Oltrepassata una superficiale (e pressoché ineliminabile) barriera di più o meno ampia diversificazione sia ab extra (in particolare tra la giurisprudenza costituzionale ed i sistemi EDU ed IDU) che ab intra (tra gli stessi ordinamenti EDU e IDU) – ad un livello più profondo le pratiche giudiziarie in materia di inizio-vita sembrano presupporre tutte una sorta di minimum comune uniformemente condiviso: apprezzabile, tuttavia, solo con un previo duplice presupposto, di metodo e di merito. Sul piano metodico, ciò equivale a rinunziare ad una struttura aridamente chiusa/esclusiva per abbracciare una costruzione tendenzialmente aperta/inclusiva (al diritto vigente e vivente sopranazionale) della Costituzione. Col fatto di proiettarsi direttamente sulla dinamica esistente tra le Carte di riferimento quali che esse siano – EDU, IDU, di Nizza-Strasburgo e costituzionale italiana – tale mutato orientamento finirebbe quindi pure per incidere indirettamente sui rapporti tra le Corti che di quelle sono pur sempre istituzionalmente chiamate a farsi guardiane. Sul piano del merito, due diversi percorsi giurisprudenziali – pur nella notevole diversità dei sistemi messi a confronto – sembrano potersi intravedere a seconda che alla luce del sole seguano traiettorie più visibili ovvero più sotterranee e carsiche: al primo gruppo sarebbero così ascrivibili le classiche ipotesi di seguito giudiziario al diritto vivente sopranazionale tanto diretto che, soprattutto, indiretto. Venendo ai tragitti giurisprudenziali più nascostamente percorsi, in un quadro di (in)certezze talmente fluido e cangiante, è fisiologico che a proposito del riconoscimento giuridico del concepito il diritto vivente finisca per sfuggire alla rigida, e per tanto solo irrealistica, alternativa tutto/qualcuno e niente/qualcosa – che vorrebbero pienamente (ed acriticamente…) equiparato cioè quest’ultimo, rispettivamente, ad una persona tout court ovvero, nel suo opposto, ad una mera res – per collocarsi piuttosto in un variabile margine di soluzioni intermedie tra l’uno e l’altro degli estremi tradizionalmente richiamati. È poi naturale che da tale comune spazio interpretativo si dipanino mutevoli rivoli giurisprudenziali, nel caso in esame schematicamente riconducibili a due principali a seconda che si tratti di un fascio di trends, per così dire, riduttivi del riconoscimento del nascituro (assunto come un quid pluris rispetto ad una mera res) ovvero espansivi (allorché esso venga piuttosto inteso quale quid minus di una persona). Capofila del primo degli orientamenti giudiziari appena richiamati può ad esempio essere ritenuta la Corte IDU, col celebre caso Gretel Artavia Murillo e altri c. Costa Rica (28 novembre 2012). Richiamando più volte proprio tale dec. IDU, in senso non dissimile si è peraltro pronunziata pure la Grande Chambre della Corte EDU nel caso Parrillo c. Italia. Rispetto al trend appena succintamente illustrato non può che spiccare ancor di più la diversità di vedute – nel senso, come si anticipava supra, dell’espansione – rispettivamente espressa invece sul punto dal giudice eurounitario e costituzionale italiano, la giurisprudenza dei quali ultimi in materia, tuttavia, è sembrata caratterizzarsi per un’evoluzione diametralmente opposta: che ha, cioè, inizialmente portato, il primo, ad un rigoroso giro di vite salvo poi allentare la presa qualche tempo dopo; e, il secondo, ad un antitetico percorso dall’originario contegno ad affermazioni sempre più conservatrici e tranchantes negli anni a noi più vicini. A partire dal 2015 – e per tutto il triennio successivo praticamente fino ai giorni nostri – in particolare la giurisprudenza costituzionale è parsa mutare repentinamente rotta, facendo non tanto leva sul riferimento alla vita biologica (sul quale ha continuato a non pronunziarsi espressamente) quanto direttamente su quello alla dignità stessa dell’embrione, prima solo genericamente invocata in materia.

