Nella sentenza relativa al caso Marcello Viola contro Italia, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con la CEDU dell'istituto dell'ergastolo "ostativo", ritiene che ogni automatismo preclusivo dei benefici penitenziari sia contrario al rispetto della dignità dell'uomo. La legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354 del 1975) stabilisce che, in caso di condanna per taluni reati ritenuti particolarmente gravi, solo la collaborazione con la giustizia del condannato sia indice di rieducabilità. La giurisprudenza interna sinora ha "salvato" l'ergastolo ostativo, ma secondo la Corte EDU, considerare irrinunciabile la collaborazione significa non tenere conto di nessun altro progresso personale e condannare il condannato alla immobilizzazione cronica della sua pericolosità e della sua personalità nel momento di commissione del reato, rendendo indimostrabile il percorso compiuto e rischiando, pertanto, di sottoporlo ad una condizione detentiva non più pienamente legittima perché non più pienamente rispondente alla reale situazione di recupero nella quale egli si trova. D’altra parte, eliminare la condizione ostativa non implica un’automatica concessione dei benefici all’ergastolano non collaborante, bensì significa recuperare il ruolo attivo e utile del giudice di sorveglianza che non dovrà fermarsi impotente davanti alla constatazione della non collaborazione, ma potrà e dovrà prudentemente valutare ogni altro elemento di partecipazione al trattamento rieducativo offerto al detenuto. Nessun reato, neppure il più insidioso, «può giustificare deroghe alle disposizioni dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta in termini assoluti le pene inumane o degradanti» L’inserimento della dignità della persona nel nucleo ‘forte’ dell’art. 3 CEDU ha condotto alla sicura affermazione della illegittimità convenzionale dell’ergastolo ostativo che, restringendo «eccessivamente la prospettiva di liberazione dell’interessato e la possibilità di un riesame della sua pena» , non fornisce al soggetto detenuto gli strumenti opportuni per rendere “dignitosa” la pena cui egli è sottoposto (intendendosi per “dignitosa” una pena nella quale la privazione coatta di libertà è accompagnata da un progetto effettivo di reinserimento sociale). Il risultato conseguito è senz’altro ‘epocale’ poiché, per la prima volta dopo la sua introduzione, l’ergastolo ostativo non è stato più ‘salvato’ ma si è anzi scardinato quel blocco, sino ad allora immutabile, della necessaria implicazione tra collaborazione e rieducazione. Nessun diritto alla speranza verrà più subordinato ad una presunzione.

Il caso Viola contro Italia: sul fulcro della dignità dell’uomo, la Corte Edu boccia ogni pregiudizio ostativo nel percorso rieducativo del condannato

teresa travaglia cicirello
2019-01-01

Abstract

Nella sentenza relativa al caso Marcello Viola contro Italia, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con la CEDU dell'istituto dell'ergastolo "ostativo", ritiene che ogni automatismo preclusivo dei benefici penitenziari sia contrario al rispetto della dignità dell'uomo. La legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354 del 1975) stabilisce che, in caso di condanna per taluni reati ritenuti particolarmente gravi, solo la collaborazione con la giustizia del condannato sia indice di rieducabilità. La giurisprudenza interna sinora ha "salvato" l'ergastolo ostativo, ma secondo la Corte EDU, considerare irrinunciabile la collaborazione significa non tenere conto di nessun altro progresso personale e condannare il condannato alla immobilizzazione cronica della sua pericolosità e della sua personalità nel momento di commissione del reato, rendendo indimostrabile il percorso compiuto e rischiando, pertanto, di sottoporlo ad una condizione detentiva non più pienamente legittima perché non più pienamente rispondente alla reale situazione di recupero nella quale egli si trova. D’altra parte, eliminare la condizione ostativa non implica un’automatica concessione dei benefici all’ergastolano non collaborante, bensì significa recuperare il ruolo attivo e utile del giudice di sorveglianza che non dovrà fermarsi impotente davanti alla constatazione della non collaborazione, ma potrà e dovrà prudentemente valutare ogni altro elemento di partecipazione al trattamento rieducativo offerto al detenuto. Nessun reato, neppure il più insidioso, «può giustificare deroghe alle disposizioni dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta in termini assoluti le pene inumane o degradanti» L’inserimento della dignità della persona nel nucleo ‘forte’ dell’art. 3 CEDU ha condotto alla sicura affermazione della illegittimità convenzionale dell’ergastolo ostativo che, restringendo «eccessivamente la prospettiva di liberazione dell’interessato e la possibilità di un riesame della sua pena» , non fornisce al soggetto detenuto gli strumenti opportuni per rendere “dignitosa” la pena cui egli è sottoposto (intendendosi per “dignitosa” una pena nella quale la privazione coatta di libertà è accompagnata da un progetto effettivo di reinserimento sociale). Il risultato conseguito è senz’altro ‘epocale’ poiché, per la prima volta dopo la sua introduzione, l’ergastolo ostativo non è stato più ‘salvato’ ma si è anzi scardinato quel blocco, sino ad allora immutabile, della necessaria implicazione tra collaborazione e rieducazione. Nessun diritto alla speranza verrà più subordinato ad una presunzione.
2019
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