La manipolazione del prezzo dell’oro, che negli ultimi due anni si è fatta più evidente, ha permesso un costante deflusso del metallo giallo da ovest verso est . In tempo di crisi l’Italia è diventata un paese esportatore di oro, pur non avendo miniere aurifere. Questa sorprendente offerta di metallo prezioso proviene dalle casse del 28% degli italiani, quasi 17 milioni di persone, che, secondo le stime di Unioncamere, sono stati costretti a vendere hanno i propri beni ai compro-oro, per un quantitativo di duecento tonnellate d’oro, pari a circa 8 miliardi di euro. La crisi economica spinge gli italiani a barattare il proprio oro di recupero con denaro contante, finendo nelle maglie dei compro-oro sparsi su tutto il territorio nazionale: circa 26mila, ma il numero oscilla fortemente in quanto questi negozi tendono ora ad aprire e chiudere in tempi brevi, mentre nel biennio 2012-2013 il loro volume di affari era cresciuto del 200% . In buona sostanza, nel 2013 milioni di famiglie hanno venduto i propri gioielli che, fusi in lingotti, sono stati esportati per essere lavorati o rimessi sul mercato con effetti paradossali: abbiamo una nazione che esporta oro pur non avendo miniere: i giacimenti virtuali sono i negozi dei “compro-oro” . Alla fine dell’anno appena trascorso, l’economista Nouriel Roubini, noto per la previsione (non realizzatasi) della tempesta perfetta che tra il 2012 e il 2013 avrebbe dovuto spazzare via l’Eurozona, aveva stimato (al momento del pronostico, mentre solo nel mese di settembre del 2011 l’oro aveva sfiorato i 2000, la quotazione dell’oro oscillava tra i 1200 e i 1300 dollari l’oncia ), di tale dichiarazione la quotazione dell’oro intorno ai mille dollari l’oncia entro il 2015, articolando la propria tesi in sei punti. L’oro è un bene-rifugio il cui prezzo aumenta in tempo di crisi, ma le crisi peggiori sarebbero passate. Il rischio inflazione, che spinge a comprare oro per tutelarsi dalla perdita di valore di acquisto della moneta, pur avendo la Federal Reserve e la Bank of Japan aumentato enormemente la base monetaria, non è percepito e i prezzi non sembrano destinati a surriscaldarsi nemmeno nei prossimi mesi, perché anche se in giro c’è molta più moneta, le banche la trattengono per scopi precauzionali o per abbellire i bilanci, per cui non la fanno entrare in circolazione, evitando che tramite gli impieghi i prezzi possano crescere. In America, poi, c’è una ripresa dell’economia, che sta spingendo all’investimento negli asset classici, come le azioni, a discapito dell’oro, reso agli occhi degli investitori meno allettante. I tassi di interesse reali starebbero aumentando, disincentivando dall’investire in oro. I governi ultra-indebitati starebbero vendendo le riserve di oro per alleggerire le loro posizioni, come nel caso di Cipro, a cui l’UE, quando a marzo decise di salvare l’Isola, impose la cessione dell’oro detenuto nei caveau, al fine di ottenere liquidità; tale vendita sul mercato sembrava insignificante a livello globale, ma non è stato così, e il 16 aprile 2013, in risposta alle voci per cui Nicosia avrebbe iniziato a vendere, l’oro precipitò fino a un minimo di 1.321 dollari l’oncia, perdendo in sole due sedute il 13%, per la paura degli investitori che tale misura possa essere adottata da altri istituti dell’Eurozona, come Italia e Spagna, le cui riserve sono molto ricche (basti pensare che la sola Banca d’Italia detiene oro per 2.500 tonnellate e per un controvalore stimato in 130 miliardi di dollari, e, se vendesse, il prezzo dell’oro sarebbe destinato a precipitare in poco tempo. Infine, il boom dell’oro, sostenuto da quelli che Roubini definisce “fanatici di destra”, è finito, per cui inizierebbe il trend inverso . Che stavolta abbia ragione? La Banca nazionale svizzera ha appena reso noto che il crollo del prezzo dell’oro, già preannunciatosi proprio nell’aprile dello scorso anno , sceso in picchiata a 1,191.21 dollari l’oncia alla fine di giugno , dato in settembre come all’inizio di una parabola discendente , le ha causato nell’esercizio 2013 perdite per circa 9 miliardi di franchi e che il valore