Delle sei operette di Galeno di cui si è conservata una versione latina attribuibile con certezza a Pietro d’Abano, ben cinque sono state oggetto di una nuova traduzione da parte di Niccolò da Reggio: dato piuttosto anomalo, se si pensa che i traduttori medievali tendevano a trasporre in latino opere non ancora fruibili in questa lingua piuttosto che a riproporre nuove versioni di testi già disponibili, e che solo una manciata di opere già in precedenza tradotte fu fatta oggetto di una nuova versione da parte di Niccolò. È, dunque, evidente che se Niccolò, come si ritiene comunemente ed è naturale credere, conosceva le traduzioni di Pietro e le ha rifatte pressoché tutte, la causa di ciò va riconosciuta nel fatto che queste non lo soddisfacevano. Attraverso un’analisi comparativa delle versioni del De optima corporis nostri constitutione e del De bono habitu realizzate dai due traduttori, condotta direttamente sui manoscritti, il contributo mira a mettere in luce fino a che punto e in che cosa le traduzioni di Niccolò si differenzino da quelle di Pietro, ovvero sotto quali spinte e con quali modalità Niccolò sia intervenuto sulle versioni del suo predecessore. In conclusione si propone una riflessione relativa ai manoscritti greci usati come modello dai due traduttori, evidenziando come sia molto probabile che il traduttore della corte aingioina non abbia fatto alcun uso delle versioni dell’Aponense.
Pietro d’Abano e Niccolò da Reggio traduttori di Galeno: il caso del De optima corporis nostri constitutione e del De bono habitu
A. M. Urso
2018-01-01
Abstract
Delle sei operette di Galeno di cui si è conservata una versione latina attribuibile con certezza a Pietro d’Abano, ben cinque sono state oggetto di una nuova traduzione da parte di Niccolò da Reggio: dato piuttosto anomalo, se si pensa che i traduttori medievali tendevano a trasporre in latino opere non ancora fruibili in questa lingua piuttosto che a riproporre nuove versioni di testi già disponibili, e che solo una manciata di opere già in precedenza tradotte fu fatta oggetto di una nuova versione da parte di Niccolò. È, dunque, evidente che se Niccolò, come si ritiene comunemente ed è naturale credere, conosceva le traduzioni di Pietro e le ha rifatte pressoché tutte, la causa di ciò va riconosciuta nel fatto che queste non lo soddisfacevano. Attraverso un’analisi comparativa delle versioni del De optima corporis nostri constitutione e del De bono habitu realizzate dai due traduttori, condotta direttamente sui manoscritti, il contributo mira a mettere in luce fino a che punto e in che cosa le traduzioni di Niccolò si differenzino da quelle di Pietro, ovvero sotto quali spinte e con quali modalità Niccolò sia intervenuto sulle versioni del suo predecessore. In conclusione si propone una riflessione relativa ai manoscritti greci usati come modello dai due traduttori, evidenziando come sia molto probabile che il traduttore della corte aingioina non abbia fatto alcun uso delle versioni dell’Aponense.File | Dimensione | Formato | |
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