela di interessi ascrivibili alla comunità internazionale nel suo complesso, come la vita umana o l’ambiente marino. Posto che, nella ricostruzione prospettata, l’illecito internazionale è già integrato dalla mancata o inesatta esecuzione, secondo due diligence, delle condotte cui è tenuta l’autorità di bandiera, gli effetti in termini di responsabilità si producono anche lì dove l’inadempimento sia emerso a seguito, ad esempio, di una verifica di Port State Control, con il connesso ricorso della comunità internazionale alle contromisure ritenute adeguate. I risultati acquisiti dall’analisi normativa indicano, infatti, la chiara tendenza (riscontrabile tanto nel diritto internazionale che in quello dell’Unione europea) a richiedere l’intervento di autorità (diverse da quelle di nazionalità) in grado di esercitare, ratione loci, un potere sulla nave (autorità costiere e del porto) quale effetto quasi automatico della reiterata carenza di diligenza dimostrata dalle autorità di bandiera rispetto allo standard generalmente richiesto nell’applicazione delle norme primarie di sicurezza. Il ricorso a contromisure in grado di limitare il diritto di navigazione (come il fermo della nave o il rifiuto di accesso al porto) è correlato, infatti, non all’accertata violazione di regole del diritto del mare, bensì alla valutazione del rischio di incidente associato alla navigazione di una data unità, operata sulla base delle performance della bandiera, quali emergono dal dato storico, raccolto e valutato secondo modalità condivise da tutti i membri della comunità internazionale. Posto che il risultato cui tendono le regole sulla sicurezza in mare – cioè garantire che solo le unità rispettose dei requisiti minimi prendano parte ai traffici marittimi – può essere conseguito (anche in presenza di bandiere poco diligenti) con il ricorso a contromisure in grado di incidere sullo stesso diritto di navigazione, l’A. considera che il vigente regime dei mari garantisca la possibilità in concreto di accedere ai traffici internazionali e, dunque, di godere – sul piano economico – di tutte le utilità inerenti al diritto di navigazione, solo agli Stati di «nazionalità effettiva», cioè a quelli di fatto operanti un governo efficace sulle unità navali e sui rispettivi equipaggi nell’interesse della sicurezza; l’A. conclude pertanto che l’esercizio effettivo della giurisdizione sulla nave si qualifica, oggi, come condizione giuridica necessaria al pieno riconoscimento del diritto di navigazione, il cui esercizio risulta altrimenti compromesso in misura proporzionale al livello di inaccettabilità del rischio (per vita umana in mare e per l’ambiente marino) rappresentato dalle flotte sub-standard.

Obblighi e responsabilità dello Stato della bandiera

INGRATOCI SCORCIAPINO, Cinzia
2013-01-01

Abstract

Il saggio analizza le fonti di diritto internazionale e dell’Unione europea che pongono obblighi di giurisdizione e controllo in capo agli Stati della bandiera a fini di sicurezza della navigazione e protezione dell’ambiente marino, con l’obiettivo di definire la natura e la portata degli stessi e delle conseguenze derivanti dalla loro violazione. L’analisi delle principali convenzioni internazionali in materia induce l’A. a ritenere che il quadro normativo di riferimento comprenda non solo le norme pattizie cui gli Stati hanno aderito e quelle di diritto consuetudinario, ma anche le regole di generale accettazione ed osservanza nella comunità internazionale di riferimento, poste da norme tecniche elaborate dalle competenti organizzazioni o definite da enti privati cui è riconosciuto un ruolo fondamentale ed una speciale autorità (a livello reputazionale) nello shipping (società di classificazione o organismi riconosciuti). Il complesso di queste regole, secondo l’A., pone in capo alla Flag Administration l’obbligo – sanzionabile sul piano del diritto internazionale – di esercitare un’efficace funzione normativa ed effettivi poteri di controllo, di certificazione e sanzionatori a tutela di interessi ascrivibili alla comunità internazionale nel suo complesso, come la vita umana o l’ambiente marino. Posto che, nella ricostruzione prospettata, l’illecito internazionale è già integrato dalla mancata o inesatta esecuzione, secondo due diligence, delle condotte cui è tenuta l’autorità di bandiera, gli effetti in termini di responsabilità si producono anche lì dove l’inadempimento sia emerso a seguito, ad esempio, di una verifica di Port State Control, con il connesso ricorso della comunità internazionale alle contromisure ritenute adeguate. I risultati acquisiti dall’analisi normativa indicano, infatti, la chiara tendenza (riscontrabile tanto nel diritto internazionale che in quello dell’Unione europea) a richiedere l’intervento di autorità (diverse da quelle di nazionalità) in grado di esercitare, ratione loci, un potere sulla nave (autorità costiere e del porto) quale effetto quasi automatico della reiterata carenza di diligenza dimostrata dalle autorità di bandiera rispetto allo standard generalmente richiesto nell’applicazione delle norme primarie di sicurezza. Il ricorso a contromisure in grado di limitare il diritto di navigazione (come il fermo della nave o il rifiuto di accesso al porto) è correlato, infatti, non all’accertata violazione di regole del diritto del mare, bensì alla valutazione del rischio di incidente associato alla navigazione di una data unità, operata sulla base delle performance della bandiera, quali emergono dal dato storico, raccolto e valutato secondo modalità condivise da tutti i membri della comunità internazionale. Posto che il risultato cui tendono le regole sulla sicurezza in mare – cioè garantire che solo le unità rispettose dei requisiti minimi prendano parte ai traffici marittimi – può essere conseguito (anche in presenza di bandiere poco diligenti) con il ricorso a contromisure in grado di incidere sullo stesso diritto di navigazione, l’A. considera che il vigente regime dei mari garantisca la possibilità in concreto di accedere ai traffici internazionali e, dunque, di godere – sul piano economico – di tutte le utilità inerenti al diritto di navigazione, solo agli Stati di «nazionalità effettiva», cioè a quelli di fatto operanti un governo efficace sulle unità navali e sui rispettivi equipaggi nell’interesse della sicurezza; l’A. conclude pertanto che l’esercizio effettivo della giurisdizione sulla nave si qualifica, oggi, come condizione giuridica necessaria al pieno riconoscimento del diritto di navigazione, il cui esercizio risulta altrimenti compromesso in misura proporzionale al livello di inaccettabilità del rischio (per vita umana in mare e per l’ambiente marino) rappresentato dalle flotte sub-standard.
2013
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