Con l’espressione “matrimonio putativo” si intende un matrimonio, dichiarato nullo, che produce alcuni effetti del matrimonio valido sul presupposto della “buona fede” di uno o entrambi i coniugi, considerata come “ignoranza della causa di nullità”. Nel caso in cui entrambi i coniugi siano in buona fede, il matrimonio invalido produce tutti gli effetti del matrimonio valido “fino alla sentenza che pronunzia la nullità” (art. 128, comma 1, c.c.), mentre più favorevole è la posizione riservata ai figli. La fattispecie in esame comprende un elemento oggettivo, il matrimonio dichiarato nullo, e un elemento soggettivo, la buona fede di entrambi o di uno solo dei coniugi. È sufficiente che la buona fede sussista al momento della celebrazione, essendo irrilevante il suo venir meno in un momento successivo, in base al principio “mala fides superveniens non nocet”, secondo il quale gli effetti del matrimonio valido si producono “fino alla sentenza che pronuncia la nullità” (art. 128 c.c.), non avendo alcuna rilevanza che nel frattempo i coniugi abbiano appreso l’esistenza del divieto o dell’impedimento invalidante. È, pertanto, la buona fede dei coniugi che sostanzia, qualifica e denomina il matrimonio putativo: i coniugi (o uno di essi) ritengono il matrimonio valido e da tale posizione fanno derivare gli effetti del matrimonio valido per uno o entrambi e per i figli. Non si può, quindi, parlare di matrimonio putativo se non in quanto sia stato celebrato. Solo in presenza di tale presupposto potrà essere impugnato e, se “dichiarato nullo”, si potrà accertare se i coniugi lo avevano contratto in buona fede, essendo questo l’elemento (soggettivo) “che del matrimonio invalido salva (come se fosse valido) alcuni effetti, tra i quali principalmente la legittimità dei figli.
Il matrimonio putativo
COCUCCIO, MARIAFRANCESCA
2014-01-01
Abstract
Con l’espressione “matrimonio putativo” si intende un matrimonio, dichiarato nullo, che produce alcuni effetti del matrimonio valido sul presupposto della “buona fede” di uno o entrambi i coniugi, considerata come “ignoranza della causa di nullità”. Nel caso in cui entrambi i coniugi siano in buona fede, il matrimonio invalido produce tutti gli effetti del matrimonio valido “fino alla sentenza che pronunzia la nullità” (art. 128, comma 1, c.c.), mentre più favorevole è la posizione riservata ai figli. La fattispecie in esame comprende un elemento oggettivo, il matrimonio dichiarato nullo, e un elemento soggettivo, la buona fede di entrambi o di uno solo dei coniugi. È sufficiente che la buona fede sussista al momento della celebrazione, essendo irrilevante il suo venir meno in un momento successivo, in base al principio “mala fides superveniens non nocet”, secondo il quale gli effetti del matrimonio valido si producono “fino alla sentenza che pronuncia la nullità” (art. 128 c.c.), non avendo alcuna rilevanza che nel frattempo i coniugi abbiano appreso l’esistenza del divieto o dell’impedimento invalidante. È, pertanto, la buona fede dei coniugi che sostanzia, qualifica e denomina il matrimonio putativo: i coniugi (o uno di essi) ritengono il matrimonio valido e da tale posizione fanno derivare gli effetti del matrimonio valido per uno o entrambi e per i figli. Non si può, quindi, parlare di matrimonio putativo se non in quanto sia stato celebrato. Solo in presenza di tale presupposto potrà essere impugnato e, se “dichiarato nullo”, si potrà accertare se i coniugi lo avevano contratto in buona fede, essendo questo l’elemento (soggettivo) “che del matrimonio invalido salva (come se fosse valido) alcuni effetti, tra i quali principalmente la legittimità dei figli.Pubblicazioni consigliate
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