della sua quota nel metallo giallo ha perso intorno ai 15 miliardi di franchi a seguito di un calo del prezzo dell’oro di quasi il 30%, il più elevato dal 1981 . E, con riguardo alla fascia di popolazione che l’oro lo vende, e al relativo mercato, si rileva dalla fine del 2013 ad oggi una crisi dei banchi dei pegni: sembra che il 30% dei “compro oro” che proliferavano nelle strade di tutte le città d’Italia abbia già chiuso. Il loro numero si era moltiplicato per cinque in soli due anni, secondo le stime della Guardia di Finanza contenute in un recente rapporto, nel quale si evidenzia quanto il settore sia appetibile per la criminalità, che usa sistemi fraudolenti per esportare l’oro verso aziende estere, in buona parte inesistenti, per mascherare la vendita in nero del metallo prezioso in Italia . «L’opacità della filiera dei “compro-oro” - registrazione dell’acquisto dal privato, fusione della materia, ricondizionamento dell’oggetto usato e fiscalità - sembra fatta apposta per spianare la strada a lauti guadagni che arricchiscono pochi negozi e impoveriscono milioni di italiani», e le operazioni commerciali svolte al suo interno spesso coprono attività illegali . Se nel 2011, secondo il rapporto Eurispes, l’8,5% degli italiani si era rivolto ai “compro oro” , secondo la medesima fonte nel 2013 il dato è progressivamente aumentato fino al 28,1% nel primo semestre del 2013. Il fenomeno si è diffuso soprattutto al Sud, dove la percentuale di chi si è rivolto a un “compro oro” è pari al 31,8, contro il 27,5% delle Isole, il 27,4% del Nord-Est, il 24,2 del Centro e il 23,6% del Nord-Ovest. Tra le categorie più interessate, i soggetti in cerca di una prima occupazione (42,6%) e di un nuovo lavoro (36,9%), meno i pensionati (20,5%) . Da ventimila nel 2011, i “compro oro” erano così diventati circa 38.000; moltiplicati dalla crisi e da traffici sospetti, oggi chiudono con la stessa velocità con la quale hanno aperto, sia per il crollo del prezzo del metallo pregiato che per la fine della disponibilità dei clienti-venditori. Alla fine del 2013 il numero di esercizi, come anticipavamo, era già sceso a 26.000, con un crollo del 140% del giro di affari. Nella crisi della scorsa primavera, della quale si è detto, alcuni di essi hanno perso fino a 60.000 euro per la differenza nel prezzo globale del metallo tra il momento in cui compravano e quello in cui rivendevano a una fonderia. E alcune fra queste, meglio note agli addetti come “banchi metalli”, hanno subito perdite di centinaia di migliaia di euro da quando prendevano la merce all’ingrosso dai “compro oro” e il momento in cui la trasformavano in lingotti in Svizzera, a Londra e a New York. Un intero settore prodotto dalla grande recessione, conosce ora una crisi rapida come l’ascesa che l’aveva preceduta: all’inizio dell’anno scorso si vendeva l’oro puro a 44 euro al grammo, oggi attorno ai 29. I “compro-oro” sono ancora troppi, ma con un compito quasi nodale per un Paese che negli ultimi anni ha scoperto di essere diventato un forte esportatore di metallo giallo. Le stime sul numero degli esercizi oscillano, data la mancanza di un registro ufficiale, ma nel tempo sono assurti a un ruolo sussidiario fondamentale, all'interno dell'industria aurifera italiana, dando un grosso contributo all’accelerazione dell’export. Un recente report presentato da Unioncamere alla commissione Industria del Senato, redatto in base ai dati Eurispes, rileva che nel 2013 il 28% degli italiani ha ceduto almeno un oggetto d’oro, per un totale di circa 17 milioni di persone. Certo è che le esportazioni sono passate dalle 40 tonnellate del 2008 alle 193,7 del 2012: un aumento del 385% per un valore che, seguendo anche la curva ascendente del valore del metallo giallo nello stesso periodo, è passato da 751 milioni di euro a 7.827 milioni di euro del 2012: +942 per cento. Giustamente osserva il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, «L'esplosione dei compro oro ha avuto la conseguenza di dare grande impulso al loro giro d'affari, tanto da rendere l'Italia un paese esportatore di oro pur non avendo miniere aurifere».