Prove di cross-talk tra giurisprudenza convenzionale, eurounitaria, interamericana ed italiana in tema di diritto alla vita che comincia (prime notazioni)

Agosta Stefano
2018-01-01

Abstract

Oltrepassata una superficiale (e pressoché ineliminabile) barriera di più o meno ampia diversificazione sia ab extra (in particolare tra la giurisprudenza costituzionale ed i sistemi EDU ed IDU) che ab intra (tra gli stessi ordinamenti EDU e IDU) – ad un livello più profondo le pratiche giudiziarie in materia di inizio-vita sembrano presupporre tutte una sorta di minimum comune uniformemente condiviso: apprezzabile, tuttavia, solo con un previo duplice presupposto, di metodo e di merito. Sul piano metodico, ciò equivale a rinunziare ad una struttura aridamente chiusa/esclusiva per abbracciare una costruzione tendenzialmente aperta/inclusiva (al diritto vigente e vivente sopranazionale) della Costituzione. Col fatto di proiettarsi direttamente sulla dinamica esistente tra le Carte di riferimento quali che esse siano – EDU, IDU, di Nizza-Strasburgo e costituzionale italiana – tale mutato orientamento finirebbe quindi pure per incidere indirettamente sui rapporti tra le Corti che di quelle sono pur sempre istituzionalmente chiamate a farsi guardiane. Sul piano del merito, due diversi percorsi giurisprudenziali – pur nella notevole diversità dei sistemi messi a confronto – sembrano potersi intravedere a seconda che alla luce del sole seguano traiettorie più visibili ovvero più sotterranee e carsiche: al primo gruppo sarebbero così ascrivibili le classiche ipotesi di seguito giudiziario al diritto vivente sopranazionale tanto diretto che, soprattutto, indiretto. Venendo ai tragitti giurisprudenziali più nascostamente percorsi, in un quadro di (in)certezze talmente fluido e cangiante, è fisiologico che a proposito del riconoscimento giuridico del concepito il diritto vivente finisca per sfuggire alla rigida, e per tanto solo irrealistica, alternativa tutto/qualcuno e niente/qualcosa – che vorrebbero pienamente (ed acriticamente…) equiparato cioè quest’ultimo, rispettivamente, ad una persona tout court ovvero, nel suo opposto, ad una mera res – per collocarsi piuttosto in un variabile margine di soluzioni intermedie tra l’uno e l’altro degli estremi tradizionalmente richiamati. È poi naturale che da tale comune spazio interpretativo si dipanino mutevoli rivoli giurisprudenziali, nel caso in esame schematicamente riconducibili a due principali a seconda che si tratti di un fascio di trends, per così dire, riduttivi del riconoscimento del nascituro (assunto come un quid pluris rispetto ad una mera res) ovvero espansivi (allorché esso venga piuttosto inteso quale quid minus di una persona). Capofila del primo degli orientamenti giudiziari appena richiamati può ad esempio essere ritenuta la Corte IDU, col celebre caso Gretel Artavia Murillo e altri c. Costa Rica (28 novembre 2012). Richiamando più volte proprio tale dec. IDU, in senso non dissimile si è peraltro pronunziata pure la Grande Chambre della Corte EDU nel caso Parrillo c. Italia. Rispetto al trend appena succintamente illustrato non può che spiccare ancor di più la diversità di vedute – nel senso, come si anticipava supra, dell’espansione – rispettivamente espressa invece sul punto dal giudice eurounitario e costituzionale italiano, la giurisprudenza dei quali ultimi in materia, tuttavia, è sembrata caratterizzarsi per un’evoluzione diametralmente opposta: che ha, cioè, inizialmente portato, il primo, ad un rigoroso giro di vite salvo poi allentare la presa qualche tempo dopo; e, il secondo, ad un antitetico percorso dall’originario contegno ad affermazioni sempre più conservatrici e tranchantes negli anni a noi più vicini. A partire dal 2015 – e per tutto il triennio successivo praticamente fino ai giorni nostri – in particolare la giurisprudenza costituzionale è parsa mutare repentinamente rotta, facendo non tanto leva sul riferimento alla vita biologica (sul quale ha continuato a non pronunziarsi espressamente) quanto direttamente su quello alla dignità stessa dell’embrione, prima solo genericamente invocata in materia.
2018
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Prove di cross-talk.pdf

accesso aperto

Tipologia: Versione Editoriale (PDF)
Licenza: Creative commons
Dimensione 944.32 kB
Formato Adobe PDF
944.32 kB Adobe PDF Visualizza/Apri
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/3131496
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus 0
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact