Nel rigoglioso panorama della storia della letteratura albanese, il tregim etnografik o «racconto etnografico» s’afferma quale vero e proprio genere letterario nel corso della prima metà del Novecento, in sintonia col grande sviluppo che gli studi filologici e demologici delle diverse società folkloriche avevano riscosso già sin dall’Ottocento, fornendo un importante sostegno scientifico alla causa dell’indipendenza politica e alla costruzione dell’identità nazionale. In forma di brevi bozzetti popolari dalle tonalità ora ironiche, ora malinconiche, ora drammatiche tali «racconti etnografici», ancora ampiamente presenti nella letteratura albanese dei nostri giorni, mettono in scena vicende tese a documentare, riprendere, esaltare ma anche a criticare aspetti linguistici, proverbiali, rituali, situazionali, istituzionali e morali presenti nell’Albania agropastorale. Si tratta di un filone narrativo che attraversa tutta la letteratura albanese del Novecento, da Migjeni a Lasgush Poradeci, da Ernest Koliqi a Mitrush Kuteli, da Musine Kokalari ad Ali Asllani fino a Ismail Kadare, Anilda Ibrahimi e ai reportage del giornalista e fotografo Fatos Baxhaku che portano alla luce gli angoli e i contrasti più inesplorati della società albanese contemporanea. Sebbene molto presente nel panorama letterario albanese, questo genere rimane per lo più trascurato da una storia e da una critica letteraria che ne ha dato interpretazioni riduttive, ricondotte quasi esclusivamente a un’oleografia di tipo verista. Tuttavia, da un punto di vista antropologico, non sembra essere così, e per vari motivi. In particolare: 1) Perché tali racconti usano quello folklorico quale teatro metaforico in cui inserire, rappresentare e narrare con più risalto la profonda, velocissima trasformazione dei ruoli e dei rapporti sociali ed economici, specie nell’Albania postcomunista; 2) perché tale genere punta così a costruire o a dar voce a un nuovo «linguaggio dei sentimenti», secondo pratiche narrative e conoscitive che l’antropologia ha messo in luce sin dai tempi di Marcel Mauss, Rodney Needham e, soprattutto, Jack R. Goody (studioso recentemente scomparso cui è dedicato il saggio), la cui opera ha contribuito a riproporre il problema della «riproduzione» sociale dei sentimenti alle più recenti e diverse riflessioni, da quelle di Clifford Geertz a Steven Feld, fino a Jason Throop e Fernando Poyatos; 3) perché quello del tregim etnografik sembra svolgere un ruolo importante nella costruzione narrativa della “sofferenza sociale”, quale genere nevralgico di una macchina autoriale, editoriale e letteraria dalle imponenti proporzioni che in Albania, dall’Ottocento ai nostri giorni, viene impiegata per gestire le transizioni del Paese e il suo ricambio ideologico e dirigenziale, per saggiare nuove visioni politiche riaggiornando con moderni pre-testi l’albanismo e il nazionalismo, quindi per determinare i futuri equilibri retorici e politici del potere, le ascese e le cadute delle giovani autorità.

Tregim etnografik. Il "racconto etnografico" nella letteratura albanese tra memoria nazionale e riproduzione della sofferenza

Geraci M.
2017-01-01

Abstract

Nel rigoglioso panorama della storia della letteratura albanese, il tregim etnografik o «racconto etnografico» s’afferma quale vero e proprio genere letterario nel corso della prima metà del Novecento, in sintonia col grande sviluppo che gli studi filologici e demologici delle diverse società folkloriche avevano riscosso già sin dall’Ottocento, fornendo un importante sostegno scientifico alla causa dell’indipendenza politica e alla costruzione dell’identità nazionale. In forma di brevi bozzetti popolari dalle tonalità ora ironiche, ora malinconiche, ora drammatiche tali «racconti etnografici», ancora ampiamente presenti nella letteratura albanese dei nostri giorni, mettono in scena vicende tese a documentare, riprendere, esaltare ma anche a criticare aspetti linguistici, proverbiali, rituali, situazionali, istituzionali e morali presenti nell’Albania agropastorale. Si tratta di un filone narrativo che attraversa tutta la letteratura albanese del Novecento, da Migjeni a Lasgush Poradeci, da Ernest Koliqi a Mitrush Kuteli, da Musine Kokalari ad Ali Asllani fino a Ismail Kadare, Anilda Ibrahimi e ai reportage del giornalista e fotografo Fatos Baxhaku che portano alla luce gli angoli e i contrasti più inesplorati della società albanese contemporanea. Sebbene molto presente nel panorama letterario albanese, questo genere rimane per lo più trascurato da una storia e da una critica letteraria che ne ha dato interpretazioni riduttive, ricondotte quasi esclusivamente a un’oleografia di tipo verista. Tuttavia, da un punto di vista antropologico, non sembra essere così, e per vari motivi. In particolare: 1) Perché tali racconti usano quello folklorico quale teatro metaforico in cui inserire, rappresentare e narrare con più risalto la profonda, velocissima trasformazione dei ruoli e dei rapporti sociali ed economici, specie nell’Albania postcomunista; 2) perché tale genere punta così a costruire o a dar voce a un nuovo «linguaggio dei sentimenti», secondo pratiche narrative e conoscitive che l’antropologia ha messo in luce sin dai tempi di Marcel Mauss, Rodney Needham e, soprattutto, Jack R. Goody (studioso recentemente scomparso cui è dedicato il saggio), la cui opera ha contribuito a riproporre il problema della «riproduzione» sociale dei sentimenti alle più recenti e diverse riflessioni, da quelle di Clifford Geertz a Steven Feld, fino a Jason Throop e Fernando Poyatos; 3) perché quello del tregim etnografik sembra svolgere un ruolo importante nella costruzione narrativa della “sofferenza sociale”, quale genere nevralgico di una macchina autoriale, editoriale e letteraria dalle imponenti proporzioni che in Albania, dall’Ottocento ai nostri giorni, viene impiegata per gestire le transizioni del Paese e il suo ricambio ideologico e dirigenziale, per saggiare nuove visioni politiche riaggiornando con moderni pre-testi l’albanismo e il nazionalismo, quindi per determinare i futuri equilibri retorici e politici del potere, le ascese e le cadute delle giovani autorità.
2017
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