L’esigenza di assicurare protezione all’ambiente marino dall’inquinamento costituì la ragione primaria dell’opera di revisione della Convenzione di Bruxelles del 1910 per l’unificazione di alcune regole in materia di assistenza e salvataggio marittimi. Detta disciplina, essendo informata al ben noto principio del no cure, no pay (ai sensi del quale, in assenza di un risultato utile, il soccorritore non ha diritto ad alcun compenso), disincentivava le imprese di salvataggio a prestare i propri servigi in favore di navi a rischio di inquinamento, date le difficoltà (e la correlata probabilità di insuccesso) che le operazioni presentavano in tali casi. Venne così adottata la Convenzione di Londra del 1989 sul soccorso che risponde appieno alla predetta esigenza, incidendo sulla tradizionale struttura del rapporto di soccorso: infatti, ai sensi dell’art. 8.1 lett. b, ove il soccorso venga prestato in favore di una nave a rischio di inquinamento, il soccorritore è altresì tenuto ad agire con ragionevole diligenza al fine di prevenire o limitare il danno all’ambiente. Nella ricostruzione dell’A. l’obbligo in questione nasce per effetto di una fattispecie complessa che risulta dall’obbligo di prestare soccorso alla nave in pericolo di cui all’art. 8.1 lett. a, e dalla ulteriore circostanza che il mezzo, di per sé o per il carico, minacci di provocare danno all’ambiente, e si configura come un effetto legale relativo ad un valore sovraordinato agli interessi dei soggetti del rapporto di soccorso, che costituisce misura del comportamento di entrambe le parti, gravando sia sul debitore che sul creditore della prestazione di soccorso (quest’ultimo specificamente tenuto a cooperare con il soccorritore per la salvaguardia dell’ambiente ai sensi dell’art. 8.2 lett. b.) Al compimento di tali operazioni che abbia avuto un risultato anche parzialmente utile, o che si sia svolto in particolari condizioni ambientali, sono riconnessi ulteriori effetti (previsti, rispettivamente, dagli artt. 12, 13 e 14 della Convenzione), ciascuno dei quali viene in esistenza se e quando si completa la sua fattispecie produttiva, nel contesto del rapporto fondamentale di soccorso cui appartiene; il quale è inteso come “entità giuridica che organizza e coordina in sé i singoli momenti effettuali scaturenti ab initio o anche successivamente (sulla base di esso) da una determinata fattispecie idonea a costituire obbligazioni”. Il lavoro non si limita all’esame dei riflessi della problematica ambientale sulla disciplina privatistica del soccorso, ma indaga anche l’incidenza della stessa sui profili pubblicistici. Al riguardo la Convenzione contempla un’unica norma, l’art. 9, che enuncia i poteri di intervento in acque internazionali e di ingerenza nelle operazioni di soccorso che spettano allo Stato costiero nel caso che una nave sinistrata che si trovi in alto mare minacci di provocare danni da inquinamento al suo litorale e agli interessi connessi. Secondo l’A., tuttavia la norma non avrebbe una valenza innovativa, bensì carattere meramente confirmatorio del diritto internazionale vigente, limitandosi a fare chiarezza, esplicitandolo, circa il dovere del soccorritore di ottemperare alle direttive e di conformarsi ai metodi dello Stato costiero nel corso di operazioni di salvataggio rese nelle condizioni ambientali predette.

Soccorso in mare e tutela dell'ambiente

RIZZO, Maria Piera
2014-01-01

Abstract

L’esigenza di assicurare protezione all’ambiente marino dall’inquinamento costituì la ragione primaria dell’opera di revisione della Convenzione di Bruxelles del 1910 per l’unificazione di alcune regole in materia di assistenza e salvataggio marittimi. Detta disciplina, essendo informata al ben noto principio del no cure, no pay (ai sensi del quale, in assenza di un risultato utile, il soccorritore non ha diritto ad alcun compenso), disincentivava le imprese di salvataggio a prestare i propri servigi in favore di navi a rischio di inquinamento, date le difficoltà (e la correlata probabilità di insuccesso) che le operazioni presentavano in tali casi. Venne così adottata la Convenzione di Londra del 1989 sul soccorso che risponde appieno alla predetta esigenza, incidendo sulla tradizionale struttura del rapporto di soccorso: infatti, ai sensi dell’art. 8.1 lett. b, ove il soccorso venga prestato in favore di una nave a rischio di inquinamento, il soccorritore è altresì tenuto ad agire con ragionevole diligenza al fine di prevenire o limitare il danno all’ambiente. Nella ricostruzione dell’A. l’obbligo in questione nasce per effetto di una fattispecie complessa che risulta dall’obbligo di prestare soccorso alla nave in pericolo di cui all’art. 8.1 lett. a, e dalla ulteriore circostanza che il mezzo, di per sé o per il carico, minacci di provocare danno all’ambiente, e si configura come un effetto legale relativo ad un valore sovraordinato agli interessi dei soggetti del rapporto di soccorso, che costituisce misura del comportamento di entrambe le parti, gravando sia sul debitore che sul creditore della prestazione di soccorso (quest’ultimo specificamente tenuto a cooperare con il soccorritore per la salvaguardia dell’ambiente ai sensi dell’art. 8.2 lett. b.) Al compimento di tali operazioni che abbia avuto un risultato anche parzialmente utile, o che si sia svolto in particolari condizioni ambientali, sono riconnessi ulteriori effetti (previsti, rispettivamente, dagli artt. 12, 13 e 14 della Convenzione), ciascuno dei quali viene in esistenza se e quando si completa la sua fattispecie produttiva, nel contesto del rapporto fondamentale di soccorso cui appartiene; il quale è inteso come “entità giuridica che organizza e coordina in sé i singoli momenti effettuali scaturenti ab initio o anche successivamente (sulla base di esso) da una determinata fattispecie idonea a costituire obbligazioni”. Il lavoro non si limita all’esame dei riflessi della problematica ambientale sulla disciplina privatistica del soccorso, ma indaga anche l’incidenza della stessa sui profili pubblicistici. Al riguardo la Convenzione contempla un’unica norma, l’art. 9, che enuncia i poteri di intervento in acque internazionali e di ingerenza nelle operazioni di soccorso che spettano allo Stato costiero nel caso che una nave sinistrata che si trovi in alto mare minacci di provocare danni da inquinamento al suo litorale e agli interessi connessi. Secondo l’A., tuttavia la norma non avrebbe una valenza innovativa, bensì carattere meramente confirmatorio del diritto internazionale vigente, limitandosi a fare chiarezza, esplicitandolo, circa il dovere del soccorritore di ottemperare alle direttive e di conformarsi ai metodi dello Stato costiero nel corso di operazioni di salvataggio rese nelle condizioni ambientali predette.
2014
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