Lo smart working, nelle intenzioni del governo italiano, dovrebbe costituire uno strumento innovativo diverso dal telelavoro. Tale assunto appare semplificatorio e non aderente all’evoluzione dei tipi legali dei rapporti di lavoro e alle modifiche produttive e dei sistemi d’impresa. La dottrina definisce il telelavoro come “la prestazione di chi lavori, con uno strumento telematico, topograficamente al di fuori dell’ azienda, su incarico e/o nell’ interesse della quale la prestazione è svolta”. Nell’ambito del lavoro autonomo si deve fare riferimento al contratto d’opera artt. 2222–2230 c.c., La teleprestazione, dedotta in contratto, potrà essere riportata nell’ambito della disciplina del lavoro autonomo di cui al titolo III, del libro V, del codice civile, quando il telelavoratore si obblighi a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio con un lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. Lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato attraverso il telelavoro, almeno nel settore privato, non trova nel nostro Paese un supporto legislativo ma che, nel settore pubblico, pur essendo lo stesso stato disciplinato con il DPR 25 marzo 1999, n. 70, non ha trovato un grosso spazio applicativo per una serie di motivi che saranno, tra poco, esaminati. E’ ben vero che, nel corso degli anni, ci sono stati, diversi disegni di legge, finalizzati a disciplinare la materia nel settore privato, ma sono rimasti tali senza alcun rilievo di natura normativa. Si può parlare quindi, di dicotomia delle fonti, con una sostanziale asimmetria: l’autonomia collettiva per il settore privato; la legge per quello pubblico. Da un punto di vista pratico si suole distinguere il telelavoro in due forme: quello a domicilio (homework) e quello mobile (presso la clientela). E’ questo un contratto d’opera, ai sensi dell’art. 2222 c.c., o se l’attività prestata dal soggetto obbligato ha natura intellettuale è un contratto d’opera intellettuale disciplinato dall’art. 2230 c.c.. Il telelavoro quindi, pur senza enfasi retoriche fuori luogo, può concorrere a definire una nuova fase dei rapporti di lavoro, per fuoriuscire dalla “crisi del fordismo-taylorismo” assumendo una prospettiva in cui le tecnologie non tagliano l’occupazione, ma la favoriscono, rendendo la prestazione di subordinazione funzionale ai tempi di vita.

Smart Working e telelavoro in Italia

BALLISTRERI, Gandolfo Maurizio
2016-01-01

Abstract

Lo smart working, nelle intenzioni del governo italiano, dovrebbe costituire uno strumento innovativo diverso dal telelavoro. Tale assunto appare semplificatorio e non aderente all’evoluzione dei tipi legali dei rapporti di lavoro e alle modifiche produttive e dei sistemi d’impresa. La dottrina definisce il telelavoro come “la prestazione di chi lavori, con uno strumento telematico, topograficamente al di fuori dell’ azienda, su incarico e/o nell’ interesse della quale la prestazione è svolta”. Nell’ambito del lavoro autonomo si deve fare riferimento al contratto d’opera artt. 2222–2230 c.c., La teleprestazione, dedotta in contratto, potrà essere riportata nell’ambito della disciplina del lavoro autonomo di cui al titolo III, del libro V, del codice civile, quando il telelavoratore si obblighi a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio con un lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. Lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato attraverso il telelavoro, almeno nel settore privato, non trova nel nostro Paese un supporto legislativo ma che, nel settore pubblico, pur essendo lo stesso stato disciplinato con il DPR 25 marzo 1999, n. 70, non ha trovato un grosso spazio applicativo per una serie di motivi che saranno, tra poco, esaminati. E’ ben vero che, nel corso degli anni, ci sono stati, diversi disegni di legge, finalizzati a disciplinare la materia nel settore privato, ma sono rimasti tali senza alcun rilievo di natura normativa. Si può parlare quindi, di dicotomia delle fonti, con una sostanziale asimmetria: l’autonomia collettiva per il settore privato; la legge per quello pubblico. Da un punto di vista pratico si suole distinguere il telelavoro in due forme: quello a domicilio (homework) e quello mobile (presso la clientela). E’ questo un contratto d’opera, ai sensi dell’art. 2222 c.c., o se l’attività prestata dal soggetto obbligato ha natura intellettuale è un contratto d’opera intellettuale disciplinato dall’art. 2230 c.c.. Il telelavoro quindi, pur senza enfasi retoriche fuori luogo, può concorrere a definire una nuova fase dei rapporti di lavoro, per fuoriuscire dalla “crisi del fordismo-taylorismo” assumendo una prospettiva in cui le tecnologie non tagliano l’occupazione, ma la favoriscono, rendendo la prestazione di subordinazione funzionale ai tempi di vita.
2016
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