In sede di Assemblea Costituente il tema della disciplina giuridica del sindacalismo in Italia fu molto dibattuto. Il risultato fu l’approvazione dell’art. 39, una sorta di “ircocervo” istituzionale, definito sotto il profilo giuridico come un “terzo sistema” tra l’ordinamento di diritto pubblico delle categorie e principio privatistico di libertà sindacale, e nei cui confronti si sono sollevati dubbi e rilievi da parte della dottrina maggioritaria in campo giuslavoristico, pur con significative eccezioni. La mancata attuazione dell’art. 39 Cost., a causa di un’inerzia legislativa conseguente alle divisioni tra le tre maggiori centrali sindacali (ma anche per le diverse interpretazioni da dare alla norma costituzionale), ha determinato l’affermazione di un sistema di diritto sindacale fondato sul cosiddetto ”ordinamento intersindacale”, descritto da Gino Giugni come “un ordinamento nell’ambito del quale contratto ed obbligazione si riqualificano nella peculiare luce di strumenti organizzativi del potere sociale paritario”: che, a ben vedere, ha consentito di concentrare nel contratto collettivo nazionale di categoria “la tutela degli standards minimi uniformi”, con il reciproco riconoscimento degli attori collettivi, e che è poggiato sul principio di libertà e di pluralismo sancito dal primo comma dell’art. 39 della Costituzione . Tale sistema però, integrato a partire dal 1970 dal Titolo III dello Statuto dei diritti dei lavoratori e dalla legislazione promozionale all’azione sindacale, ha funzionato sino a quando l’intesa tra le tre maggiori confederazioni ha operato. I recenti accordi sindacali “separati” hanno rilanciato l’esigenza di disciplinare anche per via legislativa gli istituti della rappresentanza e rappresentatività sindacale e della contrattazione collettiva. In questa significativa elaborazione della dottrina giuslavoristica italiana e nella difficile situazione sindacale risiede, a 70 anni dalla sua barbara uccisione, l’attualità del pensiero di Bruno Buozzi a proposito dell’intervento statuale in materia di organizzazione sindacale e contrattazione collettiva. Per il leader riformista la nuova confederazione, la Cgil unitaria dell'epoca, avrebbe dovuto assumere lo status di “sindacato giuridico”, con “la rappresentanza totalitaria della categoria professionale ed il diritto di stipulare contratti di lavoro" con "forza obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria per la quale il sindacato è costituito”. La proposta era quella del riconoscimento da parte del futuro Stato democratico di un sindacato unico (espressivo del cosiddetto “Fronte del lavoro”), con l’obbligatorietà del pagamento delle quote da parte dei lavoratori italiani e l’efficacia generale dei contratti collettivi stipulati, rispettando però il principio della libertà sindacale

Buozzi e la regolamentazione giuridica del sindacato

BALLISTRERI, Gandolfo Maurizio
2014-01-01

Abstract

In sede di Assemblea Costituente il tema della disciplina giuridica del sindacalismo in Italia fu molto dibattuto. Il risultato fu l’approvazione dell’art. 39, una sorta di “ircocervo” istituzionale, definito sotto il profilo giuridico come un “terzo sistema” tra l’ordinamento di diritto pubblico delle categorie e principio privatistico di libertà sindacale, e nei cui confronti si sono sollevati dubbi e rilievi da parte della dottrina maggioritaria in campo giuslavoristico, pur con significative eccezioni. La mancata attuazione dell’art. 39 Cost., a causa di un’inerzia legislativa conseguente alle divisioni tra le tre maggiori centrali sindacali (ma anche per le diverse interpretazioni da dare alla norma costituzionale), ha determinato l’affermazione di un sistema di diritto sindacale fondato sul cosiddetto ”ordinamento intersindacale”, descritto da Gino Giugni come “un ordinamento nell’ambito del quale contratto ed obbligazione si riqualificano nella peculiare luce di strumenti organizzativi del potere sociale paritario”: che, a ben vedere, ha consentito di concentrare nel contratto collettivo nazionale di categoria “la tutela degli standards minimi uniformi”, con il reciproco riconoscimento degli attori collettivi, e che è poggiato sul principio di libertà e di pluralismo sancito dal primo comma dell’art. 39 della Costituzione . Tale sistema però, integrato a partire dal 1970 dal Titolo III dello Statuto dei diritti dei lavoratori e dalla legislazione promozionale all’azione sindacale, ha funzionato sino a quando l’intesa tra le tre maggiori confederazioni ha operato. I recenti accordi sindacali “separati” hanno rilanciato l’esigenza di disciplinare anche per via legislativa gli istituti della rappresentanza e rappresentatività sindacale e della contrattazione collettiva. In questa significativa elaborazione della dottrina giuslavoristica italiana e nella difficile situazione sindacale risiede, a 70 anni dalla sua barbara uccisione, l’attualità del pensiero di Bruno Buozzi a proposito dell’intervento statuale in materia di organizzazione sindacale e contrattazione collettiva. Per il leader riformista la nuova confederazione, la Cgil unitaria dell'epoca, avrebbe dovuto assumere lo status di “sindacato giuridico”, con “la rappresentanza totalitaria della categoria professionale ed il diritto di stipulare contratti di lavoro" con "forza obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria per la quale il sindacato è costituito”. La proposta era quella del riconoscimento da parte del futuro Stato democratico di un sindacato unico (espressivo del cosiddetto “Fronte del lavoro”), con l’obbligatorietà del pagamento delle quote da parte dei lavoratori italiani e l’efficacia generale dei contratti collettivi stipulati, rispettando però il principio della libertà sindacale
2014
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