Ascesa e caduta dei «compro oro»
ALIBRANDI, Rosamaria;CENTORRINO, Mario
2014-01-01
Abstract
La manipolazione del prezzo dell’oro, che negli ultimi due anni si è fatta più evidente, ha permesso un costante deflusso del metallo giallo da ovest verso est . In tempo di crisi l’Italia è diventata un paese esportatore di oro, pur non avendo miniere aurifere. Questa sorprendente offerta di metallo prezioso proviene dalle casse del 28% degli italiani, quasi 17 milioni di persone, che, secondo le stime di Unioncamere, sono stati costretti a vendere hanno i propri beni ai compro-oro, per un quantitativo di duecento tonnellate d’oro, pari a circa 8 miliardi di euro. La crisi economica spinge gli italiani a barattare il proprio oro di recupero con denaro contante, finendo nelle maglie dei compro-oro sparsi su tutto il territorio nazionale: circa 26mila, ma il numero oscilla fortemente in quanto questi negozi tendono ora ad aprire e chiudere in tempi brevi, mentre nel biennio 2012-2013 il loro volume di affari era cresciuto del 200% . In buona sostanza, nel 2013 milioni di famiglie hanno venduto i propri gioielli che, fusi in lingotti, sono stati esportati per essere lavorati o rimessi sul mercato con effetti paradossali: abbiamo una nazione che esporta oro pur non avendo miniere: i giacimenti virtuali sono i negozi dei “compro-oro” . Alla fine dell’anno appena trascorso, l’economista Nouriel Roubini, noto per la previsione (non realizzatasi) della tempesta perfetta che tra il 2012 e il 2013 avrebbe dovuto spazzare via l’Eurozona, aveva stimato (al momento del pronostico, mentre solo nel mese di settembre del 2011 l’oro aveva sfiorato i 2000, la quotazione dell’oro oscillava tra i 1200 e i 1300 dollari l’oncia ), di tale dichiarazione la quotazione dell’oro intorno ai mille dollari l’oncia entro il 2015, articolando la propria tesi in sei punti. L’oro è un bene-rifugio il cui prezzo aumenta in tempo di crisi, ma le crisi peggiori sarebbero passate. Il rischio inflazione, che spinge a comprare oro per tutelarsi dalla perdita di valore di acquisto della moneta, pur avendo la Federal Reserve e la Bank of Japan aumentato enormemente la base monetaria, non è percepito e i prezzi non sembrano destinati a surriscaldarsi nemmeno nei prossimi mesi, perché anche se in giro c’è molta più moneta, le banche la trattengono per scopi precauzionali o per abbellire i bilanci, per cui non la fanno entrare in circolazione, evitando che tramite gli impieghi i prezzi possano crescere. In America, poi, c’è una ripresa dell’economia, che sta spingendo all’investimento negli asset classici, come le azioni, a discapito dell’oro, reso agli occhi degli investitori meno allettante. I tassi di interesse reali starebbero aumentando, disincentivando dall’investire in oro. I governi ultra-indebitati starebbero vendendo le riserve di oro per alleggerire le loro posizioni, come nel caso di Cipro, a cui l’UE, quando a marzo decise di salvare l’Isola, impose la cessione dell’oro detenuto nei caveau, al fine di ottenere liquidità; tale vendita sul mercato sembrava insignificante a livello globale, ma non è stato così, e il 16 aprile 2013, in risposta alle voci per cui Nicosia avrebbe iniziato a vendere, l’oro precipitò fino a un minimo di 1.321 dollari l’oncia, perdendo in sole due sedute il 13%, per la paura degli investitori che tale misura possa essere adottata da altri istituti dell’Eurozona, come Italia e Spagna, le cui riserve sono molto ricche (basti pensare che la sola Banca d’Italia detiene oro per 2.500 tonnellate e per un controvalore stimato in 130 miliardi di dollari, e, se vendesse, il prezzo dell’oro sarebbe destinato a precipitare in poco tempo. Infine, il boom dell’oro, sostenuto da quelli che Roubini definisce “fanatici di destra”, è finito, per cui inizierebbe il trend inverso . Che stavolta abbia ragione? La Banca nazionale svizzera ha appena reso noto che il crollo del prezzo dell’oro, già preannunciatosi proprio nell’aprile dello scorso anno , sceso in picchiata a 1,191.21 dollari l’oncia alla fine di giugno , dato in settembre come all’inizio di una parabola discendente , le ha causato nell’esercizio 2013 perdite per circa 9 miliardi di franchi