L’articolo si sofferma sulle ipotesi in cui l’impegno assunto dalle Alte Parti contraenti della CEDU, «a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti», (sancito dall’art. 46, par. 1, Cedu e rafforzato dopo l’introduzione del Prot. 14) ha assunto forme e modalità tali da mettere in discussione il “mito”, saldo e risalente negli ordinamenti giuridici nazionali, dell’intangibilità del giudicato: ciò accade tipicamente qualora tale impegno consegua all’accertamento di violazioni attinenti al diritto ad un equo processo (art. 6 Cedu) o di violazioni dei criteri di successione della legge penale nel tempo (art. 7 Cedu). L’incidenza del fenomeno su un dogma classico della scienza processualistica è all’origine dell’innescarsi di una riflessione circa l’opportunità di un ripensamento dei rapporti interordinamentali intercorrenti tra diritto nazionale e sistema internazionale di protezione dei diritti fondamentali facente capo alla Cedu. Si è creduto di intravedere infatti in esso ora i chiari segni di una svolta in chiave monista di detti rapporti ora, restando pur sempre entro la logica dualista, l’affermarsi di una posizione di supremazia gerarchica del sistema convenzionale sull’ordinamento giuridico statale. Analizzando il contesto in cui una simile crisi dogmatica si verifica ed argomentando sulla scorta di rilevanti decisioni della Corte di Cassazione che procedono nella stessa direzione per assicurare la supremazia dei principi (non di matrice internazionale, bensì) costituzionali, l’A. propone una diversa tesi ricostruttiva, che abbandona l’itinerario teorico della ricerca del soggetto o dell’ordinamento sovrano, per sostituirvi una diversa lettura.
Crisi e tenuta del mito del giudicato nell’impatto con le condanne emesse a Strasburgo
SORRENTI, Giuseppa
2015-01-01
Abstract
L’articolo si sofferma sulle ipotesi in cui l’impegno assunto dalle Alte Parti contraenti della CEDU, «a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti», (sancito dall’art. 46, par. 1, Cedu e rafforzato dopo l’introduzione del Prot. 14) ha assunto forme e modalità tali da mettere in discussione il “mito”, saldo e risalente negli ordinamenti giuridici nazionali, dell’intangibilità del giudicato: ciò accade tipicamente qualora tale impegno consegua all’accertamento di violazioni attinenti al diritto ad un equo processo (art. 6 Cedu) o di violazioni dei criteri di successione della legge penale nel tempo (art. 7 Cedu). L’incidenza del fenomeno su un dogma classico della scienza processualistica è all’origine dell’innescarsi di una riflessione circa l’opportunità di un ripensamento dei rapporti interordinamentali intercorrenti tra diritto nazionale e sistema internazionale di protezione dei diritti fondamentali facente capo alla Cedu. Si è creduto di intravedere infatti in esso ora i chiari segni di una svolta in chiave monista di detti rapporti ora, restando pur sempre entro la logica dualista, l’affermarsi di una posizione di supremazia gerarchica del sistema convenzionale sull’ordinamento giuridico statale. Analizzando il contesto in cui una simile crisi dogmatica si verifica ed argomentando sulla scorta di rilevanti decisioni della Corte di Cassazione che procedono nella stessa direzione per assicurare la supremazia dei principi (non di matrice internazionale, bensì) costituzionali, l’A. propone una diversa tesi ricostruttiva, che abbandona l’itinerario teorico della ricerca del soggetto o dell’ordinamento sovrano, per sostituirvi una diversa lettura.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
36) Crisi e tenuta.pdf
accesso aperto
Descrizione: Articolo principale
Tipologia:
Versione Editoriale (PDF)
Licenza:
Copyright dell'editore
Dimensione
514.6 kB
Formato
Adobe PDF
|
514.6 kB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.