L’esistenza di un nesso eziologico tra condotta degli organi di governo delle banche e crisi bancarie è un dato pacifico, che si spiega in quanto eventuali comportamenti degli amministratori non conformi al canone della sana e prudente gestione, o palesemente illegittimi, possono ripercuotersi sulla situazione patrimoniale o finanziaria dell’intermediario interessato, con esiti negativi in grado di svilupparsi fino al default. Uniformandosi alle indicazioni provenienti da autorevoli istituzioni internazionali e alle disposizioni dettate dalla più recente normativa europea, il legislatore italiano ha pertanto inserito nel Testo Unico bancario il cd. removal, ossia il potere di rimuovere gli esponenti aziendali delle banche che si siano resi responsabili di una condotta illecita o scorretta, senza tuttavia sostituirli con altri soggetti nominati dalla pubblica autorità. Il potere di rimozione, invero, dovrebbe consentire, da un lato, di intervenire in una fase in cui la situazione dell’intermediario non può ritenersi del tutto degenerata (e quindi irrecuperabile), evitando, dall'altro, il ricorso a misure particolarmente intrusive, come, ad esempio, il commissariamento dell’ente. Il presente lavoro analizza presupposti, natura e funzione dell’istituto del removal, al fine di valutare la rispondenza del medesimo a quegli obiettivi di maggiore efficienza e flessibilità dello strumentario di vigilanza che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbero garantire un più proficuo approccio ai futuri episodi di crisi degli istituti bancari. Più in dettaglio, nella prima parte viene esaminata la rimozione del singolo esponente aziendale (art. 53-bis TUB), cercando soprattutto di approfondire il rapporto, non adeguatamente definito sul piano normativo, con l'analoga figura della decadenza dalla carica. Particolare attenzione viene rivolta, in tale contesto, al tema della tutela del soggetto rimosso, con riferimento sia all'individuazione dei rimedi da quest'ultimo attivabili sul piano processuale che alle garanzie procedimentali da assicurare al destinatario del provvedimento, specie alla luce della possibile qualificazione del medesimo come provvedimento sanzionatorio. Viene quindi analizzata la cd. rimozione collettiva ex art. 69-vicies-semel TUB (ossia la rimozione di tutti i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle banche, nonché degli alti dirigenti), misura di "early intervention" la cui utilità sembra potersi cogliere, sul piano pratico, soprattutto nel caso di crisi di legalità, laddove la stessa può trovare efficace applicazione in chiave di superamento di gravi disfunzionalità aziendali. Nelle conclusioni, infine, vengono evidenziati alcuni aspetti critici del removal, legati soprattutto alla quasi totale identità di presupposti con altre misure ed al rapporto di alternatività instaurato tra le medesime. Si sottolinea, in proposito, come il confine tra i vari provvedimenti adottabili in situazioni di crisi (o di "pre-crisi") si sia notevolmente allentato, con conseguente rischio di incertezze nell'applicazione della normativa di riferimento. Ci si interroga, dunque, sull'opportunità di differenziare in modo più netto i presupposti delle diverse misure considerate, onde istituire una più stringente corrispondenza tra determinate circostanze e specifiche forme d’azione, ai fini di una maggiore linearità, efficacia e certezza della disciplina delle crisi bancarie. Invero, una più accentuata differenziazione dei presupposti delle forme di intervento in situazioni di crisi appare in linea con i predetti obiettivi, ma potrebbe per converso implicare un rischio di irrigidimento del sistema, quale effetto dell’inevitabile limitazione della discrezionalità dell’autorità di vigilanza, in sede di determinazione delle misure più opportune da attuare. E' noto, infatti, che l’efficacia del quadro normativo per la prevenzione e la gestione delle crisi bancarie dipende in larga misura dalla flessibilità dei poteri delle autorità preposte, il che presuppone un certo margine di discrezionalità in ordine sia all'accertamento dei presupposti dei provvedimenti adottabili, sia alla valutazione del loro effettivo grado di gravità, sia, ove la legge consenta un’opzione tra più alternative (come nel caso in esame), alla scelta della misura di volta in volta più appropriata a governare la specifica situazione. La ricerca di un punto di equilibrio fra le esigenze di linearità e di flessibilità della disciplina delle crisi bancarie, in sostanza, non si profila affatto semplice e solo i dati rivenienti dalla futura esperienza applicativa delle regole in esame consentiranno di comprendere se la nuova normativa, con il suo ricco corredo di misure e di provvedimenti, rappresenta una reale opportunità per un’efficace prevenzione e gestione dei defaults bancari, o se, di contro, occorrerà un ulteriore intervento del legislatore, volto ad apportare i correttivi ipotizzati in questo scritto.

