Un ‘sì’ è un’affermazione dinamica di volontà. In architettura, nella sua espressione più ampia che arriva fino al progetto etico di una comunità, il ‘sì’ diventa la misura della bellezza che la civitas è in grado di esprimere. È questo un momento in cui la nostra città – attraverso il Piano strategico "Messina 2020" e la fase d’avvio del nuovo piano regolatore – sta cercando di costruire le proprie visioni per il futuro non rivolgendosi all’urbanistica degli standard e delle zone omogenee ma a quell’arte civica che fa diventare progetto collettivo le azioni del singolo: e se c’è un progetto, a qualsiasi scala, non può non esserci anche il pensiero dell’architetto. Ma architetto o archistar? L’architetto opera nel quotidiano, più nell’ordinario che nello straordinario, nel bene e nel male è parte integrante del luogo e del suo tessuto sociale e dovrebbe possedere i codici espressivi del genius locale. L’archistar per esistere ha bisogno di un pubblico, la sua opera è spettacolo a prescindere dai contenuti e deve essere immagine riconoscibile. Il problema non è l’archistar, è il suo pubblico inteso come spettatore (quindi passivo) in una fase storica in cui, al di là del singolo manufatto, è un’intera città che ha bisogno di dire ‘sì’, ridisegnando sé stessa. Sarebbe un sì privo di contenuti se cittadini e amministratori si mostrassero incapaci di svestire i panni degli spettatori per diventare attori ossia soggetti attivi con ruoli, compiti e responsabilità. L’opera dell’archistar è un’occasione, a volte un pretesto, può diventare il catalizzatore di buoni progetti o soltanto di buone intenzioni…

Editoriale. La bellezza di un sì

ARENA, Marina
2011-01-01

Abstract

Un ‘sì’ è un’affermazione dinamica di volontà. In architettura, nella sua espressione più ampia che arriva fino al progetto etico di una comunità, il ‘sì’ diventa la misura della bellezza che la civitas è in grado di esprimere. È questo un momento in cui la nostra città – attraverso il Piano strategico "Messina 2020" e la fase d’avvio del nuovo piano regolatore – sta cercando di costruire le proprie visioni per il futuro non rivolgendosi all’urbanistica degli standard e delle zone omogenee ma a quell’arte civica che fa diventare progetto collettivo le azioni del singolo: e se c’è un progetto, a qualsiasi scala, non può non esserci anche il pensiero dell’architetto. Ma architetto o archistar? L’architetto opera nel quotidiano, più nell’ordinario che nello straordinario, nel bene e nel male è parte integrante del luogo e del suo tessuto sociale e dovrebbe possedere i codici espressivi del genius locale. L’archistar per esistere ha bisogno di un pubblico, la sua opera è spettacolo a prescindere dai contenuti e deve essere immagine riconoscibile. Il problema non è l’archistar, è il suo pubblico inteso come spettatore (quindi passivo) in una fase storica in cui, al di là del singolo manufatto, è un’intera città che ha bisogno di dire ‘sì’, ridisegnando sé stessa. Sarebbe un sì privo di contenuti se cittadini e amministratori si mostrassero incapaci di svestire i panni degli spettatori per diventare attori ossia soggetti attivi con ruoli, compiti e responsabilità. L’opera dell’archistar è un’occasione, a volte un pretesto, può diventare il catalizzatore di buoni progetti o soltanto di buone intenzioni…
2011
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