Ormai concentrati sull’omnicomprensiva categoria dei “migranti” (in cui includiamo le più differenti etnie), sul dibattito e sulle campagne d’odio che si sviluppano soprattutto attraverso i social network, sulle difficoltà – non soltanto italiane – di sviluppare politiche d’integrazione adeguate, abbiamo quasi dimenticato la genesi del fenomeno. Non faccia¬mo ovviamente riferimento alla nascita dei movimenti migratori, ma a quanto accadde nel nostro Paese negli Anni ’90 quando, dopo decenni in cui eravamo abituati soprattutto a osservare flussi in uscita o, comunque, interni, ci ritrovammo ad ospitare un massiccio arrivo di stranieri. Si trat¬tava di “clandestini” – così vennero inizialmente definiti dai media – albanesi i quali, a partire dal ’91, scappavano da una Nazione che stava implodendo e, di lì a poco, sarebbe precipitata nella guerra civile. Ma fu soprattutto dai primi mesi del ’97, invece, che il Paese si ritrovò di fronte ad un aspetto della problematica fino a quel momento semi-scono¬sciuto: l’immigrazione si ripropose non più in termini episodici, bensì sotto forma di esodo; non più clandestina e sommersa, bensì sotto certi aspetti “istituzionalizzata”. Il flusso di profughi provenienti dall’Albania fece saltare precedenti modelli, ponendo l’esigenza di nuovi studi per esaminare una tematica assai complessa e sfaccettata. Le ricerche, in effetti, anche in campo sociologico si moltiplicarono, ma fino a oggi il quadro di riferimento non sembra essere mutato in termini radicali, né avere recepito gli input provenienti da tali analisi. L’obiettivo del contributo è quello di rileggere, ad un ventennio di distanza, i risultati di uno di quegli studi, per mettere in evidenza come l’Italia, in particolare, in questo lasso di tempo non sia riuscita a superare un’ambivalenza tra solidarietà e paura, tra un atteggia¬mento umanitario-inclusivo ed uno difensivo-respingente. Un mancato superamento che si registra, in termini più generali, nella dimensione dell’opinione pubblica, ma prende le mosse più specificatamente dalla sfera comunicativa che genera la rappresentazione del fenomeno e da quella giuridica, continuamente condizionata dagli “umori politici” del momento e all’interno della quale non si è stati in grado di trovare di fissare dei punti fermi.

“Come tutto ebbe inizio...L’immigrazione albanese, i media e le dinamiche di agenda setting”

Domenico Carzo;Marco Centorrino
2019-01-01

Abstract

Ormai concentrati sull’omnicomprensiva categoria dei “migranti” (in cui includiamo le più differenti etnie), sul dibattito e sulle campagne d’odio che si sviluppano soprattutto attraverso i social network, sulle difficoltà – non soltanto italiane – di sviluppare politiche d’integrazione adeguate, abbiamo quasi dimenticato la genesi del fenomeno. Non faccia¬mo ovviamente riferimento alla nascita dei movimenti migratori, ma a quanto accadde nel nostro Paese negli Anni ’90 quando, dopo decenni in cui eravamo abituati soprattutto a osservare flussi in uscita o, comunque, interni, ci ritrovammo ad ospitare un massiccio arrivo di stranieri. Si trat¬tava di “clandestini” – così vennero inizialmente definiti dai media – albanesi i quali, a partire dal ’91, scappavano da una Nazione che stava implodendo e, di lì a poco, sarebbe precipitata nella guerra civile. Ma fu soprattutto dai primi mesi del ’97, invece, che il Paese si ritrovò di fronte ad un aspetto della problematica fino a quel momento semi-scono¬sciuto: l’immigrazione si ripropose non più in termini episodici, bensì sotto forma di esodo; non più clandestina e sommersa, bensì sotto certi aspetti “istituzionalizzata”. Il flusso di profughi provenienti dall’Albania fece saltare precedenti modelli, ponendo l’esigenza di nuovi studi per esaminare una tematica assai complessa e sfaccettata. Le ricerche, in effetti, anche in campo sociologico si moltiplicarono, ma fino a oggi il quadro di riferimento non sembra essere mutato in termini radicali, né avere recepito gli input provenienti da tali analisi. L’obiettivo del contributo è quello di rileggere, ad un ventennio di distanza, i risultati di uno di quegli studi, per mettere in evidenza come l’Italia, in particolare, in questo lasso di tempo non sia riuscita a superare un’ambivalenza tra solidarietà e paura, tra un atteggia¬mento umanitario-inclusivo ed uno difensivo-respingente. Un mancato superamento che si registra, in termini più generali, nella dimensione dell’opinione pubblica, ma prende le mosse più specificatamente dalla sfera comunicativa che genera la rappresentazione del fenomeno e da quella giuridica, continuamente condizionata dagli “umori politici” del momento e all’interno della quale non si è stati in grado di trovare di fissare dei punti fermi.
2019
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