e che il valore della sua quota nel metallo giallo ha perso intorno ai 15 miliardi di franchi a seguito di un calo del prezzo dell’oro di quasi il 30%, il più elevato dal 1981 . E, con riguardo alla fascia di popolazione che l’oro lo vende, e al relativo mercato, si rileva dalla fine del 2013 ad oggi una crisi dei banchi dei pegni: sembra che il 30% dei “compro oro” che proliferavano nelle strade di tutte le città d’Italia abbia già chiuso. Il loro numero si era moltiplicato per cinque in soli due anni, secondo le stime della Guardia di Finanza contenute in un recente rapporto, nel quale si evidenzia quanto il settore sia appetibile per la criminalità, che usa sistemi fraudolenti per esportare l’oro verso aziende estere, in buona parte inesistenti, per mascherare la vendita in nero del metallo prezioso in Italia . «L’opacità della filiera dei “compro-oro” - registrazione dell’acquisto dal privato, fusione della materia, ricondizionamento dell’oggetto usato e fiscalità - sembra fatta apposta per spianare la strada a lauti guadagni che arricchiscono pochi negozi e impoveriscono milioni di italiani», e le operazioni commerciali svolte al suo interno spesso coprono attività illegali . Se nel 2011, secondo il rapporto Eurispes, l’8,5% degli italiani si era rivolto ai “compro oro” , secondo la medesima fonte nel 2013 il dato è progressivamente aumentato fino al 28,1% nel primo semestre del 2013. Il fenomeno si è diffuso soprattutto al Sud, dove la percentuale di chi si è rivolto a un “compro oro” è pari al 31,8, contro il 27,5% delle Isole, il 27,4% del Nord-Est, il 24,2 del Centro e il 23,6% del Nord-Ovest. Tra le categorie più interessate, i soggetti in cerca di una prima occupazione (42,6%) e di un nuovo lavoro (36,9%), meno i pensionati (20,5%) . Da ventimila nel 2011, i “compro oro” erano così diventati circa 38.000; moltiplicati dalla crisi e da traffici sospetti, oggi chiudono con la stessa velocità con la quale hanno aperto, sia per il crollo del prezzo del metallo pregiato che per la fine della disponibilità dei clienti-venditori. Alla fine del 2013 il numero di esercizi, come anticipavamo, era già sceso a 26.000, con un crollo del 140% del giro di affari. Nella crisi della scorsa primavera, della quale si è detto, alcuni di essi hanno perso fino a 60.000 euro per la differenza nel prezzo globale del metallo tra il momento in cui compravano e quello in cui rivendevano a una fonderia. E alcune fra queste, meglio note agli addetti come “banchi metalli”, hanno subito perdite di centinaia di migliaia di euro da quando prendevano la merce all’ingrosso dai “compro oro” e il momento in cui la trasformavano in lingotti in Svizzera, a Londra e a New York. Un intero settore prodotto dalla grande recessione, conosce ora una crisi rapida come l’ascesa che l’aveva preceduta: all’inizio dell’anno scorso si vendeva l’oro puro a 44 euro al grammo, oggi attorno ai 29. I “compro-oro” sono ancora troppi, ma con un compito quasi nodale per un Paese che negli ultimi anni ha scoperto di essere diventato un forte esportatore di metallo giallo. Le stime sul numero degli esercizi oscillano, data la mancanza di un registro ufficiale, ma nel tempo sono assurti a un ruolo sussidiario fondamentale, all'interno dell'industria aurifera italiana, dando un grosso contributo all’accelerazione dell’export. Un recente report presentato da Unioncamere alla commissione Industria del Senato, redatto in base ai dati Eurispes, rileva che nel 2013 il 28% degli italiani ha ceduto almeno un oggetto d’oro, per un totale di circa 17 milioni di persone. Certo è che le esportazioni sono passate dalle 40 tonnellate del 2008 alle 193,7 del 2012: un aumento del 385% per un valore che, seguendo anche la curva ascendente del valore del metallo giallo nello stesso periodo, è passato da 751 milioni di euro a 7.827 milioni di euro del 2012: +942 per cento. Giustamente osserva il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, «L'esplosione dei compro oro ha avuto la conseguenza di dare grande impulso al loro giro d'affari, tanto da rendere l'Italia un paese esportatore di oro pur non avendo miniere aurifere».Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.