La Banca d'Italia ed il potere di rimozione degli esponenti aziendali tra vigilanza prudenziale e disciplina della crisi

CIRAOLO, Francesco
2016-01-01

Abstract

L’esistenza di un nesso eziologico tra condotta degli organi di governo delle banche e crisi bancarie è un dato pacifico, che si spiega in quanto eventuali comportamenti degli amministratori non conformi al canone della sana e prudente gestione, o palesemente illegittimi, possono ripercuotersi sulla situazione patrimoniale o finanziaria dell’intermediario interessato, con esiti negativi in grado di svilupparsi fino al default. Uniformandosi alle indicazioni provenienti da autorevoli istituzioni internazionali e alle disposizioni dettate dalla più recente normativa europea, il legislatore italiano ha pertanto inserito nel Testo Unico bancario il cd. removal, ossia il potere di rimuovere gli esponenti aziendali delle banche che si siano resi responsabili di una condotta illecita o scorretta, senza tuttavia sostituirli con altri soggetti nominati dalla pubblica autorità. Il potere di rimozione, invero, dovrebbe consentire, da un lato, di intervenire in una fase in cui la situazione dell’intermediario non può ritenersi del tutto degenerata (e quindi irrecuperabile), evitando, dall'altro, il ricorso a misure particolarmente intrusive, come, ad esempio, il commissariamento dell’ente. Il presente lavoro analizza presupposti, natura e funzione dell’istituto del removal, al fine di valutare la rispondenza del medesimo a quegli obiettivi di maggiore efficienza e flessibilità dello strumentario di vigilanza che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbero garantire un più proficuo approccio ai futuri episodi di crisi degli istituti bancari. Più in dettaglio, nella prima parte viene esaminata la rimozione del singolo esponente aziendale (art. 53-bis TUB), cercando soprattutto di approfondire il rapporto, non adeguatamente definito sul piano normativo, con l'analoga figura della decadenza dalla carica. Particolare attenzione viene rivolta, in tale contesto, al tema della tutela del soggetto rimosso, con riferimento sia all'individuazione dei rimedi da quest'ultimo attivabili sul piano processuale che alle garanzie procedimentali da assicurare al destinatario del provvedimento, specie alla luce della possibile qualificazione del medesimo come provvedimento sanzionatorio. Viene quindi analizzata la cd. rimozione collettiva ex art. 69-vicies-semel TUB (ossia la rimozione di tutti i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle banche, nonché degli alti dirigenti), misura di "early intervention" la cui utilità sembra potersi cogliere, sul piano pratico, soprattutto nel caso di crisi di legalità, laddove la stessa può trovare efficace applicazione in chiave di superamento di gravi disfunzionalità aziendali. Nelle conclusioni, infine, vengono evidenziati alcuni aspetti critici del removal, legati soprattutto alla quasi totale identità di presupposti con altre misure ed al rapporto di alternatività instaurato tra le medesime. Si sottolinea, in proposito, come il confine tra i vari provvedimenti adottabili in situazioni di crisi (o di "pre-crisi") si sia notevolmente allentato, con conseguente rischio di incertezze nell'applicazione della normativa di riferimento. Ci si interroga, dunque, sull'opportunità di differenziare in modo più netto i presupposti delle diverse misure considerate, onde istituire una più stringente corrispondenza tra determinate circostanze e specifiche forme d’azione, ai fini di una maggiore linearità, efficacia e certezza della disciplina delle crisi bancarie. Invero, una più accentuata differenziazione dei presupposti delle forme di intervento in situazioni di crisi appare in linea con i predetti obiettivi, ma potrebbe per converso implicare un rischio di irrigidimento del sistema, quale effetto dell’inevitabile limitazione della discrezionalità dell’autorità di vigilanza, in sede di determinazione delle misure più opportune da attuare. E' noto, infatti, che l’efficacia del quadro normativo per la prevenzione e la gestione delle crisi bancarie dipende in larga misura dalla flessibilità dei poteri delle autorità preposte, il che presuppone un certo margine di discrezionalità in ordine sia all'accertamento dei presupposti dei provvedimenti adottabili, sia alla valutazione del loro effettivo grado di gravità, sia, ove la legge consenta un’opzione tra più alternative (come nel caso in esame), alla scelta della misura di volta in volta più appropriata a governare la specifica situazione. La ricerca di un punto di equilibrio fra le esigenze di linearità e di flessibilità della disciplina delle crisi bancarie, in sostanza, non si profila affatto semplice e solo i dati rivenienti dalla futura esperienza applicativa delle regole in esame consentiranno di comprendere se la nuova normativa, con il suo ricco corredo di misure e di provvedimenti, rappresenta una reale opportunità per un’efficace prevenzione e gestione dei defaults bancari, o se, di contro, occorrerà un ulteriore intervento del legislatore, volto ad apportare i correttivi ipotizzati in questo scritto.
2016
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