Anche l’Italia subisce l’influsso di quel fenomeno che, nel linguaggio comune, è ormai comunemente definito “globalizzazione”, basato sull’aumento “degli scambi mondiali, lo sviluppo delle nuove tecnologie, e la multipolarizzazione del sistema di produzione”. Un fenomeno che ha imposto una sorta di primato della competitività, da cui si sono originati notevoli problemi di ordine sociale, tra cui quelli di natura occupazionale. In questa prospettiva la tematica delle tutele in caso di crisi industriali e di ristrutturazioni ha assunto per la scienza giuslavoristica una rilevanza di primo piano. E’ possibile rilevare che tra le modalità attraverso cui le imprese in Italia attuano processi di ristrutturazione un discorso approfondito merita il ricorso effettuato alla fattispecie legale del trasferimento d’azienda, disciplinata dall’art.2112 del codice civile, avendo specifico riguardo, sotto l’angolo visuale giuslavoristico, a due tematiche: quella del consenso del lavoratore al trasferimento al cessionario e quella delle garanzie dei diritti dello stesso, in linea con le indicazioni dell’Unione europea. La normativa comunitaria prevede una disciplina protettiva per i lavoratori in caso di trasferimento di impresa, di stabilimenti o di parte di impresa o di stabilimenti, attuato mediante cessione contrattuale o fusione, ma nella sua formulazione originaria non chiariva in cosa questo dovesse consistere. Solo con la direttiva 98/50 è stato previsto che si considera trasferimento ai fini dell’applicazione della direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria. In Italia, alla scarsa incidenza della norma civilistica rispetto all’ambito delle decisioni imprenditoriali in caso di trasferimento d’azienda, ha cercato di porre rimedio l’autonomia collettiva. Infatti, con riferimento alle attività o ai servizi da esternalizzare, ricorrendo anche a strumenti legali diversi dall’appalto d’opera, il sindacato ha rivendicato con successo, ottenendo specifiche clausole nei contratti collettivi nazionali, vincoli procedimentali dell’esercizio dei poteri dei datori di lavoro, con l’implementazione di tecniche di informazione e di consultazione con lo stesso, con un riscontro anche sul terreno legislativo: è il caso dell’art.47, c.1 e 2, l.29.12.1990, n.428. L’articolo 2112 del codice civile a sua volta, ha subito alcune novelle proprio con l’art.47 della legge 29 dicembre n.428 del 1990, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea e, successivamente, con il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n.18, in materia di “Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”.

La funzione degli accordi sindacali nel trasferimento d'azienda

BALLISTRERI, Gandolfo Maurizio
2015-01-01

Abstract

Anche l’Italia subisce l’influsso di quel fenomeno che, nel linguaggio comune, è ormai comunemente definito “globalizzazione”, basato sull’aumento “degli scambi mondiali, lo sviluppo delle nuove tecnologie, e la multipolarizzazione del sistema di produzione”. Un fenomeno che ha imposto una sorta di primato della competitività, da cui si sono originati notevoli problemi di ordine sociale, tra cui quelli di natura occupazionale. In questa prospettiva la tematica delle tutele in caso di crisi industriali e di ristrutturazioni ha assunto per la scienza giuslavoristica una rilevanza di primo piano. E’ possibile rilevare che tra le modalità attraverso cui le imprese in Italia attuano processi di ristrutturazione un discorso approfondito merita il ricorso effettuato alla fattispecie legale del trasferimento d’azienda, disciplinata dall’art.2112 del codice civile, avendo specifico riguardo, sotto l’angolo visuale giuslavoristico, a due tematiche: quella del consenso del lavoratore al trasferimento al cessionario e quella delle garanzie dei diritti dello stesso, in linea con le indicazioni dell’Unione europea. La normativa comunitaria prevede una disciplina protettiva per i lavoratori in caso di trasferimento di impresa, di stabilimenti o di parte di impresa o di stabilimenti, attuato mediante cessione contrattuale o fusione, ma nella sua formulazione originaria non chiariva in cosa questo dovesse consistere. Solo con la direttiva 98/50 è stato previsto che si considera trasferimento ai fini dell’applicazione della direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria. In Italia, alla scarsa incidenza della norma civilistica rispetto all’ambito delle decisioni imprenditoriali in caso di trasferimento d’azienda, ha cercato di porre rimedio l’autonomia collettiva. Infatti, con riferimento alle attività o ai servizi da esternalizzare, ricorrendo anche a strumenti legali diversi dall’appalto d’opera, il sindacato ha rivendicato con successo, ottenendo specifiche clausole nei contratti collettivi nazionali, vincoli procedimentali dell’esercizio dei poteri dei datori di lavoro, con l’implementazione di tecniche di informazione e di consultazione con lo stesso, con un riscontro anche sul terreno legislativo: è il caso dell’art.47, c.1 e 2, l.29.12.1990, n.428. L’articolo 2112 del codice civile a sua volta, ha subito alcune novelle proprio con l’art.47 della legge 29 dicembre n.428 del 1990, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea e, successivamente, con il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n.18, in materia di “Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”.
2015
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